Giorno per giorno – 11 Giugno 2014

Carissimi,
“Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (Mt 10, 7-8). La liturgia della memoria di san Barnaba ci propone un brano del discorso missionario, in cui Gesù insegna ai suoi come essere annunciatori credibili della buona notizia del Regno. E, anche qui, nulla di propriamente religioso. La pratica religiosa di Gesù, se proprio vogliamo chiamarla così, si gioca tutta nella vita. Certo, poi, anche lui andava al tempio, faceva i suoi bei pellegrinaggi, ogni sabato si recava in sinagoga, ma era tutto in vista della vita della gente e in primo luogo degli ultimi e più emarginati. I suoi, se vogliono essere suoi, e non venditori di fumo, devono fare questo: rimettere in piedi chi non ce la fa più, ridare voce e opportunità vere a chi è come morto, reintegrare gli esclusi dalla società, esorcizzare gli elementi di divisione che esistono in essa. E devono farlo gratuitamente, senza imporre decime di sorta, né esigere offerte più o meno volontarie. Per evitare di fare mercato della fede. E vivere invece nella condivisione gioiosa dei beni che abbiamo e che siamo chiamati ad essere gli uni per gli altri. Queste dovrebbero essere le norme vincolanti che compaiono nel diritto canonico. E, invece, non ce n’è traccia. Che peccato! Potremmo, però, almeno, cominciare a porle nei nostri esami di coscienza.

Il calendario ci porta oggi le memorie di Barnaba, apostolo, e di Luca di Simferopol, pastore al servizio dei poveri.

In realtà si chiamava Giuseppe ed era un levita, nativo di Cipro. Quando si era fatto cristiano, aveva venduto il suo campo e, il ricavato, l’aveva depositato ai piedi degli apostoli ed era stato grazie a lui, presto soprannominato Barnaba (“figlio della consolazione” o, forse, più probabilmente, “figlio della profezia”), che l’appena convertito persecutore dei cristiani Saulo-Paolo era stato ammesso nella cerchia dei discepoli, piuttosto diffidenti nei suoi confronti. Fu ancora lui ad essere inviato a prendere contatti con la neonata comunità di Antiochia di Siria, presso la quale poi portò Paolo. Insieme con questi organizzò la raccolta di aiuti per la chiesa madre di Gerusalemme, dove la popolazione soffriva la fame per una carestia. Tornati a Gerusalemme progettarono il primo viaggio missionario, quello in cui Marco darà forfait e che li porterà a Cipro e in una parte dell’Asia Minore. Di nuovo a Gerusalemme, parteciparono alla discussione sugli obblighi che i cristiani provenienti dal paganesimo dovevano assumere. Il mancato accordo con Paolo sul secondo viaggio missionario, porterà alla separazione definitiva dall’antico compagno. Ritenendo che Marco avesse più bisogno di lui che non l’altro, Barnaba se ne andò con lui a Cipro. Qualche anno dopo, le carte si rimescolarono. Sappiamo dalle lettere di Paolo che Marco stava con lui e, sempre Paolo, spenderà, nella lettera ai Corinzi, sette-otto anni dopo la separazione, una parola di elogio per Barnaba, perché anch’egli si manteneva con il suo lavoro. Ma non sappiamo dove, né come. Forse, azzardiamo, nella nativa Cipro. Luca, l’autore degli Atti degli apostoli, avendo preso partito per Paolo, non ce ne dice nulla. Una tradizione vuole che si sia recato a Roma e a Milano, per predicarvi l’evangelo, e che sia più tardi morto martire a Salamina verso l’anno 63.

