Giorno per giorno – 21 Aprile 2019

Carissimi,
“Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risuscitato. Ricordatevi come vi parlò quando era ancora in Galilea, dicendo che bisognava che il Figlio dell’uomo fosse consegnato in mano ai peccatori, che fosse crocifisso e risuscitasse il terzo giorno” (Lc 24, 5-7). Quando, stamattina, prima delle quattro, quand’era ancora buio, siamo giunti in monastero per l’inizio della veglia pasquale, sapevamo già della strage avvenuta, ad opera di kamikaze, nello Sri Lanka, all’altro capo del mondo, in alcuni alberghi e in chiese cristiane, che si apprestavano a celebrare, come ovunque, la risurrezione del Signore. Pasqua, dunque, sotto il segno del Venerdì santo e della malvagità dell’uomo, che sembra avere l’ultima parola. E il pericolo, anche questa volta, è che al folle disegno omicida, si risponda con le parole e, Dio non voglia, i gesti dell’odio e della vendetta, che finiscono sempre per colpire i più innocenti e indifesi. Ciò che, in piccolo, si sperimenta spesso anche qui da noi. Due i nomi che abbiamo ricordato a Lui, certi che i suoi occhi sanno vedere ben oltre i nostri, quello di Yuri, e quello di Zezinho (questo, figlio di Maria Rezadeira, che ci ha lasciato qualche anno fa): il primo, poco più che un ragazzo, forse, entrato in giri sbagliati, il secondo, poliziotto nella capitale, entrambi uccisi in questi giorni, vittime, chissà, di vendette, di segno solo apparentemente diverso. “Perché cercate tra i morti colui che è vivo?”. È detto del Cristo. A dirlo, oggi, quando già si approssimava l’alba, sono stati, nella messa in scena che ha accompagnato la proclamazione della Parola, nel giardino della Risurrezione, Isaias e il nostro Rafael, che poi, subito dopo, hanno aggiunto: “Ricordate quando vi parlò dicendo che bisognava che il Figlio dell’uomo fosse consegnato in mano ai peccatori…”. Da allora non ha mai smesso di essere consegnato e messo a morte. Con il risultato che abbiamo quasi ogni giorno sotto gli occhi. E noi, ostinatamente, non abbiamo mai smesso di ricordare questo suo consegnarsi, morire, darsi a noi in alimento per trasformarci in lui, perché potessimo divenire con lui nelle grandi scelte ideali, nelle lotte a favore e in compagnia degli ultimi e nei piccoli gesti quotidiani, testimoni del sepolcro vuoto e di Lui, il Vivente, disceso a riscattare tutti dagli inferni che il Sistema del dominio e del peccato ha creato e in cui ci vorrebbe tutti rinchiusi. “Oggi sarai con me in Paradiso”. Quando sarà quell’oggi, nelle sue anticipazioni e nell’eternità, non importa: è comunque la promessa rivolta a tutti, perché è il desiderio, a volte incompreso, soffocato, mascherato, inconsapevole, di tutti.

I testi che la liturgia del giorno di questa Pasqua di Risurrezione propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Atti degli Apostoli, cap.10,34a.37-43; Salmo 118; Lettera ai Corinzi, cap.5, 6-8; Vangelo di Giovanni, cap.20, 1-9.

La preghiera della Domenica è in comunione con tutte le comunità e chiese cristiane.

Oggi il calendario ci porta la memoria di Anselmo di Aosta, pastore e maestro della Chiesa. Il martirologio latinoamericano ci ricorda Galdino Jesus dos Santos, indio pataxó, vittima di una civiltà disumana.

Anselmo era nato, ad Aosta, nel 1033, dalla nobile famiglia di Emmemberga e Gandolfo. Ancor giovane avrebbe voluto abbracciare la vita monastica, ma dovette scontrarsi con l’ostinato rifiuto del padre. Il giovane tanto ne soffrì che si ammalò. Poi, però, fece buon viso a cattivo gioco, e per un certo tempo si diede a una vita gaudente e spensierata. Non durò tuttavia a lungo. Abbandonata la casa paterna, si recò in Francia e, raggiunta la Normandia, bussò all’abbazia di Bec, allora sotto la guida dell’abate Lanfranco di Pavia, uno dei più grandi maestri del tempo, e finì per coronare il suo sogno di gioventù; dedicandosi, negli anni successivi, ad una vita di studio e di preghiera. Nominato Lanfranco alla sede di Canterbury, Anselmo gli successe nell’ufficio di abate, facendosi presto conoscere come predicatore, riformatore della vita monastica e soprattutto come teologo. Le sue opere più note sono il Monologion, sul modo di meditare sulle ragioni della fede, e il Proslogion, sulla fede che cerca l’intelligenza. Pur controvoglia, nel 1093, fu nominato arcivescovo primate d’Inghilterra. E le cose non andarono troppo lisce; infatti il neo-eletto dovette presto fare i conti con l’ostilità di Guglielmo il Rosso e di Enrico I, che si arrogavano il diritto di nomina dei vescovi, e anche con quella di una parte del clero, che mal sopportava la sua avversità nei confronti dei preti sposati o concubini e la sua denuncia della compravendita di cariche ecclesiastiche. Pur contando sulla simpatia popolare (che però non aveva potere) e sull’appoggio del Vescovo di Roma (che era comunque troppo lontano), per i toni aspri che il conflitto raggiunse, fu costretto per un lungo periodo a stare lontano dall’Inghilterra. Alla lunga, però, la sua capacità di mediazione ebbe la meglio. E la Chiesa inglese, quando Anselmo morì a Canterbury, il 21 aprile 1109, poteva offrire, nel complesso, un volto tutto sommato più presentabile. Le sirene del potere avrebbero ripresero tuttavia a ronzare presto all’udito dei vescovi, molti dei quali preferirono tornare ad essere solerti funzionari del sovrano, piuttosto che fedeli pastori del gregge di Cristo.

