Giorno per giorno – 06 Marzo 2018

Carissimi,
“Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: Servo malvagio, io ti ho condonato tutto il debito perché mi hai pregato. Non dovevi forse anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te? E, sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non gli avesse restituito tutto il dovuto” (Mt 18, 32-34). È la conclusione della parabola dei due debitori, il primo dei quali, a cui era stato condonato un debito iperbolico (diecimila talenti, equivalenti a 350 tonnellate d’argento o di oro), non aveva saputo condonare al suo compagno un credito di 100 denari (pari al salario di tre mesi). La quale ultima è già una cifa di tutto rispetto, ma assolutamente insignificante, uno zero assoluto di fronte alla prima. La parabola rappresentava la risposta di Gesù a Pietro che gli aveva chiesto quante volte avrebbe dovuto perdonare al fratello che l’offendesse. Settanta volte sette, aveva risposto categoricamente Gesù. Che, per chi conosce il valore simbolico della numerologia ebraica, significa poi “sempre”. Sicché, ad ogni perdono mancato, scatterà la punizione prevista. Infatti Gesù aveva aggiunto: “Così anche il mio Padre celeste farà a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore al vostro fratello” (v.35). Stamattina, durante la riflessione sul Vangelo, ci dicevamo che il perdono è una cosa concretamente ben difficile. Anche se ci si rende perfettamente conto che è la prova del nove dell’amore. Noi, infatti, non sapremo mai se l’amore che sperimentiamo è vero, gratuito, incondizionato, se non avremo avuto qualcosa (magari di molto, molto grande) da farci perdonare e da perdonare. Se questo è vero, sapremo anche che negarci al perdono, significa negarci all’amore. Cioè, all’esperienza di Dio in noi e attorno a noi. Saremmo, insomma, come un pesce fuor d’acqua, o noi privi di ossigeno. Il sentirci metaforicamente soffocati che ne deriva equivale allora agli aguzzini di cui dice la parabola, a cui noi stessi ci consegniamo fino al giorno in cui sapremo pronunciare la nostra parola di perdono, dopo aver scoperto il dono e perdono, infiniti, di cui Lui, Dio, con la vita, ci fa ad ogni istante oggetto.

Il calendario ci porta oggi le memorie di Martin Niemoeller, pastore della Chiesa Confessante, e Jean-Pierre de Caussade, mistico e maestro spirituale.

Martin Niemoeller era nato il 14 gennaio 1892 a Lippstadt, in Germania, dalla famiglia di un pastore evangelico. Durante la Prima Guerra Mondiale comandò un sommergibile della Marina tedesca. Anticomunista, aveva appoggiato inizialmente l’ascesa al potere di Hitler. Almeno fino a quando non si rese conto, nel 1934, del pericolo che il nazismo rappresentava per la vita e la testimonianza della Chiesa. Fu questo che portò lui e altri 2500 pastori luterani a firmare la Dichiarazione di Barmen con cui si denunciava il processo di progressiva identificazione della chiesa con lo Stato nazionalsocialista, voluto dal movimento razzista e antisemita dei Deutschen Christen, che presto conquistò la maggioranza dei consensi in seno alle chiese evangeliche. Costoro sognavano l’alleanza tra croce uncinata e croce cristiana, dichiaravano Hitler l’unto del Signore, investito di una missione divina per risollevare le sorti della Germania, pretendevano che potessero accedere all’ufficio di pastori solo gli appartenenti alla razza ariana e imponevano il giuramento di fedeltà a Hitler. In reazione alla Chiesa del Reich, nacque, per iniziativa di Niemoeller la Lega d’emergenza dei pastori e, successivamente, con Karl Barth e Dietrich Bonhoeffer, la Chiesa confessante con il compito salvare il messaggio cristiano dall’ideologia paganeggiante del nazismo. Una predica su questi temi, tenuta da Niemoeller nella chiesa di Dahlem, il 5 marzo 1935, provocò l’arresto di oltre settecento pastori evangelici. Il 1° luglio 1937 fu la volta di Niemoeller. Processato l’anno seguente e condannato a sette mesi di prigione, dopo il suo rilascio, fu nuovamente arrestato per ordine personale di Hitler. Confinato a Sachsenhausen e poi a Dachau, vi restò fino alla Liberazione nel 1945. Dopo la Guerra, Martin Niemoeller fu eletto Presidente delle chiese protestanti e, nel 1961, presidente del Consiglio mondiale delle Chiese. La sua lotta a favore del disarmo, la difesa di una posizione neutrale tra le due Germania, la sua lotta per la pace, gli valsero l’ostracismo da parte di molti politici occidentali. Niemoeller continuò imperturbabile a servire l’Evangelo della Pace fino alla fine dei suoi giorni. Confessò che la chiave della sua visione etica consisteva nel chiedersi in ogni situazione: Cosa farebbe Gesù al mio posto? Morì il 6 marzo 1984.

