Giorno per giorno – 31 Ottobre 2017

Carissimi,
“A che cosa è simile il regno di Dio, e a che cosa lo rassomiglierò? È simile a un granellino di senapa, che un uomo ha preso e gettato nell’orto; poi è cresciuto e diventato un arbusto, e gli uccelli del cielo si sono posati tra i suoi rami” (Lc 13, 18-19). È raro che nelle chiese si senta parlare di regno di Dio e che, per giunta, esso sia paragonabile a questa cosa insignificante della parabola: un chicco, uno, uno solo, il piú piccolo di tutti i semi, gettato, sembrerebbe quasi “gettato via”, nell’orto, inutile, invisibile, dimenticato. Quando noi siamo invece abituati a misurare tutto in termini di efficienza, di successo, soprattutto personale, di risultati. Sì, certo, il risultato, alla fine c’è anche nella parabola, ma é sempre nell’ordine delle piccole cose, quel seme cresce, diventa arbusto, e si offre come rifugio agli uccelli del cielo. Senza peraltro che lui, il metaforico semino, avesse, potremmo dire, avuto coscienza del segreto operare delle cose, né si fosse perciò proposto il raggiungimento di un qualche traguardo. Trovandosi comunque, a un certo punto, nel suo apparente nulla, a offrire rifugio, accoglienza e ristoro a chi è in fuga. Da una vita che ha spesso il sapore della morte. Il regno è questa cosa qui, il farsi strumento del dispiegarsi dell’ombra protettrice del Padre negli spazi che si camminano, facendo di questo norma per sé e proposta (anche per gli altri) di vita, nel rifiuto di ogni ripiegmento su di sé, volto a salvaguardarsi in vista di una illusoria affermazione che sarebbe, questa sì, un reale perdersi. Riusciremo mai, noi, la nostra comunità, la nostra chiesa, ad essere, come Gesù, quel seme?

Oggi ricordiamo Louis Massignon, profeta del dialogo tra le civiltà, Abba Roweis, egiziano, folle di Cristo, nonché l’inizio della Riforma protestante.

Louis Massignon nacque a Nogent-Sur-Marne (Francia), il 25 luglio 1883. Quand’era ancora incredulo, si appassionò per la cultura e la mistica islamica. Nel 1905 conobbe Charles de Foucauld, la cui testimonianza marcherà indelebilmente il cammino spirituale di Massignon. Nel 1908, accusato dalle autorità turche di spianoggio a favore del movimento nazionalista arabo, fu arrestato e incarcerato nelle prigioni di Bagdad. Qui, con una “visione” del patriarca Abramo, iniziò il processo della sua conversione, che Massignon fece coincidere con la data della sua prima confessione sacramentale, nella chiesa di san Giuseppe a Beirut, il 25 giugno 1908. Sposato con Marcelle Dansaert, ebbe tre figli. Trovò in Francesco d’Assisi il modello del dialogo con l’Islam e fece della non-violenza gandhiana la sua opzione di vita. Nel 1934, fondò con Maria Kahil, una cristiana egiziana, la Badaliya, una comunità che vuole contribuire alla fratellanza cristiano-musulmana, attraverso la preghiera, la carità e la santificazione personale. Nel 1949, Pio XII, ricevendolo in udienza, gli concesse di passare al rito cattolico greco-melchita, perché potesse essere ordinato sacerdote, nonostante il matrimonio. Solidale con la lotta di indipendenza dell’Algeria, non si stancò di pregare, digiunare, denunciare ripetutamente le violenze delle autorità coloniali francesi contro quel popolo. Morì improvvisamente d’infarto la notte del 31 ottobre 1962. Aveva scritto: “Esiste un popolo che nessuno veramente ama, perché nessuno veramente conosce, e che nessuno veramente conosce, perché nessuno veramente ama, e questo popolo è il popolo musulmano. Sento il dovere di dedicare tutta la mia vita per farlo conoscere e amare dai cristiani”.

Freig (questo il nome che gli diedero i genitori) nacque nel 1334 nel villaggio di Miniet Yameen, sul delta del Nilo, da una famiglia di contadini così poveri che il nostro, fin da bambino, dovette aiutare il padre a guadagnarsi da vivere. Nonostante la miseria, essi possedevano un cammello, chiamato Roweis (“piccola testa”), che aveva l’abitudine, quando il ragazzino non si alzava per tempo, di accovacciarglisi vicino e passargli la testa sui piedi per svegliarlo. Quando Freig ebbe vent’anni, scoppiò una dura persecuzione contro i cristiani. Temendo che questi arrivassero al punto di rinnegare la fede, decise di recarsi al Cairo, per consolare e incoraggiare i cuori pavidi. Fu allora che assunse il nome del suo vecchio cammello, Roweis, e cominciò a percorrere le regioni dell’Alto Egitto. Nulla possedendo, lavorava con le sue mani, digiunava e passava le notti vegliando e pregando. Girando nudo, con solo una cintola di cuoio in vita, passava nelle case, insegnava a pregare, benediceva le famiglie, curava i malati. Aggredito e percosso da malfattori, non si lasciava sfuggire un lamento. Spesso Cristo gli apparve, dialogando a lungo con lui. Indebolito dai digiuni e dalle privazioni, Roweis visse gli ultimi nove anni di vita , disteso sulla nuda terra. La gente continuava a recarsi presso di lui per chiedergli preghiere e consiglio. Quando presentì la fine, chiamò i suoi discepoli, lasciò loro il mandato dell’amore reciproco e li benedisse uno ad uno. Per la devozione che nutriva alla Vergine Maria, la pregò di farlo morire il giorno della sua festa. E, di fatto, egli morì il 21 babah del 1121 dell’era dei martiri (corrispondente al 18 ottobre 1404, nel calendario giuliano e, nel nostro calendario gregoriano, al 31 ottobre).

