Giorno per giorno – 01 Ottobre 2015

Carissimi,
“In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa! Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà messo dinanzi, prendetevi cura dei malati che vi si trovano, e dite loro: È vicino a voi il regno di Dio” (Lc 10, 5-6. 8-9). Dopo aver inviato in missione i Dodici, Gesù invia davanti a sé anche settantadue discepoli (tanti quanti la Bibbia affermava essere i popoli della terra) a prepararne la venuta. Li invita, in primo luogo, alla preghiera, perché Dio “mandi operai per la sua messe” (v. 2), e, subito dopo, presenta loro le modalità che dovranno caratterizzarne la missione: si lasceranno condurre da uno spirito nonviolento, pur di fronte all’aggressività e violenza del mondo, adotteranno uno stile di vita povero e libero, come il suo, porteranno come primo messaggio a quanti li riceveranno il saluto della “pace”. Stasera ci chiedevamo se Gesù, tornando a sorpresa tra noi, cristiani delle differenti chiese, saprebbe ancora riconoscere i suoi discepoli. Che non aveva mandato a insegnare un qualche catechismo, né a promulgare nuove leggi, né a celebrare nuovi riti, né a insegnare nuove devozioni. Aveva mandato ad augurare la pace – che era, nella lingua di Gesù, assai di più di ciò che noi intendiamo con questa parola: era lo stare bene insieme, sotto il segno della benedizione divina, all’ombra della sua misericordia, di cui si è segno gli uni per gli altri. Poi, aveva invitato a mangiare quanto venisse loro offerto, come segno dell’aprirsi alle differenti culture, superando limiti e restrizioni ereditati dalle proprie tradizoni (e, in ballo, c’era niente meno che la legge mosaica, interpretata come divina). Per ultimo, aveva dato loro la consegna del prendersi cura dei malati (di ogni infermità), come prova della vicinanza del regno di Dio. Tutto ciò che la chiesa ha pensato e formalizzato in seguito in termini di dottrina, di riti, di sacramenti e quant’altro, è a questo originario mandato del Maestro e Salvatore che deve rifarsi e su cui deve coinvolgerci. Pena il trasformarsi, e trasformarci, in qualcosa d’altro, che ha nulla a che vedere con Lui. Dovremmo pensarci su più spesso.

Oggi facciamo memoria di Teresa del Bambino Gesù, “piccola” sulla strada dell’Evangelo, e Jacques Fesch, convertito, contemplativo.

Teresa Martin, nacque ad Alençon, in Francia, il 2 gennaio 1873, in una famiglia profondamente religiosa. A 14 anni, manifestò l’intenzione di seguire le sue due sorelle, Paolina e Maria, nella vita del Carmelo. Superando tutti gli ostacoli che si opponevano alla sua precoce vocazione, riuscì ad entrare nel Carmelo di Lisieux l’anno seguente (1888), dove prese il nome di Teresa del Bambino Gesù e del Volto Santo. Come spesso, tuttavia, accade, la realtà che incontrò era lontana da essere quella idealizzata. Vi circolavano meschinità, tiepidezza, sgarbi e storture, ma la giovanissima monaca riescì a tenersi fuori dal gioco del risentimento e della sterile polemica. Intuì che non è criticando le consorelle che sarebbe riuscita a migliorare l’atmosfera del monastero, ma accettando la scommessa di farsi santa, esigendo da sé niente meno che tutto. Con semplicità e una buona carica di auto-ironia. La “via” è quella dell’infanzia spirituale: riconoscere la propria piccolezza, abbandonandosi con fiducia alla bontà di Dio, come un bambino tra le braccia della madre. Le prove spirituali che Teresa affrontò durante la sua vita nascosta – la “notte della fede”, il vuoto spirituale, la tentazione dell’incredulità – la rendono vicina a quanti conoscono l’angoscia del dubbio e della mancanza di fede. La sua fragile salute non gli permise di resistere ai rigori della vita di clausura. La sera del 30 settembre 1897, a 24 anni, Teresa morì di tubercolosi, unendo le sue sofferenze a quelle di Cristo sulla croce.