Valentin Feliksovic Wojna-Jasieniecki era nato il 14 aprile 1877 a Ker, in Ucraina, da una nobile famiglia polacca. Nel 1917, dopo gli studi in medicina, si era trasferito, con la famiglia che aveva nel frattempo costituito, a Taskent, dove aveva ottenuto il posto di chirurgo primario nel locale ospedale. Nello stesso periodo, la moglie si era ammalata di tubercolosi e, nel 1919, era morta, lasciandolo vedovo con quattro figli a carico. Nel 1921, accettata la proposta di abbracciare lo stato ecclesiastico avanzatagli dal vescovo della città, fu ordinato presbitero, pur continuando ad esercitare la professione, con un’attenzione particolare per i più poveri, e ad insegnare all’università. Prima di ogni operazione, padre Valentin soleva raccogliersi in preghiera e volle sempre tenere le sue lezioni, indossando l’abito sacerdotale. Nel 1923, dopo aver preso i voti monastici e assunto il nome di Luca, fu eletto vescovo di Taskent. Il suo ministero pastorale fu contrassegnato da persecuzioni, arresti, prigionie, condanne al confino. Nel 1942, alla fine della sua ultima prigionia, il metropolita Sergio Stratogorskij lo nominò arcivescovo di Krasnojarsk, in Siberia. Nel 1946, su richiesta delle autorità che mal tolleravano la sua attività, fu trasferito alla chiesa di Simferopol, in Crimea, dove rimase fino alla morte, che lo raggiunse più che ottuagenario e ormai quasi cieco, l’11 giugno 1961. Per quanto lui stesso poverissimo, e forse proprio per questo, era sempre stato fedele nell’aprire le porte della sua casa agli ultimi e più poveri, in totale umiltà e mansuetudine.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono propri della memoria dell’Apostolo Barnaba e sono tratti da:
Atti degli Apostoli, cap.11, 21b-28; 13, 1-3; Salmo 98; Vangelo di Matteo, cap.10, 7-13.

La preghiera del mercoledì è in comunione con tutti gli operatori di pace, quale ne sia la fede, l’ideale, la filosofia di vita che li guida.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura il brano di un’omelia di San Luca di Simferopol, tenuta nella “Domenica del Giudizio Finale”, che precede, nella tradizione ortodossa la Grande Quaresima. In essa, il presule, prendendo spunto dal Processo di Norimberga contro i criminali nazisti, che si celebrava in quei giorni, cerca una risposta al problema della presenza del male nel mondo. Che vale per ogni tempo. È, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Dal momento in cui il mondo è stato creato, davanti agli occhi di Dio, innumerevoli crimini sono stati commessi, insieme a bestemmie e a parole indegne. Ma la virtù umana continua ad esistere anche in questo mondo infedele e peccatore, calpestata e gettata fuori. Voi sapete quante volte i criminali trionfano e si rallegrano, mentre nello stesso istante, uomini puri e buoni vengono distrutti? E sempre, in ogni epoca, la coscienza degli uomini è turbata da questo fatto, e tutti si chiedono: “Fino a quando, Signore? Quando la giustizia trionferà?”. Perché il cuore dell’uomo non accetta l’ingiustizia, non sopporta che il male rimanga impunito, e che la virtù non venga onorata. È possibile che il mondo intero sia così insensato, così insopportabilmente ingiusto, da far sì che il male possa trionfare fino alla fine? No, questo è impossibile e non potrà mai verificarsi, perché al di sopra del mondo c’è un Dio Giusto, che, infinitamente più di noi, sa quanto male vi sia nel cuore degli uomini. Dio, tuttavia, è indulgente. Dio pazienta e sopporta la mancanza di rispetto degli uomini da migliaia di anni, perché attende di raccogliere, in un mondo pieno di disprezzo e di male, i frutti assai preziosi della riverenza e della bontà. Poiché solo a motivo di questi frutti l’amore di Dio creò il mondo intero, perché il cuore dei fedeli potesse brillare ed essere purificato dalla luce di Cristo, perché essi potessero brillare con l’amore di Cristo, perché la giustizia di Dio potesse essere rivelata. Voi sapete che, così come esistono dei malfattori, c’è una innumerevole moltitudine di persone buone e pure, un grande esercito dei santi di Dio? Essi valgono il mondo, poiché tra le centinaia di migliaia di uomini malvagi, splendono decine di milioni di figli di Dio, figli della grazia. A causa di questo Signore pazienta. Egli pazienta affinché i covoni del giardino di Cristo possano essere contati. (St Luke of Simferopol, Homily on Meatfare Sunday).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 11 Giugno 2014ultima modifica: 2014-06-11T22:35:27+02:00da fraternidade
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