Giorno per giorno – 10 Luglio 2014

Carissimi,
“Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date. Non procuratevi oro né argento né denaro nelle vostre cinture, né sacca da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché chi lavora ha diritto al suo nutrimento” (Mt 10, 7-10). Dunque, chi è stato chiamato a seguire Gesù, lo è stato per essere mandato. Tutti i cristiani, se non lo sono semplicemente in omaggio a una qualche usanza del luogo in cui gli è capitato di venire al mondo, che impone di battezzare i bambini, senza che ci si preoccupi poi di spiegare loro cosa questo significhi e comporti, sono chiamati ad essere missionari. E quindi queste istruzioni del Signore valgono per tutti. E la prima cosa che Gesù ci chiede è di annunciare la vicinanza del Regno. Che non significa che è prossima la fine del mondo. Semmai che, se si prende sul serio la sua proposta, potrebbe essere a portata di mano la fine di un certo mondo, quello che conosciamo, basato sulla ricerca ossessiva del potere e della richezza, incurante dei mezzi, leciti e illeciti, con cui li si persegue, e delle conseguenze che ne derivano per la vita degli altri e per l’insieme del creato. Le opere e lo stile di vita dei missionari devono essere una sorta di laboratorio della società di domani, così come è disegnata, a partire dalla memoria di Gesù, nella proposta del Regno: la cura dei malati, la liberazione dal male in tutte le sue forme, la sconfitta delle forze di morte, la povertà dei mezzi utilizzati, la gratuità dell’azione, lo spirito di condivisione, il dono della pace. È questo ciò che fa di una chiesa la chiesa di Gesù.

Oggi le chiese copta, ortodossa e cattolica fanno memoria di Cirillo d’Alessandria, pastore e padre della Chiesa. Il martirologio latinoamericano ricorda P. Faustino Villanueva, martire della solidarietà in Guatemala. Noi ricordiamo anche i 51 Martiri ebrei di Berlino, vittime del fanatismo religioso nel 1519.

Cirillo nacque nel 370, nei pressi di Alessandria d’Egitto, ma della sua vita conosciamo in pratica solo gli eventi che seguirono la sua nomina a papa di Alessandria, nel 412, quando succedette nella carica a suo zio, il patriarca Teofilo, uomo violento e intollerante nei confronti di pagani, ebrei e cristiani che non la pensassero come lui, responsabile tra l’altro, nel 403, della fraudolenta deposizione da patriarca di Costantinopoli di S. Giovanni Crisostomo. A titolo di curiosità, furono i patriarchi della Chiesa alessandrina i primi in ordine di tempo a fregiarsi del titolo di papa (papas, padre), ai tempi di Eracla, 13º patriarca (232-248) sulla cattedra che fu, secondo la tradizione, di san Marco. Cirillo, teologo colto e penetrante, non fu, come del resto lo zio, alla cui scuola era cresciuto, quel che si dice uomo di dialogo. Se anche non vi intervenne personalmente, delegò tuttavia ai suoi armigeri e sostenitori l’organizzazione di provocazioni e tumulti che sfociarono nella cacciata degli ebrei da Alessandria, all’espulsione dei Novaziani dalle loro chiese, nonché, nel marzo del 415, alla folle uccisione della filosofa e scienziata pagana Ipazia. Dal punto di vista teologico, Cirillo si dedicò soprattutto ad elaborare una cristologia e una pneumatologia con base nell’Evangelo e nella tradizione. Si scontrò per questo con Nestorio, patriarca di Costantinopoli, sul cui insegnamento teologico ebbe la meglio, nel Concilio di Efeso (431), che vide l’affermarsi della sua teologia dell’Incarnazione: “L’Emmanuele consta con certezza di due nature: di quella divina e di quella umana. Tuttavia il Signore Gesù è uno, unico vero figlio naturale di Dio, insieme Dio e uomo; non un uomo deificato, simile a quelli che per grazia sono resi partecipi della divina natura, ma Dio vero che per la nostra salvezza apparve nella forma umana”. Sembra che, negli ultimi anni di vita, condotto a più miti consigli dalla pluriennale esperienza pastorale, si sia dedicato a ricercare un cammino che aiutasse a superare i contrasti insanabili tra le chiese, creati dalla radicalizzazione del dibattito teologico. Morì nel 444. La chiesa copta lo ricorda il 27 giugno del calendario giuliano, che corrisponde al nostro 10 luglio.

