Giorno per giorno – 08 Agosto 2015

Carissimi,
“Si avvicinò a Gesù un uomo che, gettatosi in ginocchio, gli disse: Signore, abbi pietà di mio figlio. Egli è epilettico e soffre molto; cade spesso nel fuoco e spesso anche nell’acqua; l’ho già portato dai tuoi discepoli, ma non hanno potuto guarirlo” (Mt 17, 14-16). Anche, stasera, a casa di dona Roberta, ci siamo detti di guardare oltre al miracolo in sé, per scoprire cosa quel segno abbia da dire alla nostra vita. E, per cominciare, ci siamo chiesti chi potrebbe essere, oggi, quel ragazzo epilettico che soffre e cade, volta a volta, nell’acqua e nel fuoco. Qui da noi questo male è così diffuso che tutti si conosce più d’una persona che ne è affetta e si sa delle speranze di guarigione, spesso oltre ogni residua speranza, che accompagnano quanti vi sono coinvolti e i loro famigliari. Ma, proviamo a immaginare dell’altro. Per esempio, che quel male rifletta una perdita del senso di realtà che nell’esperienza della sofferenza, porta a consegnarsi al gelo dell’indifferenza o al fuoco della rivolta inconsulta. Che è, insieme, conseguenza e specchio di una “generazione incredula e perversa” (v.17). Rispetto alla quale anche i discepoli (le nostre comunità, la chiesa, le chiese) sembrano a volte non potere nulla. In questa situazione, Gesù rimprovera proprio noi: “È per la vostra poca fede” che non riuscite a cambiare l’ordine delle cose. Ora, la fede non è qualcosa su cui si pensa o, peggio ancora, si blatera. È qualcosa che si è, o piano piano si diventa. Tipo un granellino di senapa. Tipo Gesù. Essere capaci di indignarci contro il male in tutte le sue forme – ingiustizia, oppressione, sfruttamento, violenza, intolleranza -, e porre tutto il nostro essere a servizio della causa che pretende liberarcene: il Regno.

Oggi la Chiesa le memorie di Domenico di Guzman, fondatore dei Frati Predicatori, di Bonifacia Rodríguez Castro, fondatrice delle Serve di san Giuseppe, e di Maria Elena MacKillop, fondatrice delle suore di san Giuseppe del Sacro Cuore di Gesù.

Nato nel 1170 a Caleruega, nella Vecchia Castiglia (Spagna), quando, a 15 anni, ancora studente, viene a contatto con le miserie causate dalle continue guerre e dalla carestia, Domenico vende le suppellettili della propria stanza e le preziose pergamene per costituire un fondo per i poveri. A chi gli esprime stupore per quel gesto risponde: “Come posso studiare su pelli morte, mentre tanti miei fratelli muoiono di fame?”. Terminati gli studi, a 24 anni, il giovane entra tra i “canonici regolari” della cattedrale di Osma, dove viene consacrato sacerdote. Desideroso di recarsi in missione tra le popolazioni pagane, accetta tuttavia dal papa Innocenzo III l’incarico di dedicarsi a predicare contro la diffusione dell’eresia albigese, in Francia. Assieme ad alcuni amici fonda nel 1215 l’ordine dei frati predicatori. Convinto che il maggior ostacolo alla conversione sia la ricchezza materiale di gran parte del clero, decide che il suo ordine viva in povertà e semplicità. Negli ultimi anni, l’Ordine dimentica il primitivo impegno ad usare la “logica della persuasione e non della forza” per convincere le persone della verità cristiana, tanto che molti dei suoi frati diventano membri attivi dell’Inquisizione. Sfinito dal lavoro apostolico ed estenuato dalle grandi penitenze, Domenico muore il 6 agosto 1221, circondato dai suoi frati, nel convento di Bologna. Lungo i secoli molti dei suoi seguaci sarebbero stati esempio di difesa dei diritti dei più poveri, di impegno per la giustizia sociale, di testimonianza all’Evangelo del Regno, fino al dono della vita.

