Giorno per giorno – 28 febbraio 2018

Carissimi,
“I capi delle nazioni, voi lo sapete, dominano su di esse e i grandi esercitano su di esse il potere. Non così dovrà essere tra voi; ma colui che vorrà diventare grande tra voi, si farà vostro servo, e colui che vorrà essere il primo tra voi, si farà vostro schiavo; appunto come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti” (Mt 20, 25-28). Come governino i capi delle nazioni, e come facciano pesare il loro potere, lo sappiamo anche oggi fin troppo bene, in alcuni luoghi e in alcuni tempi, più che in altri. Ciò che invece dimentichiamo troppo facilmente è il “non così dovrà essere tra voi”, dato che, per quel che è dato vedere, noi ci si sforza quasi sempre, con esiti ovviamente alterni, di fare “come” loro. Il regime di cristianità ne è stato spesso, lungo i secoli, la riprova. E c’è ancora chi si prova a scimmiottarlo. In versione cattolica o evangelica. La risposta di Gesù ai due discepoli, Giacomo e Giovanni, che gli chiedono di essere associati a lui in quella che ritengono l’imminente conquista del potere (segno che non erano proprio stati ad ascoltarlo, dato che aveva appena finito di preannunciare il suo arresto e la sua morte violenta), è categorica: il regno di Dio è altro, la logica che lo regge è l’esatto contrario di quella che vediamo in atto nelle potenze mondane. Là, il servizio e il dono della vita, qui l’asservimento, la rapina, la violenza e la morte. Le nostre comunità, le chiese (e noi con loro), se vogliono essere sacramento e laboratorio del Regno non possono che far propria la logica appresa dalla pratica di Gesù, tanto al loro interno, quanto in relazione agli altri, ivi compresa la valutazione delle proposte politiche che venga loro chiesto di avallare o che decidano autonomamente di appoggiare. Non in vista della ricerca di spazi di potere, di privilegi, vantaggi e protezioni, ma per la difesa degli ultimi, l’inclusione degli esclusi, la lotta per condizioni di vita dignitose per tutti. La Quaresima viene a ricordarcelo.

Oggi il calendario ci porta la memoria di uno dei grandi riformatori della Chiesa, Martin Bucero, testimone di pace e dialogo e quella di Teresita Ramirez Vargas, religiosa, martire della solidarietà in Colombia.

Martin Kuhhorn (che avrebbe scelto in seguito il nome umanistico di Bucero) era nato l’11 novembre 1491 a Schlettstadt, in Alsazia, da umile famiglia, ed era entrato quindicenne nell’Ordine domenicano. Nel 1517 fu inviato all’Università di Heidelberg per proseguirvi gli studi. Lì, l’anno successivo, conobbe Lutero e fu subito conquistato dalle sue idee. Allontanato dall’Ordine, nel 1521, svolse il suo ministero come prete secolare a Landstuhl, nel Palatinato, dove conobbe e poi sposò Elizabeth Silbereisen, una ex-monaca, che gli diede tredici figli, di cui uno solo sopravvisse. Trasferitosi a Strasburgo, nel 1523, divenne il principale riformatore della città. Sostenitore convinto della necessità di tornare all’Evangelo, organizzò la chiesa locale in una rete di piccole comunità, che avrebbero dovuto seguire il modello della Chiesa delle origini, delineato negli Atti degli Apostoli. Conobbe e influenzò notevolmente Giovanni Calvino. Nella controversia che opponeva Lutero e Zwingli sulla natura dell’Eucaristia, Bucero tentò inutilmente di mediare tra i due schieramenti. Si dedicò anche con entusiasmo alla ricerca di una riconciliazione fra protestanti e cattolici romani e a far opera di pacificazione nei confronti degli anabattisti. Quando la moglie morì di peste nel 1541, Bucero sposò Wibrandis Rosenblatt, già vedova, in ordine di tempo, dei riformatori Ludwig Keller, Johannes Heusegen (Giovanni Ecolampadio) e Wolfgang Capito. La donna gli diede tre figli, di cui una sola sopravvisse. Nel 1549, esiliato da Strasburgo, per ordine di Carlo V, si trasferì, su invito dell’arcivescovo Thomas Cranmer, in Inghilterra, dove fu ricevuto con tutti gli onori dal re Edoardo VI. Dopo un breve soggiorno a Londra, fu chiamato a Cambridge come professore. Qui lavorò alla sua opera De regno Christi e contribuì alla stesura del Book of Common Prayer della Chiesa anglicana. La morte lo colse il 28 febbraio 1551. Sotto il regno di Maria Stuart (1553-1558), i suoi resti furono esumati e bruciati, e la sua tomba demolita (1556), ma fu ricostruita nel 1560 dalla regina Elisabetta (1558-1603). Dopo Lutero e Melantone, Bucero fu il più influente dei riformatori tedeschi.