Faustino Villanueva era un missionario spagnolo della Congregazione del Sacro Cuore, giunto in Guatemala, ventottenne, nel 1959, e destinato alla parrocchia di Joyabaj, nel Quiché. Lì, come nelle altre località in cui fu inviato negli anni seguenti – Canillá, San Andrés Sajcabajá, San Bartolomé Jocotenango, San Juan Cotzal, Sacapualas – la sua attitudine pastorale fu sempre la stessa: conoscere la realtà e i problemi della gente, annunciare la Parola di Dio, celebrare l’Eucaristia e amministrare i sacramenti nei diversi villaggi e comunità, portare medicinali, animare e organizzare la catechesi, e, negli ultimi tempi, aiutare a costituire una piccola cooperativa di produzione che riuscisse a sottrarre la povera gente dalle mani degli usurai. Tutti lo conoscevano come grande organizzatore, uomo di dialogo, pacifico, equilibrato e serio, ma anche sempre teneramente vicino alla sua gente. In nulla, pericoloso e, tanto meno, sovversivo. Eppure, nel Guatemala di quegli anni, chiunque scegliesse di vivere a servizio delle comunità indigene, sapeva già di essere nel mirino degli squadroni della morte. Il 10 luglio 1980, a tarda sera, due giovani bussarono alla sua porta chiedendo di parlargli. Il prete li fece accomodare nell’ufficio parrocchiale. Il tempo di entrare e lo crivellarono di colpi. Morì a causa della sua dedizione agli indigeni del Quiché, i più emarginati nella società guatemalteca.

Nel 1519, un folto gruppo di ebrei di Berlino fu accusato del furto sacrilego della pisside e delle ostie consacrate perpetrato in una chiesa di Knoblauch, un paese del circondario. Centoundici ebrei furono arrestati e processati sommariamente. Di essi, cinquantuno furono condannati a morte e trentotto mandati al rogo nella piazza del mercato. Era il 10 luglio 1519. Venti anni dopo, la Dieta di Francoforte li avrebbe riconosciuti tutti innocenti. Vittime dell’odio per la loro fede di cristiani fanatici.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Osea, cap.11,1-4. 8c-9; Salmo 80; Vangelo di Matteo, cap.10,7-15.

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura un testo di Cirillo d’Alessandria, tratto dal suo “Commento sul Vangelo di Giovanni”. Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Muoio, dice il Signore, per tutti, per vivificare tutti per mezzo mio. Con la mia carne ho redento la carne di tutti. La morte infatti morrà nella mia morte e la natura umana, che era caduta, risorgerà insieme con me. Per questo infatti sono divenuto simile a voi, uomo cioè della stirpe di Abramo, per essere in tutto simile ai fratelli. Ben comprendendo il progetto divino lo stesso san Paolo dice: “Poiché dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne, anch’egli ne è divenuto partecipe, per ridurre all’impotenza, mediante la morte, colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo” (Eb 2, 14). Infatti in nessun’altra maniera si sarebbe potuto distruggere chi aveva il potere della morte, e con lui la morte stessa, se non con il sacrificio di Cristo. Uno solo si è immolato per la redenzione di tutti, perché la morte regnava su tutti. Cristo, offrendo se stesso a Dio Padre per noi come ostia immacolata, dice nel salmo: “Sacrificio e offerta non gradisci, gli orecchi mi hai aperto. Non hai chiesto olocausto e vittima per la colpa. Allora ho detto: Ecco, io vengo. Sul rotolo del libro di me è scritto che io faccia il tuo volere. Mio Dio, questo io desidero” (Sal 39, 7-9). Fu poi crocifisso per tutti e a causa di tutti, perché, morto uno per tutti, viviamo tutti in lui. Infatti non poteva accadere che la vita per se stessa fosse sottoposta alla morte o soccombesse alla corruzione. Che Cristo, poi, abbia offerto la sua carne per la vita del mondo, lo sappiamo con certezza dalle sue parole: Padre santo, custodiscili (cf Gv 17, 11). E di nuovo: Per loro io santifico me stesso (cf Gv 17, 19). Santifico, dice, cioè: mi consacro e mi offro quasi ostia immacolata di soave odore. Veniva santificato infatti, veniva chiamato santo, secondo la legge, ciò che era offerto sull’altare. Cristo dunque diede il suo corpo per la vita di tutti e così di nuovo innestò in noi la vita. Dopo che il Verbo vivificante di Dio abitò nella carne, la ristabilì nel suo bene, cioè nella vita. Stabilì con essa una comunione misteriosa e così la rese partecipe della sua stessa vita. Perciò il corpo di Cristo vivifica coloro che comunicano con esso. Scaccia la morte dai mortali e la corruzione dai corruttibili in virtù di quella potenza rigeneratrice che porta sempre con sé. (Cirillo d’Alessandria, Commento sul Vangelo di Giovanni IV, 2).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 10 Luglio 2014ultima modifica: 2014-07-10T22:13:43+02:00da fraternidade
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