Giorno per giorno – 22 Marzo 2014

Carissimi,
“Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare” (Lc 15, 20-22). Questa di oggi è forse la più nota e certo la più bella di tutte le parabole evangeliche. Così bella che, per dirne una, i nostri amici della chácara di recupero, quando gliela si ricorda, faticano a crederci. Tanto è grande il bisogno di un perdono che così difficilmente riescono a trovare nella società e in loro stessi, figuriamoci dal Dio che gli hanno insegnato o che, forse, si si sono solo immaginato. Eppure hanno davanti agli occhi tutti i giorni, nella sala delle riunioni, la riproduzione del grande quadro di Rembrandt, che racconta l’abbraccio di quel padre che è il nostro Padre. Il quale, contrariamente a quanto hanno pensato a suo tempo coloro che, con le migliori intenzioni, hanno dato forma al sacramento della confessione, mostra di non preoccuparsi minimamente delle condizioni che sono dette necessarie per la sua validità: contrizione, confessione e penitenza. Quel padre non si dà proprio cura che il figlio sia davvero pentito (e di fatti è tornato soprattutto per la fame), né gli dà tempo di dirgli nulla di ciò che ha combinato, e non gli impone infine nessuna penitenza. Quel padre si preoccupa solo di far festa al figlio che è lì di nuovo con Lui. E che forse ora avrà occasione di conoscerlo meglio e di non separarsene più. Il sacramento della Riconciliazione, nel suo darsi lungo il cammino di fede, dovrebbe forse richiamare maggiormente questo elemento della festa e offrirsi come opportunità di una più approfondita conoscenza del mistero del Padre. Un amico ci confidava tempo fa come avesse ripreso anni prima la pratica del sacramento. Il prete l’aveva fatto sedere e, aperto il vangelo, aveva letto l’episodio in cui Gesù chiede ai suoi cosa pensassero di lui. Poi gli aveva chiesto: “Cosa è per te Gesù? E ancora: lo senti come importante nella tua vita? Lo conosci abbastanza? Leggi il Vangelo? In che cosa ti senti messo in discussione? Potresti dire che lo confessi come Signore della tua vita, delle tue scelte, delle tue azioni? E poi: nella tua vita, tu ringrazi? Dimmi almeno cinque cose belle che ti sono capitate nella tua vita, per cui ti metteresti a cantare per la felicità. E altre cinque che ti sono capitate nell’ultima settimana, per cui senti davvero che devi ringraziare Dio e la vita. Ed ora, se te la senti, pensa a qualche cosa, a qualche atteggiamento, a qualche parola, a qualche sentimento del tuo passato, di cui provi rimorso e vergogna. E chiediamo insieme che Dio ti perdoni, come ti ha già perdonato. Te la senti di assumere come impegno quello di conoscere sempre di più la proposta di Gesù, leggendo, per esempio, ogni giorno qualche pagina di Vangelo, meglio ancora se assieme a una comunità che ti aiuti a farlo e che tu possa aiutare?”. Poi, gli aveva letto un certo salmo, aveva tracciato su di lui il segno della croce e l’aveva congedato dicendogli: va in pace che il Signore ti ama. Questo è un proposito, che anche noi si cerca di vivere qui. E da cui, un po’ per volta, quanto più approfondiamo la conoscenza della Buona Notizia che è Gesù, possono scaturire altri propositi. E può maturare, allora, un pentimento vero.

Oggi, il calendario ci porta la memoria del gesuita Luis Espinal Camps, martire in Bolivia.

