Giorno per giorno – 30 Ottobre 2017

Carissimi,
“Gesù stava insegnando in una sinagoga il giorno di sabato. C’era là una donna che aveva da diciotto anni uno spirito che la teneva inferma; era curva e non poteva drizzarsi in nessun modo. Gesù la vide, la chiamò a sé e le disse: Donna, sei libera dalla tua infermità, e le impose le mani. Subito quella si raddrizzò e glorificava Dio” (Lc 13, 10-13). Dio, se qualcuno dei suoi figli non sta bene o, peggio, se è curvo su di sé, oppresso da situazioni, cose, persone, sistemi, senza che gli sia concesso di vedere gli altri in volto e riconoscere in loro i suoi fratelli di uguale dignità, Dio non se ne può star quieto a godersi il Sabato, il suo riposo. Dato che negherebbe sé come Padre (quale padre, infatti, potrebbe starsene in panciolle davanti al figlio che sta male?). Dio sarebbe in questo caso lui stesso un senzadio. Quindi, se anche, come nel vangelo di oggi, la donna inferma, “che non poteva drizzarsi” non chiede nulla a Gesù, sa infatti bene ciò che la religione permette e ciò che proibisce, è lo stesso Gesù che, in nome e con l’autorità di Dio, prende l’iniziativa, butta a mare la Legge, e smaschera il religioso (ogni religioso), che usa la religione per opprimere o anche solo lasciar opprimere l’uomo da un qualche male. E questo è l’insegnamento che egli lascia anche a noi, sua Chiesa. Non c’è verso di sottrarcene: o si è con Dio, a favore dell’uomo, di ogni uomo (e donna, naturalmente), per riscattarlo dalla sua sofferenza, rimetterlo in piedi, restituirlo alla sua dignità, a costo di trasgredire la religione, o si è con i custodi di una religione senza vita, senza cuore e senza Dio, che fa questione di tempi, luoghi, persone, situazioni, con la pretesa di mettere dei limiti – ma così privandola di senso – alla sequela di Gesù.

Oggi, il calendario ci porta le memorie di Marcello di Tangeri, obiettore di coscienza, martire della non-violenza, e di Santo Dias, martire della giustizia e della solidarietà.

Giovane nordafricano, Marcello era centurione dell’esercito romano, quando, scegliendo la non-violenza, rifiutò di continuare a servire in armi l’impero. Gli atti del processo riferiscono che il 21 luglio del 298, mentre si celebrava la festa degli “augusti imperatori” Marcello, centurione ordinario, gettò le sue armi alla presenza della truppa riunita e proclamò la sua rinuncia al servizio militare per servire nella milizia di Cristo. Il 28 luglio fu interrogato dal comandante Fortunato, il quale considerando la gravità del delitto, decise di inviarlo al suo superiore gerarchico, Aurelio Agricolano, a Tangeri. Il 30 ottobre Marcello, introdotto alla sua presenza, fu interrogato nuovamente. Agricolano gli chiese: “Quale furore ti ha preso così da profanare il giuramento?”. Marcello rispose: “Non è certo pazzo uno che teme Dio”. Agricolano domandò ancora: “È vero che hai gettato a terra le armi?” e Marcello di ritorno: “Sì, non è lecito infatti combattere al servizio del potere di questo mondo per un cristiano che teme Cristo Signore”. Agricolano disse allora: “Si decreta che sia condannato a morire di spada Marcello che pubblicamente ha rinnegato il suo giuramento e profanato il grado di centurione, nel quale militava, ed ha pronunziato le parole piene di follie riportate negli atti del comandante”. E mentre veniva condotto al supplizio, Marcello disse: “Il Signore ti benedica”. E dopo queste parole venne ucciso con la spada.