Galdino Jesus dos Santos era un indio pataxó, del Sud di Bahia, giunto a Brasilia, nell’aprile 1997, assieme a molti altri rappresentanti delle popolazioni indigene, per prender parte alle manifestazioni che accompagnano tradizionalmente la celebrazione della Giornata dell’Indio il 19 aprile, oltre che per rivendicare la demarcazione dell’area di 36 mila ettari che il Governo aveva promesso da sessanta anni. All’alba del 21 aprile, mentre dormiva su una panchina alla fermata di un autobus, cinque giovani della buona borghesia della capitale, gli si avvicinarono e cosparsero il corpo di carburante, appicandogli fuoco. Oltre che simbolo della resistenza del suo popolo alla secolare oppressione della dominazione bianca, divenne vittima-simbolo della discrimazione e del sadismo di una “civiltà” disumana .

Sul piano delle ricorrenze civili, oggi il Brasile commemora la figura di Tiradentes (Joaquim José da Silva Xavier), primo martire della lotta per l’indipendenza del Brasile dal giogo portoghese, impiccato a Rio de Janeiro, in seguito alla scoperta della congiura, il 21 aprile 1792. Dopo l’esecuzione il corpo fu trasportato su un carretto dell’esercito fino alla Casa do Trem (che oggi fa parte del Museo Storico Nazionale), dove fu fatto a pezzi. Il tronco fu consegnato alla Santa Casa di Misericordia, e fu sepolto come indigente. La testa e i quattro arti furono invece salati, per evitare che si decomponessero troppo presto e furono inviati in Minas Gerais, dove furono inchiodati nelle località del Caminho Novo, in cui Tiradentes aveva divulgato le sue idee. La testa fu esposta a Vila Rica (l’attuale Ouro Preto), in cima ad un palo davanti alla sede del governo. Quanti altri pensassero di mettere in discussione il potere della metropoli erano avvisati. Ma solo per altri trentanni. Tiradentes divenne simbolo degli ideali indipendentisti del Brasile e la data della sua esecuzione divenne in seguito festa nazionale. Anche se non sono mica molti, oggi, a ricordare di chi e di che cosa si faccia memoria.

È tutto, per stasera. E noi ci si congeda qui, lasciando la parola a Mons. Oscar Romero, per le nostre comunità, da molti anni, S. Romero d’America, offrendovi in lettura un brano dell’omelia da lui tenuta durante la veglia pasquale, il 25 marzo 1978. È questo, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Questa è una notte di trionfo, una notte di vittoria. Ma non una vittoria che lascia i nemici schiacciati nell’odio, nel sangue. Le vittorie ottenute con il sangue sono odiose; le vittorie raggiunte con la forza bruta sono animalesche; la vittoria che trionfa è quella della fede, la vittoria di Cristo, che non è venuto per essere servito, ma per servire. E il trionfo del suo amore è questo trionfo pacifico, il trionfo della morte non è stato definitivo, è il trionfo della vita sulla morte, il trionfo della pace, il trionfo della gioia, il trionfo degli alleluia, il trionfo della risurrezione del Signore. Tuttavia, in questo trionfo, fratelli, ci sono due aspetti, due fasi; non dimentichiamolo. Una fase che è già stata coronata da una vittoria assoluta ed è Cristo, la sua persona. Sì, egli è già il re della vita e dell’eternità. San Paolo ci ha appena detto: “È risorto e la morte non lo vincerà più!” , ma, quanto a noi, sappiamo che la vittoria comporta una battuta di attesa, passano, infatti, ancora, sul mondo, con la loro bandiera, la sofferenza, la morte, il dolore, il peccato. Non è che la morte e la risurrezione di Cristo siano fallite a causa della malvagità degli uomini. Il fatto è che questa è l’ora della Chiesa. Dalla risurrezione di Cristo fino alla sua seconda venuta, quanti secoli passeranno? Non lo sappiamo, ma sappiamo che con la risurrezione di Cristo già è stato firmato il patto della vittoria sul peccato, sull’inferno, sulla morte; e che Dio ha affidato alla sua chiesa l’amministrazione della sua vittoria nel cuore di ogni uomo. Da qui questo lavoro così tremendo dell’evangelizzazione, il lavoro della riconciliazione degli uomini con Dio, il lavoro di portare il sangue di Cristo a tutti i cuori, il lavoro di seminare l’amore del Signore, là dove prevale l’odio, il lavoro di seminare pace tra i popoli, giustizia nei rapporti umani, rispetto dei diritti degli uomini, che la redenzione del Signore ha santificato. (Mons. Oscar Romero, Omelia per la Veglia pasquale, 25 marzo 1978).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 21 Aprile 2019ultima modifica: 2019-04-21T22:49:59+02:00da fraternidade
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