Di Teresita Ramirez Vargas disponiamo solo di pochi dati biografici. Nata il 15 ottobre 1947, a La Ceja, Antioquia (Colombia), era entrata nella congregazione della Compagnia di Maria. Inviata a Cristales, frazione del municipio di San Roque, a cinque ore da Medellin, si dedicava all’insegnamento nella scuola locale e all’attività pastorale, cercando insieme alla gente le vie per la formazione dell’uomo nuovo e una nuova società, alla luce del vangelo, e accompagnando i tentativi dei poveri di divenire responsabili della propria storia per raggiungere una vita più umana a livello personale e sociale. Le sue giornate erano perciò scandite dalle ore dedicate all’insegnamento, alla formazione di una coscienza critica, all’ascolto e all’incoraggiamento dei giovani, alle visite agli ammalati, a percorrere a piedi o a cavallo molti chilometri per accompagnare le famiglie e i gruppi di lavoro e di riflessione sul Vangelo. Il 28 febbraio 1989, alle undici del mattino, mentre dava lezione, due giovani sconosciuti fecero irruzione nella classe e la invitarono a uscire. Parlarono con lei per qualche secondo e le chiesero qualcosa. La suora rientrò in classe, andò fino alla cattedra e prese un foglio. Quando uscì le spararono a bruciapelo, sotto gli occhi terrorizzati dei suoi alunni, e dandosi poi alla fuga. Un anno dopo la sua morte, Martín Emilio Sánchez Rodríguez, un disertore dell’esercito, testimoniò davanti dell’Arcivescovo di Medellin, e, più tardi, davanti al Procuratore Generale che questo e altri delitti erano stati ideati ed eseguiti da membri della XIV Brigata dell’esercito. Poche settimane dopo aver prestato la sua deposizione, anch’egli fu ucciso. Le sorelle di Teresita così la ricordano: “Da quel giorno, a partire dalla sua testimonianza, si è ravvivata la consapevolezza che le azioni di morte pianificate dagli uomini non potranno mai impedire la realizzazione graduale della promessa di Gesù: Sono venuto perché tutti abbiano vita e l’abbiano in abbondanza. Pensare a Teresita, è ricordare una donna che, sedotta da Gesù, ha offerto la sua vita a servizio dei più poveri. Il suo sangue continua a fecondare oggi il lavoro di evangelizzazione tra i contadini e in altre istituzioni e progetti di educazione popolare che portano il suo nome e si ispirano alla sua testimonianza”.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da :
Profezia di Geremia, cap.18, 18-20; Salmo 31; Vangelo di Matteo, cap.20, 17-28.

La preghiera del mercoledì è in comunione con quanti ricercano la Verità del mondo e l’Assoluto della loro vita, lungo i sentieri dell’impegno per la pace, la giustizia e la fraternità tra popoli e individui.

