Giorno per giorno – 07 Luglio 2014

Carissimi,
“Ed ecco, una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni, gli si avvicinò alle spalle e toccò il lembo del suo mantello. Diceva infatti tra sé: Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò salvata. Gesù si voltò, la vide e disse: Coraggio, figlia, la tua fede ti ha salvata. E da quell’istante la donna fu salvata” (Mt 9, 20-22). Fu salvata, non semplicemente guarita. E ci dev’essere una differenza tra i due verbi. Il contatto con Gesù ha questa pretesa, di coinvolgere tutto il nostro essere, assorbendolo in quello che è il significato del suo nome, “Dio salva”, appunto. Le leggi relative alla purità rituale sono una cosa piuttosto complessa, che assume significati diversi a seconda che si riferiscano a cose, animali, cibi, o alla persona umana e a ciò che le può accadere. Questa complessità fa sì che spesso vengano fraintese. Per esempio, l’essere dichiarati impuri non ha a che vedere con le categorie della morale, ma testimonia che esiste, come nel caso di una malattia, una situazione di sofferenza, davanti alla quale non si può restare indifferenti. Non si può far finta di nulla: Dio non ci sta. Se qualcuno è malato – colpevole o meno che sia per la sua malattia – Dio esige che sia risanato perché possa stare alla sua presenza. Lui è il Dio della vita, e della vita in pienezza. Non può essere smentito. Noi spesso ci si accontenterebbe volentieri di un’inclusione a buon mercato, solo formale: ma certo, vengano tutti, sani e malati, a lodare il Signore. No, alla donna del racconto evangelico e a Gesù questo non basta. La Legge segnala lo stato di anomalia, di “impurità”, non per condannare all’esclusione chi ne è colpito. Ma perché ne possa venir fuori, perché lo si aiuti a venir fuori, al fine di stare davanti a Dio, felice e riconoscente come tutti. È questo che Gesù vuol rimarcare, è questa fede che ha la sua approvazione. E per far sì che l’impuro abbia nuovamente accesso alla vita della comunità accetta di toccarlo e/o di esserne toccato, se questo serve a guarirlo. Di più, come abbiamo visto, a salvarlo. Cioè a introdurlo nella dimensione più profonda dell’essere, in quella che è la vita di Dio: comunione d’amore.

Oggi facciamo memoria del patriarca Atenagora, profeta di ecumenismo.

Aristokles Pyrou (questo il suo nome all’anagrafe) nacque il 25 marzo 1886, a Tsaraplana (Grecia). Metropolita di Corfú e successivamente arcivescovo della comunità greco-ortodossa di New York, fu eletto nel 1949 patriarca ecumenico di Costantinopoli, diventando presto una figura di primo piano nello sviluppo della Chiesa ortodossa e del movimento ecumenico. Sognava una Chiesa evangelica, in cui le diverse confessioni potessero incontrarsi come Chiese sorelle, sulla base della comune fede apostolica, nella fedeltà alla tradizione dei Padri e all’ispirazione dello Spirito. Nella sua visione, il primato romano doveva essere una presidenza nell’amore, non sulla Chiesa, ma nel cuore della sua comunione e al suo servizio. Del cristianesimo sottolineò non l’aspetto normativo, ma l’ispirazione creatrice, la fraternità tra gli individui, il miracolo delle creature vive, l’umile illuminazione del quotidiano, attraverso la “presenza nell’assenza” dello Sconosciuto che divenne il nostro Amico segreto. Cercò anche di aprire il dialogo con l’Islam. Morì incompreso e isolato dagli ambienti moderati e fondamentalisti della sua stessa Chiesa, il 7 luglio del 1972. Aveva detto un giorno: “La Chiesa deve partorire uomini liberi, capaci d’inventare liberamente la loro vita alla luce dello Spirito Santo”.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Osea, cap.2, 16. 17b-18. 21-22; Salmo 145; Vangelo di Matteo, cap.9, 18-26.

La preghiera di questo lunedì è in comunione con i fedeli del Sangha buddhista.

Anche, per stasera, è tutto. Noi ci si congeda qui, offrendovi una breve citazione del Patriarca Atenagora, tratta dal libro di Olivier Clément “Conversations with Patriarch Athenagoras”. Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Coloro che mi accusano di sacrificare l’ortodossia ad una cieca ossessione per l’amore hanno una ben misera concezione della verità. Lo fanno all’interno di un sistema che essi possiedono, che li rassicura, mentre invece ciò che realmente è, essa è la viva glorificazione del Dio vivente, con tutti i rischi insiti in una vita creativa. E noi non possediamo Dio; è Lui che ci tiene e ci riempie con la sua presenza in proporzione alla nostra umiltà e al nostro amore. Solo con l’amore possiamo glorificare il Dio dell’amore, solo dando e condividendo e sacrificando noi stessi, possiamo glorificare il Dio che, per salvarci, si è sacrificato e è andato alla morte, alla morte di croce. (Olivier Clément, Conversations with Patriarch Athenagoras).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 07 Luglio 2014ultima modifica: 2014-07-07T22:10:01+02:00da fraternidade
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