Giorno per giorno – 23 Giugno 2018

Carissimi,
“Nessuno può servire a due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro, o preferirà l’uno e disprezzerà l’altro: non potete servire a Dio e a mammona” ( Mt 6, 24). Dio, il Dio di Gesù, è il Padre che ci guida alla conquista della libertà. Della libertà di amare. L’altro, mammona, la proprietà, l’accumulazione di beni, idolatrata, è ciò che ci rende schiavi dei nostri istinti egoisti. La cristianità, lungo il tempo, ha reso invece il primo il nume protettore e garante della seconda, evitandoci così il problema della scelta. Questo è avvenuto, ovviamente a scapito del vangelo, che è stato bellamente messo da parte. Se scegliamo invece di essergli fedele, dobbiamo accettare le conseguenze di questa fedeltà., che consistono, come si dice più avanti nel “cercare il regno di Dio e la sua giustizia’ (v. 33), quanto al resto, il necessario, ci sarà dato in aggiunta. Che, se non è sempre vero, è perché ci siamo dimenticati di cosa significhi il regno, che è quando Dio, il Padre, regna davvero tra noi e ci fa tutti fratelli. In questo consiste la giustizia del regno: nel darci da fare tutti secondo le proprie capacità e nel dare a ciascuno secondo le sue necessità. In questo caso, come ci ricordava dona Josefa, a casa della quale ci siamo ritrovati stasera, dove si mangia in dieci, si mangia in undici e anche più, e dove c’è spazio per sei, si crea facilmente spazio per altri sei. E, davvero, come insegna il vangelo (senza magari averlo mai letto, ma attingendo dalla buona notizia che sono i poveri e la loro sapienza), non ci si pone il problema che ciò che condividiamo ora, ci potrà venire a mancare più tardi, perché il domani ci farà assistere al miracolo cui altri, anche tramite nostro, hanno assistito oggi. Noi, al servizio di chi siamo per la nostra (o al di là della nostra) professione di fede?

Le memorie di questa giornata sono tutte all’insegna dell’ebraismo e della coraggiosa testimonianza al Dio dei Padri e alla Torah, suggellata con il martirio. Ricordiamo infatti: Rabbi Chanania ben Teradion, maestro e martire della repressione romana, in Eretz Israel; i Martiri ebrei della persecuzione di Rindfleish in Germania; Samuele e compagni, martiri del fanatismo religioso, a Trento.

Rabbi Chanania fu uno dei Dieci Rabbini Martiri, messi a morte durante la violenta persecuzione antigiudaica scatenata dall’imperatore Adriano, dopo la rivolta antiromana di Simone Ben Kochbá. Visse a Sichnin, nella Bassa Galilea. Ebbe due figli e due figlie. Uno di essi si associò ad una banda di ladri e fu condannato a morte, l’altro fu invece uno studioso della Torah. Una delle figlie, alla sua morte, fu spedita dai Romani in un bordello, ma fu presto liberata dal cognato, Rabbi Meir, che ne aveva sposato la sorella Beruriah, una donna di cui il Talmud decanta la saggezza e la bontà. Uomo di straordinaria generosità con i poveri, Chanania fu condannato a morte per aver continuato a insegnare pubblicamente la Torah, nonostante l’esplicito divieto delle autorità romane. Fu bruciato vivo, avvolto nel rotolo della Legge (Sefer Torah), da cui non aveva voluto separarsi, il 27 Sivan dell’anno 135.

Tra le innumerevoli calunnie diffuse ad arte nel Medioevo per colpire gli ebrei vi erano quelle dell’omicidio rituale e quelle del sacrilegio delle ostie consacrate. Proprio in relazione a quest’ultimo addebito, si scatenarono nel 1298, nella Germania meridionale, terribili persecuzioni contro le comunità ebraiche. In questo giorno, a Röttingen, un cavaliere di nome Rindfleisch, che vantava di essere inviato da Dio, massacrò, con la sua banda di sgherri, tutti gli ebrei della cittá. Poi, attraversando la Franconia, la Baviera e l’Austria, saccheggiò e distrusse altre centoquaranta comunità, portando il numero delle vittime a circa centomila, tra donne, uomini, vecchi e bambini.

A Trento, il 23 giugno 1475, muoiono sul rogo, vittime dell’odio per la loro fede (che era poi la stessa fede di Gesù), il commerciante Samuele e altri trenta compagni, accusati dell’omicidio rituale del piccolo Simone, un bimbo il cui cadavere straziato era stato abbandonato a bella posta nei pressi di una casa ebraica qualche mese prima. Nei confronti del bambino ucciso da mano ignota si sarebbe sviluppato negli anni successivi, autorizzato dalla stessa chiesa, un vero e proprio culto in chiave anti-ebraica, cui pose fine soltanto l’intervento del papa Paolo VI negli anni 60.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
2°Libro di Cronache, cap. 24, 17-25; Salmo 89; Vangelo di Matteo, cap.6, 24-34.

La preghiera del Sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

È tutto, per stasera. Prendendo spunto dalle memorie dei martiri ebrei di questo giorno, scegliamo di congedarci, offrendovi in lettura un aneddoto, raccolto da Martin Buber, nel suo “I racconti dei Chassidim” (Garzanti). Che è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Una schiera di giovani venne da una città lontana a Rižin per trascorrere i giorni delle grandi feste vicino a Rabbi Israele. Quando si accorsero che egli non osservava le ore della preghiera prescritte, ma attendeva che lo spirito fosse raccolto, vollero imitarlo e cominciarono ad aspettare anche loro, senza saper bene che cosa. Dopo la festa della Letizia della Torà, andarono dal Rabbi a prender congedo. Egli dette loro la benedizione e disse: “Badate a non procrastinare le preghiere, ma ditele ciascuno alla sua ora. Vi voglio raccontare la storia dell’uomo a cui la moglie ogni anno e ogni giorno serviva a mezzogiorno un piatto di fagioli. Una volta indugiò e il pasto arrivò a tavola un’ora più tardi. Quando l’uomo lo vide davanti a sé montò in collera e gridò: “Io credevo che mi riservassi oggi una pietanza prelibata, la cui cottura fosse andata per le lunghe, richiedendo molta preparazione e cura. Ma per un piatto di fagioli che mangio tutti i giorni, non ho voglia d’aspettare”. Con ciò lo zaddik chiuse il suo discorso, i giovani s’inchinarono e si misero in viaggio per tornare a casa. Durante il viaggio, in una locanda, incontrarono un vecchio che non avevano mai visto e con cui entrarono subito in discorso. Quando gli raccontarono le parole d’addio del loro Rabbi, egli sorrise e disse: “La collera dell’uomo proveniva dal fatto che non vi era ancora perfetto amore tra lui e sua moglie. Quando invece questo è pieno, allora l’uomo è contento anche se la moglie lo fa attendere molto per poi offrirgli la pietanza che mangia ogni giorno, e al suo cuore tutto appare nuovo e buono”. Le parole si impressero profondamente nel cuore dei giovani. Quando ritornarono un’altra volta a Rižin per le feste grandi, le riferirono allo zaddik. Questi tacque un poco, poi rispose: “Ciò che il vecchio ha detto a voi, l’ha detto a me, e l’ha detto anche a Dio”. (Martin Buber, I racconti dei Chassidim).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 23 Giugno 2018ultima modifica: 2018-06-23T22:28:54+02:00da fraternidade
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