Luis Espinal Camps era nato nel villaggio catalano di St. Fruitós de Bages, nei pressi di Manresa, nel 1932, in una famiglia cristiana di semplici lavoratori. Una sua sorella entrò nel Carmelo, e suo fratello maggiore tra i gesuiti. Luis lo seguì qualche anno più tardi, nel 1949, quando varcò le porte del noviziato della Compagnia di Gesù, a Veruela (Saragozza). Terminata la formazione teologica e ordinato sacerdote, Espinal studiò per due anni nella Scuola di giornalismo e di audiovisivi dell’Università Cattolica, a Bergamo. Nell’agosto del 1968, rispondendo all’invito di un vescovo boliviano, partì per la Bolivia, dove visse, senza mai più tornare in patria, un’epoca di terribili dittature, repressione, carceri, fucilazioni, sparizioni, esili, violazioni dei diritti umani, prepotenza militare, censura. La chiesa, sulla scia del Vaticano II e di Medellin, cominciava sia pur timidamente a far udire la sua voce di denuncia sulle violazioni dei diritti umani e Luis prese con insistenza a ricordare che in un sistema di ingiustizia, non è possibile la neutralità. Ogni opzione è politica. Perciò la Chiesa fa politica (lo voglia o no), sia quando parla che quando tace. Per fedeltà a Cristo, la Chiesa non può tacere. Una religione che non abbia il coraggio di parlare in favore dell’uomo, non ha il diritto di parlare a favore di Dio. La denuncia di Espinal contro il sistema di ingiustizia, si caratterizzò positivamente come opzione per la vita. La vita, ogni vita è sacra. La vita di ogni essere umano è qualcosa di assoluto che non si può vendere a nessun prezzo. Le sue parole sulla necessità di dare la vita per il popolo, le realizzò esistenzialmente. Tutta la sua vita fu al servizio della gente: degli universitari cui insegnava, dei giovani che accompagnava, dei suoi lettori, della gente semplice del barrio Vila San Antonio, dei suoi compagni di comunità e di lavoro, dei suoi amici. La sera del 21 marzo 1980, Espinal era andato al cinema per via del suo lavoro di critico cinematografico. Aveva visto un film dal titolo “Gli spietati”. Uscendo dal cinema, alcuni sconosciuti lo caricarono a forza su una jeep, che partì sgommando. Gli assassini, guidati dal paranoico Arce Gómez, portarono Luis Espinal al mattatoio del barrio di Achachicala, dove fu torturato per almeno quattro ore e poi ucciso con 17 proiettili. Il suo corpo, gettato in un deposito di rifiuti sulla strada per Chacaltaya, fu trovato all’alba da un contadino. Sulla sua tomba si legge: Assassinato per aver aiutato il popolo. Quattro mesi più tardi, con un colpo di stato, García Meza e Arce Gómez prendevano il potere in Bolivia.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Michea, cap. 7,14-15.18-20; Salmo 103; Vangelo di Luca, cap. 15,1-3.11-32.

La preghiera del sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

Oggi si celebra anche la Giornata mondiale dell’Acqua, voluta dall’ONU a partire dal 1992, per sensibilizzare tutti sul tema dell’acqua come bene di vitale importanza per tutti gli abitanti del pianeta. Ricordiamo che ancora oggi vi sono al mondo più di un miliardo e quattrocento milioni di persone che non hanno accesso all’acqua potabile e 2,4 miliardi che non hanno accesso ad installazioni sanitarie adeguate, con la conseguenza che 30 mila esseri umani muoiono ogni giorno per malattie dovute all’assenza o alla cattiva qualità dell’acqua e dell’igiene.

È tutto, per stasera, e noi ci si congeda qui, lasciandovi a una delle “Oraciones a quemarropa”, qualcosa come “Preghiere e bruciapelo” di Luis Espinal, dal titolo “Fragilidad”. Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Abbiamo letto la cronaca nera: lì c’era la storia dei nostri possibili peccati: furto, frode, corruzione, slealtà, bustarelle,… / Se siamo sinceri, ci sentiamo fratelli di tutti questi colpevoli. / Abbiamo anche sentito le loro tentazioni. E forse, qualche volta siamo caduti come loro…/ Signore, abbiamo paura; la nostra forza è d’argilla; siamo pure capaci di commettere una pazzia. I nostri piedi vanno per sentieri storti… / Dacci la mano, Signore, e non lasciarci andare, anche se lo esigiamo gridando. / Abbiamo paura, perché ci fidiamo di noi stessi. Abbiamo costruito la casa sulla sabbia, sulle nostre possibilità. / Abbiamo il nostro prestigio e la nostra esperienza; ci conosciamo. Diciamo che “non è un pericolo per noi”. E dimentichiamo le tue parole che dicono: “E non sai che sei infelice, miserabile, indigente, cieco e nudo”. / Facci capire che senza te non possiamo nulla. Ma non insegnarcelo a costo del peccato. / Compatisciti di noi come una madre, anche se non ti chiediamo nulla. Non sappiamo parlarti, ma la nostra indigenza grida da sola. / Fa, Signore, che tutto in noi sia preghiera; questa ricerca, senza fine, della felicitá e dell’amore è una maniera di cercare Te. Spingi la nostra preghiera; radicalizzala perché non parcheggi a metà della strada. / Dato che siamo fragili, che ogni battito sia una supplica di chi è in pericolo, lo sbracciarsi di chi sta affogando. (Luis Espinal, Fragilidad).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 22 Marzo 2014ultima modifica: 2014-03-22T22:39:25+01:00da fraternidade
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