Giorno per giorno – 01 Novembre 2017

Carissimi,
“Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: Signore, aprici! Ma egli vi risponderà: Non so di dove siete. Allora comincerete a dire: Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze. Ma egli vi dichiarerà: Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!” (Lc 13, 25-27). E noi che pensavamo di comprarci la salvezza, partecipando alla messa (è a questo, infatti, che qui si allude), e poi fare come tutti, senza che la messa (il corpo dato, il sangue versato per la salvezza di tutti) ci avesse se non cambiato, almeno scalfito la vita. Il padrone di casa della parabola, ogni sera si alza e chiude la porta, perché possiamo sapere se siamo dentro o fuori lo spazio della salvezza. Se, cioè, al di là di una qualche frettolosa professione di fede (la cui formulazione spesso non ci suggerisce più nulla), ci siamo davvero convertiti alla croce di suo Figlio, che mette a nudo la nostra colpevolezza e complicità rispetto all’ingiustizia (alle croci) del mondo, e ci apre, però, se lo vogliamo, all’esperienza del perdono, facendoci messaggeri di riconciliazione in vista di una ritrovata fraternità, che raggiunga tutti. La parabola aveva preso spunto dalla domanda di uno della folla che aveva chiesto a Gesù: sono pochi quelli che si salvano? Pochi, tanti, nessuno, tutti. Dipende in qualche modo dalla nostra scelta, qui ed ora. Dato che la mensa del regno di Dio, il banchetto della fraternità universale, è realtà che riguarda l’oggi di ogni tempo. Chi accoglie, è salvato, chi esclude, si autoesclude, è perduto. Come nella parabola del giudizio finale del vangelo di Matteo, non è questione di appartenenza religiosa, ma di una testimoninza di amore. Il “pianto e stridore di denti” che sperimenteremo nell’abisso del nostro egoismo e della nostra chiusura al Suo invito, saranno spesso ciò che ci porterà alla converrsione. Dato che tutti abbiamo sete di felicità, anche se ci capita di sbagliare bersaglio.

La festa di Ognissanti (che per voi è oggi, per noi, invece, cade sempre la prima domenica di Novembre) ci riporta alla mente tutti i santi che, in vario modo, hanno accompagnato le nostre esistenze fino ad oggi. Quelli, forse, contemplati solo da lontano, che ci eravamo presi come impossibili modelli. O, più semplicemente, coloro accanto ai quali abbiamo camminato, gioito, sofferto. Coloro che ci hanno amati e che abbiamo amato; quanti erano angeli sotto sembianze umane, e coloro che avevano così tanti difetti che non ne ricordiamo più nemmeno uno e perciò vuol dire che il buon Dio (che è meno cavilloso di santa madre Chiesa), li ha già canonizzati in proprio. Ognissanti sono tutti loro. Anche quelli che si muovono ancora oggi intorno a noi, le donne di qui, silenziose (mica sempre!) e forti. E gli uomini, duri, cocciuti, resistenti, che se si concedono qualche peccato, è per restare umili e senza difese nell’amore. Di quelle e di questi, oggi non si può fare il nome, perché si farebbe comunque torto a qualcuno. E oggi invece è Ognissanti. Tutti santi, per Dio. Tutti belli e buoni. Come per mamma.

Assieme a questa festa, il calendario ci porta la memoria di Rupert Mayer, gesuita, martire del totalitarismo nazista.

Rupert Mayer nacque a Stuttgart il 23 gennaio 1876, ed entrò nella Compagnia di Gesù, già sacerdote, nel 1900. Per alcuni anni si dedicò a predicare le missioni popolari in Germani, Austria e Svizzera, poi, a partire dal 1912, assunse la cura pastorale degli immigrati a Monaco. Cappellano militare durante la Prima Guerra Mondiale, fu ferito ed abbe la gamba sinistra amputata. Nel 1917 riprese la sua attività pastorale, dedicandosi soprattutto ai più poveri. Attento all’evoluzione politica del suo paese, avvertì subito la vera natura e il pericolo del nascente movimento nazista e affermò ripetutamente che un cattolico non poteva in nessun caso aderirvi. Quando Hitler salì al potere, il coraggioso prete continuò a difendere e diffondere pubblicamente le sue idee, il che gli costò numerosi arresti, fino all’internamento, nel 1939, nel campo ci concentramento di Sachsenhausen. Le sue gravi condizioni di salute convinsero i nazisti, l’anno successivo, a trasferirlo in domicilio coatto nel monastero benedettino di Ettal, nella Baviera settentrionale. Morì di un colpo apoplettico mentre teneva l’omelia della festa di Ognissanti, a Monaco, il 1° Novembre 1945. La sua preghiera preferita era: “Signore, come tu vuoi, quando tu vuoi, ciò che tu vuoi, perché tu lo vuoi”. Come ricordava il P. Peter-Hans Kolvenbach, preposito generale della Compagnia di Gesù, in occasione della sua beatificazione: “In tutto quello che faceva, la proclamazione della Buona Notizia era intimamente legata all’impegno a favore dei poveri e degli oppressi. In molte maniere viveva l’opzione preferenziale per i poveri, riconoscendo sempre in essi il Signore in persona […] Formò, altresì, dei laici responsabili che divennero compagni d’apostolato nella proclamazione del messaggio della Fede, nella difesa dei perseguitati, nella cura dei poveri”.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera ai Romani, cap.8, 26-30; Salmo 13; Vangelo di Luca, cap.13, 22-30.

La preghiera del mercoledì è in comunione con quanti ricercano l’Assoluto della loro vita nella testimonianza per la pace, la fraternità e la giustizia.

Con stasera, per qualche tempo, sospendiamo l’invio di questa lettera. Il nostro postino deve sottoporsi, nei prossimi giorni, a un piccolo intervento, di cui non ci hanno ancora specificato i tempi di recupero (che comunque speriamo breve). Ne approfittiamo per ringraziare quanti ci accompagnano in questa camminata a distanza: coloro che si fanno vivi di tanto in tanto, con qualche osservazione, una riflessione, una parola di incoraggiamento o di ringraziamento, e gli altri che comunque ci raggiungono con l’energia buona dell’amicizia e la forza e la comunione nella preghiera. A presto, dunque!

Oggi sono 60 anni dalla morte di un vostro pregevole poeta, nonché professore, scrittore e sacerdote, Clemente Rebora (6/1/1885 – 1/11/1957). Cui, nel congedarci, scegliamo di rendere omaggio, offrendovi in lettura una delle sue poesie più belle “Dell’immagine tesa”. Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Dall’immagine tesa / vigilo l’istante / con imminenza di attesa – / e non aspetto nessuno: / nell’ombra accesa / spio il campanello / che impercettibile spande / un polline di suono – / e non aspetto nessuno: / fra quattro mura / stupefatte di spazio / più che un deserto / non aspetto nessuno. / Ma deve venire, / verrà, se resisto / a sbocciare non visto, / verrà d’improvviso, / quando meno l’avverto. / Verrà quasi perdono / di quanto fa morire, / verrà a farmi certo / del suo e mio tesoro, / verrà come ristoro / delle mie e sue pene, / verrà, forse già viene / il suo bisbiglio. (Clemente Rebora, Dell’immagine tesa).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 01 Novembre 2017ultima modifica: 2017-11-01T22:30:58+01:00da fraternidade
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