Giorno per giorno – 04 Luglio 2015

Carissimi,
“Allora si accostarono a Gesù i discepoli di Giovanni e gli dissero: Perché, mentre noi e i farisei digiuniamo, i tuoi discepoli non digiunano? E Gesù disse loro: Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto mentre lo sposo è con loro? Verranno però i giorni quando lo sposo sarà loro tolto e allora digiuneranno” (Mt 9, 14-15). Il contesto è quello del pranzo festoso che Gesù sta consumando “in casa” (v. 10) con i peccatori. I farisei, scandalizzati, poco prima, avevano posto l’accento sui commensali di Gesù, ora i discepoli di Giovanni Battista denunciano il pasto in sé e forse l’atmosfera in cui si svolgeva. Probabilmente, la “casa” in questione è anche la chiesa domestica della comunità di Matteo, che non si fa problema di accogliere i peccatori, e i farisei – che non ci sono più come partito religioso, quando viene messo per iscritto il vangelo – sono i nuovi detentori della dottrina e della morale che storcono la bocca sulla faciloneria con cui si accolgono alla mensa – anche eucaristica – persone di dubbia moralità. Anche i discepoli di Giovanni non ci sono più, sono stati sostituiti dai nostalgici delle pratiche ascetiche e dai custodi di una religiosità triste, ritualizzata e slegata dalla vita. Gesù, che ai farisei aveva risposto di essere venuto proprio per conquistare i peccatori, facendoli in questo caso sentire a proprio agio alla sua tavola e in sua compagnia, ora, rivolto ai discepoli di Giovanni, dice che non ha senso digiunare al “pranzo di nozze” che viene imbandito ogni volta che Dio è con noi, e ce ne sono i segni – il pane condiviso, il vino dell’allegria. Il digiuno ha senso solo quando Dio non c’è più, è messo ai margini, escluso, rifiutato. Significa che noi scegliamo di non fare più festa da soli, finché Dio non avrà fatto ritorno in mezzo a noi, e sarà la festa di tutti. L’eucaristia che celebriamo vuole, allora, da una parte consolarci di un’assenza, con i segni di una presenza povera, un poco di pane (e del lavoro che contiene), che in ogni caso non basta a saziare, e un poco di vino (e del lavoro che contiene), che tuttavia non arriva a inebriarci, e dall’altra, per questi stessi motivi, intende inquietarci, ricordandoci che viviamo in un mondo che non vede ancora saziate la fame e la sete, e dove si attende che noi si faccia la nostra parte (“fate questo in memoria di me”), divenendo pane e vino per la vita e l’allegria di chi ne è ancora privo.

Il nostro calendario ecumenico ci porta oggi la memoria di Andrea di Creta, pastore e innografo; di Jean Cardonnel, disobbediente per amore; e di Swami Vivekánanda, mistico indiano, figura chiave nel rinascimento dell’induismo del secolo XIX e promotore del dialogo tra le religioni.

Andrea era nato a Damasco, da Giorgio e Gregoria, una coppia di semiti cristiani, all’inizio della seconda metà del VII secolo. Quindicenne si recò a Gerusalemme ed entrò nel Monastero del Santo Sepolcro. Teodoro, patriarca di Gerusalemme, lo volle suo collaboratore e lo inviò, nel 680, a Costantinopoli, come suo delegato al VI Concilio ecumenico, convocato sotto il regno dell’imperatore Costantino IV. A Costantinopoli, Andrea fu ordinato diacono della Basilica di Santa Sofia e gli fu affidata la cura di un orfanatrofio e di una casa per anziani. Nell’anno 700 fu eletto vescovo della città di Gortina, nell’isola di Creta. Fu celebre come predicatore e compositore di inni sacri. Ci sono stati tramandati circa cinquanta sermoni e numerosi inni a lui attribuiti. Fu anche pastore pieno di premure per il suo popolo, nei tempi calamitosi dell’espansione musulmana. Tra gli inni da lui composti, il più noto è il Grande Canone, che viene cantato durante la quaresima nelle chiese ortodosse. Andrea morì nell’anno 740, a Mitilene, nell’isola di Lesbo.

Jean Cardonnel, era nato nel 1921 a Figeac (Francia). Entrato nell’Ordine dei Predicatori, nel 1940, fu ordinato prete nel 1947. Tre anni dopo fu fatto priore del convento di Marsiglia. Il caso dei coniugi Rosenberg, scoppiato proprio in quegli anni, lo portò a protestare con fermezza contro la pena di morte. Nello stesso tempo espresse il suo appoggio all’esperienza dei preti operai, avviata negli anni del dopoguerra. Quando, nel 1954, il Maestro Generale dell’ordine venne in Francia per condannarla, Cardonnel, per protesta, si dimise dall’incarico, continuando nel suo ministero come semplice frate. Nel 1958, sempre a Montpellier, denunciò il sistematico ricorso alla tortura in Algeria e si pronunciò per un’Algeria libera e indipendente. Il che gli causò l’allontamento dalla città. Inviato in Brasile per insegnare teologia a Rio de Janeiro, prese presto coscienza dei problemi del Terzo Mondo: povertà diffusa, operai senza salario, contadini senza terra, meninos de rua. Fece in tempo ad apprendere il portoghese, prima che i superiori e l’episcopato chiedessero il suo allontamaneto dal Paese. Nel 1968, con l’appoggio della rivista Témoignage Chrétien predicò la Quaresima alla Mutualité sul tema “Vangelo e rivoluzione”. Scoppiò così il “caso Cardonnel”. Il giornale Le Monde titolò: “Un prete rosso”. I superiori gli proibirono allora di parlare fuori di ambienti strettamente ecclesiastici e di scrivere su riviste che non fossero di conio teologico e scritturistico, senza aver ottenuto di volta in volta l’autorizzazione dell’Ordinario locale. Ma lui non ci sentì troppo. Continuò a scrivere, parlare, digiunare, manifestare, marcare presenza in tutti i punti caldi del pianeta. Nel 2002, di ritorno da un viaggio a La Réunion, più che ottantenne, trovò che il priore del convento di Montpellier gli aveva sgomberato la cameretta. Pensò non fosse giusto e denunciò il superiore per violazione di domicilio. Vinse la causa. Fu la prima volta che un tribunale francesce riconobbe che la cella di un frate è un domicilio privato. Jean Cardonnel morì il 4 luglio 2009. Lasciò scritto: “Il vero Dio lo si riconosce dal suono della sua Parola, la Parola fatta carne, nel soffio dello Spirito vivente, che dice a ciascuno di noi, a ciascuno nella nostra singolarità infinita: Anche se una madre dimenticasse il suo bambino, io non ti dimenticherò mai! Tu mi sei unico al mondo, in un mondo in cui bisogna urgentemente che ci siano solo degli unici al mondo”.

