Giorno per giorno – 23 Settembre 2016

Carissimi,
“Allora Gesù domandò loro: Ma voi, chi dite che io sia? Pietro rispose: Il Cristo di Dio. Egli ordinò loro severamente di non riferirlo ad alcuno. Il Figlio dell’uomo – disse – deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno” (Lc 9, 20-22). Cosa pensiamo noi di Gesù, per davvero? Ce lo siamo chiesti, stasera, nella chiesetta dell’Aparecida, dove si era pochini, dato che alcuni hanno scelto in questi giorni, per guadagnare qualcosina, di impegnarsi nella campagna dei candidati alle elezioni amministrative di domenica prossima. Forse, neppure Pietro, quando azzardò la sua professione di fede, aveva le idee molto chiare. E per non creare false aspettative, favorite dalle differenti opinioni circolanti su chi e come dovesse essere il Messia, Gesù proibisce ai discepoli di designarlo in giro come tale. Aggiungendo, anzi, subito, ciò che apparentemente almeno smentisce questa connotazione: il Messia che voi credete vincente e glorioso, sarà il suo contrario: umiliato, osteggiato, emarginato, ucciso. Anche se poi risorgerà. Ma in cosa consistesse questo risorgere, nessuno avrebbe saputo dirlo. Se Gesù è il Cristo, cioé, nell’equivalente termine ebraico, il messia di Dio, i cristiani sarebbero più o meno quei “messianici” che riconoscono in Gesù, nel suo destino storico, l’apparire della verità di Dio, nella forma profetizzata e vissuta fino alle ultime conseguenze da Gesù. Nel compimento di una missione, che è perciò anche la missione della chiesa, che pone inesorabilmente su un piano di contestazione delle strutture di potere del mondo, siano esse politiche, religiose, culturali, che in ogni tempo tramano per l’eliminazione [del significato] di Gesù dall’insieme delle relazioni umane. Invano, però, perché lo Spirito del Crocifisso risorto suscita sempre nuovi testimoni di una via, verità, vita, retta dal principio del servizio, del dono di sé, dell’amore incondizionato, che è ciò che manifesta e costituisce il Regno. Noi ci siamo?

Il nostro calendario ci porta la memoria di Francisco de Paula Victor, prete afrobrasiliano al servizio della carità.

Francisco de Paula Victor venne al mondo in un fienile della “senzala”, (l’abitazione riservata agli schiavi del tempo), di una piantagione nel municipio di Campanha (Minas Gerais). Era figlio della schiava Lourença Maria de Jesus e di padre ignoto. Il piccolo fu presto preso a benvolere dalla padrona della fazenda, dona Mariana Bárbara Ferreira, che si preoccupò di alfabetizzarlo e istruirlo. Ammirata per le qualità morali del ragazzo e per la sua disposizione allo studio, la donna chiese che gli fosse consentito entrare in seminario a Mariana, offrendo per lui in dote metà della fazenda Conquista, di sua proprietà. È facile immaginare quali e quante, in un ambiente esclusivamente di bianchi, fossere le umiliazioni e soperchierie a cui il giovane fu sottoposto durante tutto il periodo degli studi. I suoi biografi attestano che, però, egli “seppe sempre comprendere, perdonare e amare coloro che l’offendevano”. Sapendo, poi, col tempo, conquistare tutti con la sua mitezza e docilità. Ordinato prete, esercitò per 53 anni il suo ministero nella parrocchia di Três Pontas, dove gli toccò subire le stesse difficoltà del seminario, riuscendo tuttavia anche in questo caso a superare le barriere del pregiudizio razziale e attirando ben presto a sé gli abitanti, non solo della parrocchia, ma dell’intera regione. La sua azione pastorale si caratterizzò soprattutto per l’attenzione nei confronti degli ultimi, visitando gli ammalati, ospitando gli invalidi, occupandosi, benché lui stesso fosse poverissimo, dei più poveri. Morì il 23 settembre 1905. La sua salma restò esposta per tre giorni, per ricevere il pellegrinaggio devoto e riconoscente della sua gente.

I testi che la liturgia di oggi propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro del Qoelet, cap.3, 1-11; Salmo 144; Vangelo di Luca, cap.9, 18-22.

La preghiera del venerdì è in comunione con i fedeli della Umma islamica, che confessano l’unicità del Dio clemente e ricco di misericordia.

È tutto. O quasi. Ricorderemo, anche solo brevemente, che, come oggi, pochi giorni dopo il golpe militare che l’11 settembre 1973 sopprimeva le libertà democratiche in Cile, moriva Neftali Ricardo Reyes y Basoaltonel, più conosciuto come Pablo Neruda, una delle voci più limpide della poesia latino-americana. Scegliamo di ricordarlo con le parole con cui chiuse il suo discorso alla consegna del Premio Nobel per la Letteratura il 12 dicembre 1971. Le prendiamo come profezia e augurio per questi nostri giorni. Ed è questo, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Oggi sono cent’anni esatti da che un povero e splendido poeta, il più atroce dei disperati, scrisse questa profezia: A l’aurore, armés d’une ardente patience, nous entrerons aux splendides Villes. (All’alba, armati di un’ardente pazienza, entreremo nelle città splendide). Credo in questa profezia di Rimbaud, il Veggente. Vengo da un’oscura provincia, da un paese separato da tutti gli altri da una geografia tagliente. Fui il più abbandonato fra i poeti e la mia poesia è stata regionale, dolorosa e piena di pioggia. Ma ho sempre creduto nell’uomo. Non ho mai perso la speranza. Forse è per questo che sono arrivato fin qui con la mia poesia, e anche con la mia bandiera. In conclusione, devo dire agli uomini di buona volontà, ai lavoratori, ai poeti, che l’intero avvenire è racchiuso in quel verso di Rimbaud: solo con un’ardente pazienza conquisteremo la splendida città che darà luce, giustizia e dignità a tutti gli uomini.

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 23 Settembre 2016ultima modifica: 2016-09-23T22:19:35+02:00da fraternidade
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