Giorno per giorno – 03 Maggio 2017

Carissimi,
“Gli disse Filippo: Signore, mostraci il Padre e ci basta. Gli rispose Gesù: Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi dire: Mostraci il Padre? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me; ma il Padre che è in me compie le sue opere” (Gv 14, 8-10). Gesù stava per andarsene e i suoi ancora non avevano capito niente, come dimostrano, nel vangelo di oggi, le parole di Tommaso e di Filippo. L’evangelista ce lo fa sapere perché non ci perdiamo d’animo. L’importante è che lo abbia capito Lui. Che, ogni volta, ce lo spiega di nuovo. E meno male che le feste dei suoi apostoli, in questo caso Filippo e Giacomo, gliene offrono la possibilità. Anche noi, come Filippo, dopo tanto tempo che lo bazzichiamo, non l’abbiamo ancora conosciuto. Lo scopriremo, se Dio vuole, poco a poco, come colui che ci rivela quel Padre che ci rimette ogni volta in piedi, spronandoci a imboccare la strada della libertà, che è, poi, Lui stesso, sempre lì, sorprendentemente, all’angolo, quando capita che noi ci si perda, e che ha come destinazione ancora quel seno da cui siamo usciti; e ci rivela la verità, sua e della nostra vita, che non è una qualche teoria a suo riguardo, che si sia potuto imparare o meno a memoria, ma è la verità del suo amore per noi, che forse, una volta o l’altra, ci riuscirà, persino senza pensarlo o volerlo, di riflettere, con anche solo un bicchiere d’acqua donato per amore e compassione. E si rivelerà, anche se noi non lo vedremo, come la nostra vita, il soffio vitale che egli non cessa di insufflarci, sperando, o disperando, che noi si riesca a fare qualcosa di simile, comunicare vita, fino a quando ce lo riprenderà, il soffio, perché si stia sempre, definitivamente, con Lui. E sarebbe ora di smettere di litigare tra noi sul possesso della verità, tra chiese e religioni. La verità non si fa possedere da noi, né da nessuno. Per non farci montare in superbia. Che è già il contrario della verità. Che, invece, è amore.

Oggi il calendario ci porta le memorie di Filippo, apostolo, e di Giacomo, fratello del Signore; di Magdalena Blanche Pauline Truel Larrabure, martire dei campi di concentramento nazisti, e quella di Felipe Huete e quattro compagni, martiri della Riforma agraria in Honduras.

Filippo, originario di Betsaida, sul lago di Tiberiade, come Pietro e Andrea, è con loro uno dei primi ad essere chiamato da Gesú. Egli stesso recluterá in seguito un altro discepolo, Natanaele. È a lui che, poco prima della passione, si dirigono alcuni greci per essere presentati a Gesú. È ancora lui che, secondo il racconto di Giovanni, durante la cena chiede al Maestro: “Mostraci il Padre”. Gesú gli risponde: “È tanto tempo che sto con voi e tu non mi conosci, Filippo. Chi vede me, vede il Padre”. Nulla si sa di certo sulla sua vita dopo la Pentecoste. Una tradizione afferma che predicò il Vangelo in Frigia (nell’attuale Turchia), dove sarebbe morto martire, a Hierapolis, crocifisso a testa in giù, durante la persecuzione di Domiziano. Giacomo era cugino di Gesù e fratello di Giuseppe, Simone e Giuda, di Nazareth. Fu il capo della prima comunità di Gerusalemme (At 12,17). Durante il concilio di Gerusalemme, Giacomo propose che i cristiani di origine pagana non fossero tenuti all’osservanza della legge giudaica. La sua proposta passò (cf At 15). Secondo il racconto di Flavio Giuseppe, nelle Antichità Giudaiche, il sommo sacerdote Anano, nell’anno 62, convocò il sinedrio, per giudicare Giacomo e altri cristiani, che finirono per essere condannati a morte e lapidati. In seguito i farisei ottennero la destituzione del sommo sacerdote, perché la seduta non si era svolta secondo la legge ed era stata convocata a loro insaputa. A Giacomo è attribuita una delle sette Lettere, chiamate “cattoliche”. Controversa è la sua identificazione con l’apostolo Giacomo, figlio di Alfeo.

Magdalena Blanche Pauline Truel Larrabure era nata a Lima (Perù) il 28 agosto 1904, ultima di otto figli di Alexandre Léon Truel e di Marguerite Larrabure Othéquy, una coppia di immigrati francesi, giunti in Perù nella seconda metà del secolo XIX. Poco dopo la morte dei genitori, avvenuta prima che Magdalena compisse vent’anni, i fratelli Truel, su richiesta di alcun famigliari, decisero di fare ritorno in Francia, a Parigi, nel 1924. Qui la giovane si iscrisse alla facoltà di filosofia della Sorbona, trovò un impiego in banca, e si impegnò nel contempo nelle attività parrocchiali della Chiesa di San Francesco di Sales. Nel 1940, l’invasione di Parigi da parte delle forze tedesche portò all’organizzazione del movimento di Resistenza, integrata da quanti intendevano lottare contro gli occupanti. Tramite gli amici Pierre e Annie Hervé, anche Magdalena vi aderì, con il compito di falsificare documenti da fornire a profughi ebrei e a soldati alleati paracadutati sulla capitale francese. Il 19 giugno 1944, Magdalena fu arrestata e rinchiusa nella prigione di Fresnes, dove fu ripetutamente torturata perché rivelasse piani e persone della resistenza. Senza per altro che lei cedesse. Trasferita nel campo di concentramento di Sachsenhausen nel 1945, visse, secondo la testimonianza di quanti la conobbero, la carità in maniera eroica. Si privava del poco cibo che le davano per condividerlo con quanti riteneva ne avessero maggior bisogno. Nonostante le difficoltà, riusciva a mantenere e comunicare allegria alle sue compagne di prigione. All’approssimarsi della fine della guerra, le truppe tedesche iniziarono quella che è conosciuta come la “Marcia verso la morte”, il trasferimento forzato di migliaia di prigionieri, per lo più ebrei, dai campi di concentramento verso l’entroterra tedesco. Durante il trasferimento che interessò il campo di Sachsenhausen, Magdalena cadde lungo la strada priva di sensi, a causa delle percosse di un soldato. Poche ore più tardi i soldati abbandonarono i prigionieri e si spogliarono delle loro divise per sottrarsi alla cattura da parte degli eserciti alleati. Trasportata nel villaggio tedesco di Stolpe, Magdalena vi morì poche ore più tardi. Era il 3 maggio 1945, cinque giorni prima della resa della Germania e della fine dell’Olocausto.

