Giorno per giorno – 07 Agosto 2014

Carissimi,
“Gesù, voltandosi, disse a Pietro: Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!” (Mt 16, 23). Pietro, qualche giustificazione ce l’aveva ancora, per uscire come se n’era uscito con Gesù, subito dopo averne confessato la messianicità. Mosso dall’affetto e dalla preoccupazione che aveva per il Maestro, ma anche, almeno in prospettiva, per l’immagine di Dio che sarebbe risultata messa a rischio di credibilità dall’avverarsi delle previsioni di Gesù. Com’è che Dio perde? Dio, noi, da sempre, lo pensiamo come il vincitore, e perciò anche i simboli che lo dicono possono essere solo espressione della sua sfolgorante vittoria. Cui i poteri tutti, politico, culturale, religioso, si piegano a prestare omaggio. Gesù, invece, sostiene che no, dice che la verità di Dio sarà condannata all’ostracismo proprio da quei poteri. Ma a cosa serve Dio, se non è per vincere? E non per far vincere noi, che siamo, tutto sommato, abbastanza sospetti, ma uno buono come Gesù. Beh, Pietro, ci dicevamo stasera, aveva delle attenuanti, perché non sapeva ancora la fine di quella storia in cui si era un po’ imprudentemente avventurato assieme agli altri amici, ma noi, come singoli e come chiese, duemila anni dopo, non ne abbiamo più. Come non ne abbiamo avute lungo tutto questo arco di tempo. Eppure, in qualche modo, diabolicamente ostinati – “Satana”, come Gesù ha chiamato Pietro in quell’occasione, subito dopo avergli detto che ne avrebbe fatto la pietra su cui costruire la sua chiesa –, noi tentiamo ogni volta di vincere, usando il potere. Lo constatiamo, sia nelle nostre piccole relazioni, che in quelle attraverso le quali ci azzanniamo per darci le regole di una “civile” convivenza. Dove finiscono per avere, sistematicamente, la meglio, la prepotenza dei poteri forti e la connivenza che si instaura tra loro. L’amore, e le forme che esso di volta in volta assume, sembra destinato a perdere sempre. Chi ama, perde. Si perde. Almeno apparentemente. Perché questa è la logica inscritta nel dono di sé. Che è la verità dell’amore, e perciò di Dio. E il segno della salvezza.

Oggi è memoria di Rabindranath Thakur (anglicizzato in Tagore), filosofo, poeta e mistico indiano.

Nato a Calcutta, il 6 maggio 1861, figlio di una famiglia di riformatori religiosi e sociali, che in tutte le maniere cercava di liberare l’India dai pregiudizi millenari che opprimevano il popolo, Rabindranath fu mandato, diciassettenne, in Inghilterra, per compiervi gli studi di Diritto; vi rimase un anno e mezzo, studiando però letteratura e musica. Tornato in patria, partecipò ai movimenti per l’indipendenza della India, ma quando questi imboccarono la via della violenza, se ne allontanò. Si rivelò presto poeta, musicista, teatrologo, novelliere e filosofo, profondamente identificato con la natura, innamorato della sua gente e, soprattutto, aperto all’infinito. Una serie di lutti, assai dolorosi lo segnarono profondamente nei primi anni del nuovo secolo: nel 1902 gli morì la moglie ventinovenne, Mrnalini, che gli aveva dato cinque figli, nel 1904 fu la volta di una figlia, l’anno successivo del padre e infine, nel 1907, perse il figlio minore. Notevole fu nella sua formazione l’influsso del misticismo dei sufi islamici e dell’insegnamento di Gesù, oltre che naturalmente del pensiero upanishadico. Per lui, la via migliore all’unione completa con Dio consiste nel donarsi con gioia all’amore e al servizio degli altri. Nel suo capolavoro, Gitanjali, scrisse: “Dammi la forza, o Signore, di non rinnegare mai il povero, / di non piegare le ginocchia di fronte al l’insolenza dei potenti”: vorremmo fosse il nostro programma di vita. Premio Nobel per la letteratura nel 1913, morì il 7 agosto 1941, acclamato da Gandhi come il “grande maestro” e riconosciuto da tutti gli indiani come il “sole dell’India”.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Geremia, cap.31, 31-34; Salmo 51; Vangelo di Matteo, cap.16, 13-23.

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi una poesia di Rabindranath Tagore, tratta dalla sua raccolta, pubblicata con il titolo “Noibeddo” (Edizioni ESCA – Vicenza). Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Vieni dunque, o Padrone, / in un momento propizio / e siediti in questo grande trono / fatto d’anima e di corpo. // Davanti ai miei due occhi, / per quanto si estende l’azzurro del cielo / non lasciare alcun posto vuoto per alcuno, / nel mio mare, nelle mie montagne, / nella foresta e nel giardino, / nel mio corpo e nel mio spirito, / nella compagnia e nella solitudine. // In queste tacite ore della notte / dormente al chiaror di luna, / Tu siediti in mezzo / a queste luci ed ombre / fatte di gioia e di tristezza. / Metti nelle mie lacrime / l’ambrosia della pace. / Accarezza con la tua delicata mano / tutte le mie memorie; / con amore d’innamorato / scendi e vieni / in forme di dolce consolazione. // Dentro tutti i legami della terra / rimanga, senza legami, / la tua grande redenzione. // (Rabindranath Tagore, Vieni, o Padrone!).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 07 Agosto 2014ultima modifica: 2014-08-07T22:35:15+02:00da fraternidade
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