Risale al 31 ottobre 1510 la prima visita del monaco agostiniano Martin Lutero (1483-1546) a Roma e il suo incontro ravvicinato con la corte papale, che lo marcò dolorosamente per la frivolezza, il nepotismo e la corruzione che vi regnavano. Sette anni più tardi, il 31 ottobre 1517, Lutero avrebbe reso pubbliche le 95 tesi contro la predicazione delle indulgenze, così com’era praticata dal domenicano Johannes Tetzel. Egli non pensava ancora ad una riforma della Chiesa, né, tanto meno, sognava di provocare una divisione. Fu, infatti, solo a partire dalla sua condanna da parte del papa Leone X (1520), che Lutero, portato per una sorta di reazione a catena a posizioni ogni volta più radicali, elaborò una dottrina che mirava, nelle sue intenzioni, a restaurare i dati autentici della fede cristiana, così come sono proposti nella Sacra Scrittura. Tale dottrina chiariva con energia rinnovata i grandi principi dell’autorita della Bibbia (sola scriptura), della giustificazione per fede (sola fides), del perdono universale (sola gratia); dell’unico mediatore (solo Christo). Al di là di ogni intenzione soggettiva, il 31 ottobre divenne la data convenzionale che segna l’inizio della Riforma protestante.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera ai Romani, cap.8, 18-25; Salmo 126; Vangelo di Luca, cap.13, 18-21.

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali del Continente africano.

Ed è tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui e, prendendo spunto dalla memoria dei 500 anni della Riforma protestante, vi offriamo in lettura il testo di un pastore luterano che seppe dare una testimonianza formidabile all’Evangelo di Gesù, in tempi straordinariamente difficili, Dietrich Bonhoeffer. Tratto dalla premessa al suo libro “Sequela” (Queriniana), è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
La Sacra Scrittura, quando invita a seguire Cristo, annunzia la liberazione dell’uomo da ogni precetto fatto da uomini, da tutto ciò che pesa, che opprime, che preoccupa, da tutto ciò che tormenta la coscienza. Seguendo Cristo gli uomini si liberano dal pesante giogo delle loro proprie leggi e si pongono sotto il dolce giogo di Gesù Cristo. Forse che in questo modo la serietà dei comandamenti di Gesù è diminuita? Tutt’altro! Proprio Il dove viene mantenuto tutto il comandamento di Gesù, l’invito a seguirlo incondizionatamente, si rende possibile la totale liberazione dell’uomo e la sua piena comunione con Gesù. Chi obbedisce senza riserve al comandamento di Gesù, chi accetta il suo giogo senza alcuna opposizione, proverà quant’è dolce il peso che deve portare, riceverà nella leggera pressione di questo giogo, la forza di camminare per la via diritta senza stancarsi. Il comandamento di Gesù è duro, inumano per chi gli oppone resistenza. Il comandamento di Gesù è leggero e dolce per colui che lo accetta con prontezza. “l suoi comandamenti non sono gravosi” (1Gv 5, 3). Il comandamento di Gesù non ha nulla a che vedere con energiche “cure dell’animo”. Gesù non ci chiede nulla senza darci anche le forze per attuarlo. Il comandamento di Gesù non vuole mai distruggere la vita, ma sempre mantenerla, fortificarla, guarirla. Ma resta ancora la domanda, che senso possa avere, oggi, l’invito a seguire Gesù per l’operaio, per l’uomo d’affari, per l’agricoltore, per il soldato; la domanda, se in questo modo nell’esistenza dell’uomo e del cristiano che lavora nel mondo non venga suscitato un insopportabile dissidio. Il cristianesimo di chi segue Gesù non sarebbe accettabile solo da una minima parte di uomini? Non si rischierebbe di respingere la massa del popolo? di disprezzare i deboli e poveri? Non si rinnegherebbe proprio così la grande misericordia di Gesù Cristo, che è venuto dai peccatori e pubblicani, dai poveri e deboli, da chi erra e dispera? Che dire? Sono pochi o sono molti coloro che appartengono a Cristo? Gesù è morto sulla croce, solo, abbandonato dai suoi discepoli. Accanto a lui erano crocefissi non due dei suoi fedeli, ma due malfattori. Ma sotto la croce c’erano tutti: nemici e credenti, dubbiosi e paurosi, schernitori e vinti, e Gesù pregò per tutti e per tutti implorò il perdono. L’amore misericordioso di Dio vive in mezzo ai suoi nemici. È lo stesso Gesù Cristo la cui grazia invita noi a seguirlo e la cui grazia salva il malfattore crocefisso nella sua ultima ora. L’invito a seguirlo dove condurrà coloro che lo seguono? Quali scelte e quali divisioni porterà con sé? Questa domanda dobbiamo rivolgerla a Colui che solo sa darci una risposta. Gesù Cristo, che ci comanda di seguirlo, è il solo a sapere dove ci condurrà questa via. Ma noi sappiamo che sarà senz’altro una via indicibilmente misericordiosa. Seguire Gesù è letizia. (Dietrich Bonhoeffer, Sequela).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 31 Ottobre 2017ultima modifica: 2017-10-31T22:29:07+01:00da fraternidade
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