Felipe Huete era uno dei molti contadini di Choluteca, che, a metà degli anni settanta (del secolo scorso), aveva lasciato il suo paese, nel sud dell’Honduras, per spostarsi più a nord, in cerca di lavoro e di terre da coltivare. Dopo alcuni sfortunati tentativi, era giunto, nel 1982, a Namasigue, dove si era presto integrato nelle attività della chiesa locale, divenendo tra l’altro delegato della Parola, e partecipando con entusiasmo ai progetti portati avanti dalla Pastorale della Terra. Tra gli altri, quello riguardante alcune terre del municipio di Arizona (Dipartimento di Atlántida), sottratte illegalmente ai piccoli proprietari e rivendute poi da un individuo privo di scrupoli a un coronel residente nella capitale, Leonel Galindo. A metà del 1990, le prime minacce. Il delegato delle forze di polizia di Mezapa si recò a casa di Felipe, per avvisarlo senza mezzi termini: lasciate perdere quelle terre, se no ci sarà un bagno di sangue. Le indimidazioni si ripeterono all’inizio del 1991. Nuove e, se possibile, più brutali minacce furono fatte, il primo maggio, a tre contadini, tra cui il figlio di Felipe. Il 3 maggio, secondo la testimonianza dei sopravvissuti, una pattuglia dell’esercito circondò un gruppo di contadini, che si era recato, all’alba, nelle terre contese, per ripulirle, e, subito, aprì il fuoco su di essi. Restarono a terra, privi di vita, Felipe Huete, suo figlio Ciriaco, suo genero Carlos Salomon, suo nipote, Mártir Huete, e un altro contadino che faceva parte del gruppo, Cruz Chacón. Il corpo di quest’ultimo venne poi portato al suo villaggio, Santa Maria. Gli altri furono trasportati tutti a casa di Felipe, dove le quattro vedove, doña Dominga, sua nuora Bertilla, sua figlia Isidora, e la nipote acquisita, Trinidad, con il resto della famiglia, gli amici e i compagni, si disposero all’ultimo addio. Lungo la giornata cominciò ad affluire gente da Mezapita, Mezapa, Retiro, Matarras e de altre parti ancora. Vennero letti i testi che Felipe aveva scelto per la Celebrazione della Parola della domenica successiva. Tra questi, il brano di Luca che suona: “A voi miei amici, dico: Non temete coloro che uccidono il corpo e dopo non possono fare più nulla” (Lc 12, 4). Gli stessi testi furono letti nell’Eucaristia, presieduta da vescovo, Mons. Jaime Brufau, e dagli otto preti di San Pedro Sula, a cui presero parte oltre quattromila contadini, scalzi, col sombrero in mano, giunti da ogni dove. Felipe, per quindici anni, aveva voluto raccogliere il sogno della sua comunità contadina: che le fosse fatta giustizia, dando la terra a chi la lavora. Tale riconoscimento venne. Ma solo più tardi.

Le letture proposte dalla liturgia odierna sono proprie della festa e sono tratte da:
1ª Lettera ai Corinzi, cap.15,1-8; Salmo19; Vangelo di Giovanni, cap.14,6-14.

La preghiera del mercoledì è in comunione con tutti coloro che dedicano la loro riflessione, vita e azione a creare le condizioni per un mondo di pace, fraternità e giustizia.

Noi ci congediamo qui, lasciandovi alla lettura di un brano della lettera tradizionalmente attribuita a Giacomo, fratello del Signore. È per oggi il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma non ha le opere? Quella fede può forse salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: “Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi”, ma non date loro il necessario per il corpo, a che cosa serve? Così anche la fede: se non è seguita dalle opere, in se stessa è morta. Al contrario uno potrebbe dire: “Tu hai la fede e io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere, e io con le mie opere ti mostrerò la mia fede”. Tu credi che c’è un Dio solo? Fai bene; anche i demòni lo credono e tremano! Insensato, vuoi capire che la fede senza le opere non ha valore? Abramo, nostro padre, non fu forse giustificato per le sue opere, quando offrì Isacco, suo figlio, sull’altare? Vedi: la fede agiva insieme alle opere di lui, e per le opere la fede divenne perfetta. E si compì la Scrittura che dice: Abramo credette a Dio e gli fu accreditato come giustizia, ed egli fu chiamato amico di Dio. Vedete: l’uomo è giustificato per le opere e non soltanto per la fede. Così anche Raab, la prostituta, non fu forse giustificata per le opere, perché aveva dato ospitalità agli esploratori e li aveva fatti ripartire per un’altra strada? Infatti come il corpo senza lo spirito è morto, così anche la fede senza le opere è morta. (Lettera di Giacomo, 2, 14-26)

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 03 Maggio 2017ultima modifica: 2017-05-03T22:18:36+02:00da fraternidade
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