Con stasera, al termine di una giornata di digiuno – il digiuno di Ester – i nostri fratelli ebrei entrano nella festa di Purim, che durerà domani e dopodomani. L’origine della Festa di Purim (o delle Sorti) è raccontata nel Libro di Ester. Assuero, re di Persia e di Media, dopo aver ripudiato la moglie Vasti, che aveva osato disobbedirgli, aveva sposato Ester, una ragazza ebrea “di bella presenza e di aspetto avvenente”, che era diventata la nuova regina. Ora proprio in quei giorni Amán che era primo ministro aveva chiesto e ottenuto dal re che tutti gli ebrei del regno fossero uccisi, in un giorno che sarebbe stato tirato a sorte (pur). Fu così tirato a sorte il 13 di Adar. Quando Mardocheo, zio della regina lo seppe, si rivolse ad Ester perché intercedesse presso il re in favore del suo popolo. Dopo aver digiunato un giorno intero, Ester parlò con il re delle macchinazioni del malvagio Amán. E Assuero cambiò le sorti (purim) degli ebrei e fece impiccare il primo ministro. Da allora è comandato agli ebrei “di festeggiare ogni anno il quattordici e il quindici del mese di Adar, come giorni in cui gli Ebrei avevano avuto quiete dai loro nemici, nel mese che si era mutato per loro da angoscia in allegria, da lutto in giorno di festa, per far di quei giorni, giorni di banchetto e di allegria, di scambio di doni l’uno con l’altro, e di regali per i poveri”(Est 9, 21-22).

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui e, prendendo spunto dalla memoria di Teresita Ramirez, vi proponiamo una citazione del teologo Jon Sobrino, tratta dal suo libro “Tracce per una nuova spiritualità” (Borla). Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Cristianamente vissuta, la persecuzione produce una solidarietà di ordine superiore, che va al di là del mutuo conforto e porta ad uguagliare chi è disuguale e a concepire la sua vita cristiana in base al riferimento all’altro. All’origine stessa della persecuzione vi è la solidarietà della Chiesa con il popolo povero e sofferente; viene così spezzata una barriera secolare e – sia pur all’interno delle disuguaglianze sociali, culturali e di funzioni ecclesiali – si raggiunge un’unità fondamentale, almeno nella speranza che la comune persecuzione scompaia e giunga il giorno della liberazione. La morte, che uguaglia tutti, sigilla questa unità fondamentale; ed è la solidarietà col popolo a generare unità all’interno della Chiesa locale e solidarietà di altre chiese con essa. Questa primaria e fondamentale unità porta anche a cogliere e ad apprezzare il fatto di un’unità fra diversi; soltanto che ora le differenze non sono volte alla divisione, bensì al completamento e all’arricchimento vicendevole. È un fatto che la persecuzione ha originato la messa in comune dei diversi apporti di molti, apporti tanto materiali quanto pastorali e teologici; e, a livello più profondo, ha abituato i cristiani a sapersi rimandati ad altri – come qualcosa di essenziale – per vivere cristianamente. Questo raggiunge i livelli della fede; se essa possiede un momento di responsabilità personale e non delegabile, possiede anche, per essenza, l’apertura all’altro, per vivere della sua fede e per confermarlo nella sua fede. La persecuzione, pertento, origina una unità che é anche solidarietà, sostegno reciproco; ciò si verifica fra cristiani in piccoli gruppi, all’interno di un’intera chiesa locale, fra le diverse chiese locali e fra le diverse confessioni cristiane. Lo spirito di solidarietà è in fondo l’atteggiamento e la convinzione che il cristiano non va a Dio da solo, ma all’interno di tutto un popolo. La persecuzione non fa che mostrare ciò in tutta la sua evidenza. Lo esige affinché i cristiani non vengano meno nella persecuzione, e lo genera, perché durante e dopo la persecuzione il cristiano si è abituato a vivere la sua fede sapendosi rimandato – per dare e ricevere – alla fede di altri. (Jon Sobrino, Tracce per una nuova spiritualità).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 28 febbraio 2018ultima modifica: 2018-02-28T22:12:50+01:00da fraternidade
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