Bonifacia Rodríguez Castro era nata a Salamanca (Spagna) il 6 giugno del 1837 da Maria Natalia e Juan, una coppia di artigiani, profondamente religiosi. Terminati gli studi elementari imparò il mestiere di cordonaia e all’età di quindici anni, in seguito alla morte del padre, si recò a lavorare come operaia, per aiutare la madre a sostenere la famiglia. Potè così sperimentare, in prima persona, le dure condizioni di lavoro del tempo. Dal 1865, Bonifacia e sua madre, rimaste sole, si dedicarono a una vita di profonda pietà. Con un gruppo di ragazze di Salamanca, attratte da questa testimonianza di vita, decisero di fondare un’associazione che si prendesse a cuore le condizioni della donna lavoratrice. L’incontro con il gesuita catalano Francisco Javier Butinyà, giunto a a Salamanca nell’ottobre del 1870 con una grande preoccupazione apostolica verso il mondo della classe operaia, incise radicalmente nella vita di Bonifacia. Fu infatti su sua ispirazione che la donna fondò la congregazione delle Serve di San Giuseppe, nei cui laboratori, guidati dalla spiritualità della casa di Nazareth, le suore lavorano come operaie lato a lato di donne povere che non avevano lavoro. Da subito, tuttavia, la fondazione fu vista con sospetto e suscitò l’opposizione del clero di Salamanca, che ottenne l’allontanamento di P. Butinyà, il trasferimento del Vescovo che aveva dato la sua approvazione all’istituto e alla congregazione nuovi statuti e una nuova direzione, con suore che scelsero di essere maestre e non operaie. Per Bonifacia seguirono anni di umiliazioni, rifiuto, disprezzo e calunnie, sopportati in umiltà e silenzio. Emarginata dalla congregazione che aveva fondato, aprì a Zamora, col permesso del vescovo, una nuova comunità, fedele all’intuizione originaria. Lì, circondata dall’affetto delle sorelle e della gente di Zamora che la venerava come una santa, morì, l’8 agosto del 1905. Solo nel gennaio del 1907, la casa di Zamora si vide riconosciuta e si riunì al resto della Congregazione, come Bonifacia aveva fino all’ultimo sperato.

Maria Elena MacKillop (conosciuta in seguito come Madre Maria della Croce) era nata a Fitzoroy (Australia) il 15 gennaio 1842, figlia primogenita di una coppia di immigrati scozzesi. Benché desiderasse, fin dalla prima giovinezza, abbracciare la vita religiosa, dovette ritardare la realizzazione del suo sogno, per sopperire alle necessità della famiglia. Nel 1860 ricevette l’incarico di insegnante a Penola nell’odierno Stato dell’Australia Meridionale, dove incontrò padre Giuliano Tenison Woods, che divenne il suo padre spirituale, e con cui poco dopo fondò la Congregazione delle Suore di S. Giuseppe del Sacro Cuore di Gesù, con la missione di aprire scuole per i bambini poveri. Maria Elena andò ad insegnare per quattro anni a Portland nello Stato di Vittoria per ritornare a Penola nel 1866 dove aprì una scuola cattolica per ragazzi poveri, coadiuvata da un primo gruppo di ragazze che aderirono alla sua opera di carità. Nel 1867 aprì una seconda scuola ad Adelaide e altre ancora in breve tempo, mentre aumentava il numero delle consorelle e l’attività della congregazione si estendeva fino a comprendere l’assistenza agli orfani, ai poveri e ai vecchi. Nel 1870 la MacKillop e le sue consorelle denunciarono gli abusi di cui si era reso responsabile un certo padre Keating: le accuse furono provate e il prete venne rispedito in Irlanda (ufficialmente, per abuso d’alcol). Il vescovo della diocesi di Adelaide, monsignor Sheil, anziano e ammalato, si lasciò però convincere dal vicario generale Charles Horan (amico e collega del prete pedofilo) a intervenire con severità contro le Sorelle, cambiando le regole della congregazione. Di fronte al rifiuto della giovane fondatrice e superiora, il vescovo la scomunicò per insubordinazione. Dopo un anno, tuttavia, lo stesso Sheil, ormai prossimo alla morte, revocò la scomunica. In seguito, una commissione episcopale riabilitò completamente la religiosa. L’approvazione della congregazione da parte di Leone XIII giunse, infine, nel 1888. Debilitata nel fisico per gravi malattie, pur essendo rimasta indomita nello spirito, la madre Maria della Croce morì l’8 agosto 1909 a Sydney. È stata canonizzata a Roma da papa Benedetto XVI .

