Giorno per giorno – 07 Marzo 2018

Carissimi,
“Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento. Chi trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli.” (Mt 5, 17. 19). Una passo problematico, questo del discorso della montagna, che la liturgia ci ha proposto oggi. E che, a prima vista, potrebbe sembrare contraddittorio con altri insegnamenti e la pratica di Gesù. Ma solo a prima vista. Quando Gesù parla di Legge e Profeti, si riferisce ai libri che noi conosciamo come Antico Testamento. La validità del quale, in seguito, alcuni, nella comunità cristiana primitiva (e non solo), avrebbero cominciato a mettere in dubbio. Gesù è fatto, così, giocare d’anticipo. Non è un marziano, che appare dal niente. La sua vicenda si radica nella storia, nella cultura, nella fede, di un popolo concreto. Si spiega come compimento della promessa che lo ha accompagnato lungo i secoli e a sua volta interpreta e spiega quella storia, nella sua lenta evoluzione, nelle sue peripezie, contraddizioni, successi e retrocessi, come avviene nella storia di ogni altro popolo. Un amico ci diceva nei giorni scorsi che la Chiesa avrebbe dovuto escludere dalla Bibbia, giudicandola scandalosa, la storia del [mancato] sacrificio di Isacco, con l’assurda richiesta di Dio ad Abramo. E noi gli si é risposto che, procedendo con questa logica, si sarebbe dovuto eliminare gran parte dei racconti del libro sacro, assai piú scandalosi. Come la storia umana, nel suo svolgersi, appare spesso scandalosa. Dio, che non è schizzinoso, ha scelto di interagire e darsi “progressivamente” a conoscere proprio con e in questa storia, della quale noi vediamo in Gesù il compimento, l’esito felice, e il progetto che è proposto a noi. Proseguendo nella lettura, ascoltiamo Gesù parlare dei precetti e della necessità di osservarli tutti, anche quelli minimi. Se si riferisse ai precetti dell’antica Legge, sarebbe facile per lui essere preso in castagna, dato che a più riprese non esitò a trasgredirli (si pensi alle norme sul Sabato, alle regole di purità, a quelle sui castighi da comminare per certi peccati…). In realtà, i precetti cui si riferisce sono quelli che viene enunciando, spesso in opposizione a quelli antichi, proprio nel Discorso della montagna. Precetti che trovano la loro sintesi nel comandamento dell’amore per amici e nemici, che esprime la perfezione di Dio. E, dell’uomo, creato a sua immagine. Un programma impegnativo di revisione di vita per questa Quaresima.

Oggi il calendario ci porta la memoria di Perpetua e Felicita, dello sposo di questa, Revocato, di Saturnino e Secondulo, e del loro catechista, Saturo, tutti martiri a Cartagine. E di Swami Paramahansa Yogananda, mistico indù.

Le circostanze del martirio ci sono narrate nella Passione di Perpetua e Felicita, che comprende brani del diario dal carcere di Perpetua e di Saturo, ripresi e completati da un redattore anonimo, che alcuni pensano trattarsi di Tertulliano. Motivo della condanna a morte è l’intenzione di ricevere il battesimo che li farà cristiani, un passo a cui da tempo il gruppo si sta preparando. Perpetua è una giovane madre di ventidue anni, Felicita è una ragazza al suo servizio che, al termine della sua gravidanza, proprio in prigione dà alla luce un bambino. Inutili le pressioni che i parenti esercitano sui condannati perché abiurino ed abbiano così salva la vita: loro non si piegano. Secondulo muore di stenti, gli altri, il 7 marzo dell’anno 203 sono portati nell’arena, esposti alle belve e infine decapitati.

Mukunda Lal Gosh nacque a Gorakhpur, in India, il 5 Gennaio 1893, in una famiglia devota ed agiata. A 17 anni divenne discepolo di Swami Yukteswar Giri, nel cui eremitaggio trascorse i successivi dieci anni. Laureatosi, nel 1915, all’Università di Calcutta, entrò nell’ordine monastico degli Swami ricevendo il nome di Swami Yogananda. Nel 1920 s’imbarcò per gli Stati Uniti come delegato per l’India al Congresso internazionale di leaders religiosi a Boston. Il suo discorso al congresso, pubblicato in seguito con il titolo La scienza della religione, fu accolto con entusiasmo. Fondò poi la Self-Realization Fellowship allo scopo di diffondere nel mondo intero l’insegnamento plurimillenario dei suoi Maestri e la sua antica tradizione della meditazione (Kriya Yoga). Nel 1924 iniziò un tour continentale e, nel 1935, un viaggio di 18 mesi che lo portò in diversi paesi d’Europa e in India, nel corso del quale ebbe modo di incontrare personalità, come il Mahatma Gandhi (che chiese di essere iniziato alla tecnica del Kriya Yoga), Ramana Maharshi e Anandamoyi Ma. Fu in questi anni che il suo guru Sri Yukteswar gli conferì il più alto titolo monastico di Paramahansa. Il 7 Marzo 1952, Paramahansa Yogananda entrò nel Maha-Samadhi (uscita cosciente dal corpo da parte di un maestro nel momento della morte). Scrisse: “Ogni chiesa compie del bene, per questo le amo tutte. Quando diverranno spazi di comunione con Dio, allora adempiranno alla loro missione. Le chiese dovrebbero essere delle arnie traboccanti del miele della realizzazione di Dio. Se questo non si verificherà, vedrete i templi e le chiese scomparire lentamente. Allora la religione verrà praticata all’aperto, in luoghi solitari, dove le anime veramente desiderose di Dio l’incontreranno”.

I testi che la liturgia propone oggi alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro del Deuteronomio, cap.4, 1. 5-9; Salmo 147B; Vangelo di Matteo, cap.5, 17-19.

La preghiera del mercoledì è in comunione con quanti ricercano l’Assoluto della loro vita nella testimonianza per la pace, la fraternità e la giustizia.

È tutto per stasera. Noi ci congediamo lasciandovi alla lettura di una citazione di Paramahansa Yogananda, tratta dal suo “Nel santuario dell’anima” (Astrolabio), che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Rivolgetevi a Dio, pregatelo e invocatelo fino a quando non vi mostrerà come agiscono le sue leggi e non vi guiderà personalmente. Ricordate, è molto meglio meditare su Dio finché non provate un senso di calma interiore piuttosto che perdervi in una serie infinita di ragionamenti. Allora dite al Signore: “Non posso risolvere il mio problema da solo, anche se pensassi a una miriade di soluzioni diverse; ma posso risolverlo mettendolo nelle tue mani, chiedendoti prima di tutto di guidarmi, e continuando poi a pensare alle varie soluzioni possibili”. Dio aiuta coloro che si aiutano. Se la vostra mente è tranquilla e piena di fede, dopo aver pregato Dio nella meditazione riuscirete a intravedere diverse risposte ai vostri problemi, e poiché la vostra mente è calma, sarete in grado di individuare la soluzione migliore. Seguitela e tutto si risolverà per il meglio. Questo significa mettere in pratica la scienza della religione nella vita quotidiana. (Paramahansa Yogananda, Nel santuario dell’anima).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 07 Marzo 2018ultima modifica: 2018-03-07T22:24:31+01:00da fraternidade
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