Jacques Fesch era nato a Saint-Germain-en-Laye, il 6 aprile 1930, figlio, come si dice, di buona famiglia. Ma, anche, una testa calda. Irrequieto, indisciplinato, ribelle, finì con l’essere espulso da scuola. A diciassette anni incontrò Pierrette Polack, dalla relazione con la quale nascerà una figlia, Veronica, e che, raggiunta la maggior età, deciderà, piuttosto riluttante, di sposare, nel giugno del 1951. Terminato il servizio militare, Fesch scoprì che lavorare non era proprio la sua vocazione. In compenso amava spendere. Un giorno, un amico gli prospettò l’idea di un’avventura per mare, in una vita libera da impegni, doveri, convenzioni. Ma, ci voleva una barca e la barca costava tanto. Si poteva comunque rimediare con una rapina. Fu così che il 18 febbraio 1954, a Parigi, prese quella che gli sembrava la decisione giusta: assaltare l’agenzia di cambio di un tale Sylberstein. Senza troppo successo, però, perché, questi fece a tempo a chiamare la polizia. Fesch fuggì, ma, per fermare l’agente che lo inseguiva, gli sparò e lo uccise. Senza che questo gli evitasse di essere arrestato, subito dopo. Il carcere fu, in ogni caso, la sua via di Damasco. Fu lì, infatti, che incontrò, improvvisamente e imprevistamente, Dio. Della ricchezza di questo incontro ci lasciò testimonianza nel diario steso negli ultimi mesi di vita. Fu condannato a morte il 6 aprile 1957. Pochi giorni prima dell’esecuzione, dopo aver letto “Storia di un’anima” di Teresa di Lisieux, aveva scritto: “Che graziosa piccola santa, come ci è vicina! Attraverso la ‘piccola via’, bisogna che giunga ad elevarmi. Offrire le più piccole cose che non sono troppo dure. Come il mio tabacco”. Ricordando poi che la santa aveva pregato intensamente per la conversione di un tal Pronzini, condannato a morte, scrisse ancora: “Ha salvato l’anima di un condannato a morte. Il mio caso è troppo simile al suo perché non se ne occupi”. Avrebbe voluto morire il 3 ottobre, giorno in cui allora si celebrava la memoria di Teresa di Lisieux. Fu ghigliottinato invece il 1º Ottobre 1957. Qualche anno più tardi, però, con la riforma del calendario, la memoria della santa fu fatta coincidere con la data liturgica della sua morte, sicché i due finirono per ritrovarsi accomunati. Con reciproca soddisfazione, presumibilmente.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro di Neemia, cap.8, 1-4a. 5-6. 7b-12; Salmo 19B; Vangelo di Luca, cap.10, 1-12.

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

Oggi, se ci fosse il vecchio Pedro (ma, a suo modo, c’è), avremmo ricordato la sua professione monastica, settantanni anni fa, il giorno della memoria della piccola Teresa (che a quel tempo era celebrata il 3 di ottobre): i due, nonostante le apparenze che li facevano così irrimediabilmente diversi, avevano tutto a che vedere l’uno con l’altra. E soprattutto con Quello che li aveva sedotti. Complimenti, Pedro! Se, per il mistero della comunione dei santi, ti resta del tempo libero, dai un’occhiata giù alla tua gente di Goiás. E ai suoi amici.

Per stasera è tutto. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura un brano della “Storia di un’anima” di Teresa di Lisieux. Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO

Madre mia, mi sembra di doverle ancora dare qualche spiegazione riguardo al passo del Cantico dei Cantici: “Attirami, noi correremo”, perché ciò che ho voluto dirne mi pare poco comprensibile. “Nessuno, ha detto Gesù, può seguirmi se il Padre mio che mi ha mandato non l’attira”. Dopo, per mezzo di parabole sublimi e spesso anche senza usare di questo mezzo tanto familiare al popolo, egli ci insegna che basta bussare perché ci venga aperto, cercare per trovare, e tendere la mano umilmente per ricevere ciò che chiediamo. Egli dice ancora che quanto chiediamo al Padre in suo nome, egli ce lo concede. Per questo senza dubbio lo Spirito Santo, prima della nascita di Gesù, dettò questa preghiera profetica: “Attirami, noi correremo”. Cos’è dunque chiedere di essere attirati se non di unirsi in modo intimo a ciò che capta il cuore? Se il fuoco e il ferro avessero intelligenza, e quest’ultimo dicesse all’altro: attirami, non proverebbe che desidera identificarsi col fuoco, in modo che esso lo compenetri e lo intrida con la sua essenza bruciante, e sembri diventare tutt’uno con lui? Madre cara, ecco la mia preghiera: chiedo a Gesù di attirarmi nel fuoco del suo amore, di unirmi a lui così strettamente che in me viva e agisca lui. Sento che, quanto più il fuoco dell’amore infiammerà il mio cuore, quanto più dirò: “Attirami», tanto più le anime che si avvicineranno a me (povero piccolo detrito di ferro inutile, se mi allontanassi dalla fornace divina) correranno anch’esse rapidamente all’effiuvio dei profumi del loro Amato. (Teresa di Lisieux, Scritto autobiografico C, 338).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 01 Ottobre 2015ultima modifica: 2015-10-01T22:15:01+02:00da fraternidade
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