Santo Dias era nato il 22 febbraio 1942, nella Fazenda Paraíso, municipio di Terra Roxa (entroterra di São Paulo), da Laura Amâncio e Jesus Dias da Silva. Dopo aver lavorato come bracciante, partecipando al sindacato dei lavoratori agricoli e alle sue azioni di lotta, nel 1961 fu espulso dalla terra dove era colono, per aver chiesto di essere messo a libretti e si trasferì nella capitale. Assunto in una fabbrica metallurgica, fu membro attivo delle Comunità ecclesiali di base e ministro dell’Eucaristia, agente della Pastorale operaia e leader sindacale. A causa di questa sua militanza subì ripetutamente repressione e licenziamenti, senza mai lasciarsi intimidire. Sposato con Ana Maria, da cui ebbe due figli, Santinho e Luciana, fu ucciso a 37 anni, durante una pacifica manifestazione di lavoratori metallurgici a São Paulo il 30 ottobre 1979. I funerali, presieduti, nella cattedrale di São Paulo, dal card. Paulo Evaristo Arns e da altri undici vescovi, riunirono migliaia di persone, delle comunità cattoliche, ma anche rappresentanti delle chiese evangeliche, ebrei, spiritisti, seguaci delle religioni afro e dei movimenti politici allora in lotta per la democrazia.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera ai Romani, cap.8, 12-17; Salmo 67; Vangelo di Luca, cap.13, 10-17.

La preghiera di questo lunedì è in comunione con i fedeli del Sangha buddhista.

È tutto, per stasera. Prendendo spunto dalla memoria di Marcello di Tangeri, con la sua scelta nonviolenta, vi proponiamo, nel congedarci, un brano di don Tonino Bello, tratto dal suo libro “Alla finestra la speranza” (Edizioni Paoline). Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
A dir il vero, noi non siamo molto abituati a legare il termine “pace” a concetti dinamici. Raramente sentiamo dire: “Quell’uomo si affatica in pace”, “lotta in pace”, “strappa la vita con i denti in pace”. Più consuete nel nostro linguaggio sono, invece, le espressioni: “Sta seduto in pace”, “sta leggendo in pace”, “medita in pace” e, ovviamente, “riposa in pace”. La pace, insomma, ci richiama più la vestaglia da camera, che lo zaino del viandante. Più il conforto del salotto, che i pericoli della strada. Più il caminetto, che l’officina brulicante di problemi. Più il silenzio del deserto, che il traffico della metropoli. Più la penombra raccolta di una chiesa, che una riunione di sindacato. Più il mistero della notte, che i rumori del meriggio. Occorre, forse, una rivoluzione di mentalità per capire che la pace non è un “dato”, ma una conquista. Non un bene di consumo, ma il prodotto di un impegno. Non un nastro di partenza, ma uno striscione di arrivo. La pace richiede lotta, sofferenza, tenacia. Esige alti costi di incomprensione e di sacrificio. Rifiuta la tentazione del godimento. Non tollera atteggiamenti sedentari. Non annulla la conflittualità. Non ha molto da spartire con la banale “vita pacifica”. Non elide i contrasti. Espone al rischio di ingenerosi ostracismi. Postula la radicale disponibilità a “perdere la pace” per poterla raggiungere. Dal deserto del digiuno e della tentazione fino al monte Calvario (salvo una piccola sosta sulla cima del Tabor), la pace passa attraverso tutte le strade scoscese della Quaresima. E quando arriva ai primi tornanti del Calvario, non cerca deviazioni di comodo, ma vi si inerpica fino alla croce. Si, la pace, prima che traguardo, è cammino. E per giunta, cammino in salita. Vuol dire, allora, che ha le sue tabelle di marcia e i suoi ritmi. I suoi percorsi preferenziali e i suoi tempi tecnici. I suoi rallentamenti e le sue accelerazioni. Forse anche le sue soste. Se è così, occorrono attese pazienti. E sarà beato, perché operatore di pace, non chi pretende di trovarsi all’arrivo senza essere mai partito. Ma chi parte. Col miraggio di una sosta sempre gioiosamente intravista, anche se mai (su questa terra, s’intende) pienamente raggiunta. (don Tonino Bello, Alla finestra la speranza).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 30 Ottobre 2017ultima modifica: 2017-10-30T22:27:44+01:00da fraternidade
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