Non sappiamo molto di Jean-Pierre de Caussade, salvo il fatto che nacque nel 1671 e che entrò nella Compagnia di Gesù, a Tolosa, nel 1693. Svolse il suo ministero in compiti relativamente insignificanti. Per un anno fu direttore spirituale delle Suore della Visitazione, a cui indirizzò una serie di lettere, che in seguito furono raccolte nel testo “Abbandono alla Divina Provvidenza”, in cui de Caussade sottolinea l’importanza del sacramento del momento presente: incontrare Dio negli avvenimenti più umili del nostro quotidiano. Morì il 6 marzo 1751.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Daniele, cap.3, 25. 34-43; Salmo 25; Vangelo di Matteo, cap. 18, 21-35.

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali del Continente africano.

È tutto, per stasera. E noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura un passo del libro “Abbandono alla Divina Provvidenza” di Jean-Pierre de Caussade. Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Un tempo l’anima, attraverso idee e illuminazioni, vedeva quanto costituiva il piano della sua perfezione; non è più così nel suo stato presente: la perfezione le si presenta contro ogni idea, ogni luce e ogni sentimento; le si offre attraverso tutte le croci provvidenziali, nelle azioni del dovere presente, in certe attrattive che non hanno niente di buono se non che non portano al peccato, ma che sembrano ben lontane da ciò che è sublime e dalla virtù straordinaria. In queste croci che si succedono a intervalli si nasconde Dio il quale si dà con la sua grazia in un modo misterioso, perché l’anima sente solo la debolezza nel sopportare le croci, il disgusto verso i propri doveri, mentre le sue attrattive la portano a compiere esercizi molto comuni. L’ideale della santità non costituisce per lei che un rimprovero interiore verso le sue disposizioni basse e spregevoli; le vite dei santi la condannano e non trova di che difendersi di fronte a una santità che la riempie di desolazione, perché non ha la forza per raggiungerla, e non sente la sua debolezza come un dono divino, ma solo come viltà. Gli stessi amici e le persone che si distinguono per la loro virtù o la sublimità dei loro ragionamenti la guardano con disprezzo. “Bella santa!” si dice, e l’anima che pensa lo stesso, confusa per tanti sforzi inutili fatti per elevarsi da questa bassezza, si sazia di obbrobrio senza aver niente da rispondere né a se stessa né agli altri. Tuttavia sente come un’inclinazione fondamentale che la tiene ancorata in Dio e le suggerisce impercettibilmente che tutto andrà bene purché ella lasci fare e non viva che di fede. “Certo, dice Giacobbe, il Signore è in questo luogo e io non lo sapevo” . Tu cerchi Dio, anima cara, ed egli è dovunque, tutto te lo annuncia, tutto te lo comunica, egli ti passa a fianco, attorno, dentro, attraverso te, si ferma e tu lo cerchi! Come? tu cerchi l’idea di Dio con la sua sostanza; cerchi la perfezione ed essa sta in tutto ciò che spontaneamente ti si presenta. Le tue sofferenze, le tue azioni, le tue attrattive sono enigmi sotto i quali Dio si dà a te, mentre tu corri vanamente alla ricerca di idee sublimi di cui egli non vuole affatto rivestirsi per abitare in te. (Jean-Pierre de Caussade, Abbandono alla Divina Provvidenza).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 06 Marzo 2018ultima modifica: 2018-03-06T22:23:11+01:00da fraternidade
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