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro del Deuteronomio, cap. 6,4-13; Salmo 18; Vangelo di Matteo, cap.17, 14-20.

La preghiera del Sabato è in comunione con le Comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israe.

È tutto, anche per stasera. E se non si ha sottomano nulla da proporvi di Domenico di Guzman, si ha però sempre qualcosa di un suo brillante successore, l’ottantaquattresimo della lista, Timothy Radcliffe, che ha retto l’ordine dei predicatori dal 1995 al 2001. Di lui, nel congedarci, vi proponiamo il brano di una lettera che ha come titolo “Chiamati ad irradiare gioia”. È un buon programma ed è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
La riunione archetipa della comunità cristiana è stata l’ultima cena. E penso al grande fallimento che fu quella comunità: uno dei discepoli ha venduto Gesù, un altro lo ha rinnegato e tutti i restanti sono fuggiti. Gesù non è riuscito a riunire i suoi discepoli in una comunità quell’ultima notte, perciò non dobbiamo essere sorpresi se non riusciamo a fare meglio di lui. Gesù ha voluto offrirci il Sacramento della comunità, il segno del Regno che doveva venire come dono nel tempo opportuno. Se la parrocchia non è una comunità grande e dinamica, ciò non è affatto segno del nostro personale fallimento. A volte non possiamo fare nulla di più che porre dei segni di ciò che ha da venire. Quando ero giovane studente domenicano a Oxford, andai nella cappellania a trovare Michael Hollings. Purtroppo questi mi mandò via con una ramanzina perché non amava i religiosi. Anni dopo imparai a conoscerlo a ad apprezzarlo. Dovunque andava teneva la sua casa aperta, a Oxford, Southall e Bayswater. Una volta colse un ladro intento a rubare; lo invitò a rimanere con lui per il tè. Sapevo benissimo che non sarei mai stato capace di affrontare un tal genere di vita, ma ho ammirato ciò come un segno del Regno. Certamente non era il Regno, almeno io spero, ma era un segno di quel Regno che è aperto a tutti. Noi non possiamo costruire da noi stessi questa comunità, ma solo porre qualche gesto che lo indica. Esso verrà come un dono e una sorpresa. Nel marzo scorso ero al Cairo e ho voluto visitare quella parte della città che i turisti raramente vedono, Mukatan. E la città dei raccoglitori di immondizie. In quel luogo vivono almeno 300.000 persone, in gran parte cristiani. Costoro ogni mattina vanno a raccogliere le immondizie della città e le portano a Mukatan dove le assortiscono per cercare quello che è possibile rivendere o riciclare. È il posto più sporco, puzzolente e deprimente che io abbia mai visto. Le persone sembrano mezze morte; anche i bambini che giocano a pallone in quelle strade sembrano quasi in letargo, come dei vecchi. A ridosso di questo orribile posto ci sono alcune rocce. Un artista polacco ha trascorso quasi tutta la sua vita a ricoprirle con immagini di Cristo glorioso. Quando i raccoglitori di immondizie ritornano a casa con i loro carretti ricolmi di carichi puzzolenti, possono ammirare su quelle rocce la trasfigurazione, la risurrezione e l’ascensione di Cristo. Le immagini proclamano che essi non sono raccoglitori di immondizie ma cittadini del Regno, destinati alla gloria futura. Essi si tengono vivi con dei segni. Questo è ciò che noi possiamo offrire. (Timothy Radcliffe O.P., Chiamati ad irradiare gioia).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 08 Agosto 2015ultima modifica: 2015-08-08T22:45:56+02:00da fraternidade
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