Narendranath Dutta (tale il suo nome di famiglia) era nato il 12 gennaio 1863, figlio di Bhuvanesvari Devi, una donna di grande pietà e cultura, e di un noto avvocato di Calcutta, Bisvanàth. Giovane brillante dall’intelligenza aperta e razionale, dai molteplici interessi e da un profondo senso della solidarietà umana, studiò filosofia e scienza occidentale a Calcutta. Lì incontrò colui che avrebbe fornito le risposte ai molti interrogativi del suo spirito: Sri Ramakrishna, di cui divenne discepolo. Alla morte di questi, nel 1886, Narendranath assunse il nome di Vivekánanda, che significa Beatitudine della conoscenza discernente. Obbedendo al compito, affidatogli dal suo maestro, di diffondere la conoscenza spirituale e di alleviare la miseria e le sofferenze degli umili e dei poveri, Vivekánanda cominciò a viaggiare in lungo e in largo per l’ India, denunciando l’abbandono e la miseria in cui era costretta la maggioranza della popolazione, lo statuto d’inferiorità della donna, e il vigente, disumano, sistema delle caste. Sollecitò misure concrete e immediate per fronteggiare nella misura del possibile queste sfide e fece di tutto per sensibilizzare e coscientizzare i ceti intellettuali sulla necessità di favorire il graduale passaggio del potere ai sudra, la casta più bassa e tuttavia maggioritaria dell’India. Nel 1893 Vivekánanda fu richiesto insistentemente di recarsi a rappresentare l’Induismo al Parlamento Mondiale delle Religioni, a Chicago. Dopo aver manifestato qualche resistenza, accettò. Il suo intervento colpì tutti per la sua forte spiritualità. La stampa internazionale gli tributò notevoli riconoscimenti, facendone conoscere la figura e il pensiero negli Stati Uniti e in Inghilterra. E anche in patria conobbe una grande popolarità. Soleva dire che “la fabbrica, lo studio, la fattoria, i campi, sono tutti luoghi ugualmente idonei all’incontro di Dio con l’essere umano, quanto la cella di un monaco e l’altare di un tempio” e aggiungeva che per lui “adorare Dio significa servire l’essere umano”. Disse anche: “Se proprio volete farvi un’idea del carattere di un uomo, non considerate le sue opere grandi. Il primo sciocco che passa può, in un istante della sua vita, comportarsi da eroe. Guardate piuttosto come un uomo compie le azioni più comuni: esse vi riveleranno il vero carattere di un grande uomo”. Morì il 4 luglio del 1902, a soli 39 anni di età.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro della Genesi, cap.27, 1-5. 15-29; Salmo 135; Vangelo di Matteo, cap.9, 14-17.

La preghiera del Sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

È tutto per stasera. Noi ci si congeda qui, con questa preghiera tratta da “Il Grande Canone” di Andrea di Creta. Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Come il vasaio plasma l’argilla, / mi hai dato, o mio Creatore, carne e ossa, alito e vita. / Signore che mi hai creato, mio giudice e mio Salvatore, / oggi, riportami da te. // O mio Salvatore, davanti a te confesso le mie colpe. / Sono caduto sotto i colpi del Nemico, / Ecco le piaghe dalle quali i miei pensieri di morte / come dei briganti, hanno ferito la mia anima e il mio corpo. // Ho peccato, Salvatore, ma so che tu ami l’uomo. / Ci castiga la tua tenerezza / e la tua misericordia è ardente. / Mi vedi piangendo e mi vieni incontro, / come il Padre accoglie il figlio dissoluto. // Fin dalla mia giovinezza, o mio Salvatore, / ho disprezzato i tuoi comandamenti. / Ho trascorso la mia vita nelle passioni e nell’incoscienza. / Grido a te: prima che venga la morte, salvami. // Io giaccio alle tue porte, o Salvatore, / solo ora nella vecchiaia, / ma tu non respingermi a vuoto nell’ade: / prima che morte mi ghermisca, / i miei peccati perdona, o amico degli uomini. // Nel vuoto ho dissipato il patrimonio della mia anima. / Non ho i frutti del fervore, e ho fame. / Grido: Padre, pieno di tenerezza, vieni a me, / prendimi nella tua misericordia. // (Andrea di Creta, Il Grande Canone I, 10-15)

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 04 Luglio 2015ultima modifica: 2015-07-04T22:47:16+02:00da fraternidade
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