Giorno per giorno – 23 Ottobre 2017

Carissimi,
“Uno della folla disse a Gesù: Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità. Ma egli rispose: O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi? E disse loro: Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende dai suoi beni” (Lc 12, 13-15). Che siano frutto o meno di un’eredità spartita o da spartire, il problema è cosa intendiamo fare dei beni che abbiamo o avremo a disposizione. Gesù rifiuta di farsi eleggere a elemento di divisione di cose e, perciò, inevitabilmente, di contrapposizione di persone, nume tutelare dei diritti di proprietà, degli egoismi benedetti, dell’accumulo di ricchezze a beneficio di pochi. Questo è semmai l’aspetto demoniaco (non a caso “diavolo” significa “divisore”) di un sistema, in cui gli uomini sacrificano la fraternità al possesso dei beni. Resta aperta la sfida a noi, di vivere la fruizione dei beni che abbiamo e che siamo, sotto il segno della solidarietà e della comunione. Che è l’unica maniera per arricchire davanti a Dio. Perché ci rende come Lui.

Il calendario ci porta oggi le memorie dello staretz Ambrogio di Optina, “fatto tutto a tutti”; di Vilmar José de Castro, maestro e catechista, e di Nativo da Natividade de Oliveira, sindacalista, entrambi martiri in Brasile.

Alexander Mikajlovic Grenkoff era nato il 21 novembre 1812 in una famiglia del clero minore. Suo padre era infatti lettore nella parrocchia di un villaggio nel governatorato di Tambov. Conclusi gli studi in seminario, il giovane scoprì che la carriera ecclesiastica non era fatta per lui. Se ne tornò perciò a casa e per qualche tempo insegnò nella locale scuola elementare. Ma, via via, sentì crescere in lui la vocazione monastica, sicché, nell’autunno del 1839, chiese ed ottenne di entrare nel monastero di Optina. Qui vestí l’abito, assumendo il nome di Ambrogio. Ordinato diacono e poi prete, dovette limitare le sue attività a causa delle precarie condizioni di salute. Sfruttando le sue conoscenze di greco e latino, curò per alcuni anni l’edizione di testi patristici. L’attivita di carattere erudito tuttavia non gli era particolarmente congeniale, venne perciò dedicando sempre più tempo alla direzione spirituale (starcestvo), profondamente radicata in una vita di preghiera e di ascesi. E continuò così per tutta la vita. Ogni volta più malconcio, ogni volta più ricercato dalla gente, ogni volta più dolce, dedicato, identificato con quanti ricorrevano a lui per parlargli e riceverne il consiglio. Nell’estate del 1890, per l’aggraversi delle sue condizioni di salute, si trasferì a Sciamordino, nel monastero femminile, da lui fondato nel 1884. Continuò tuttavia a ricevere visitatori da mattina a sera, ininterrottamente. All’inizio di ottobre ci si rese conto che la fine si approssimava. Il 10 Ottobre 1891 (23 ottobre secondo il calendario gregoriano), alle 11,30, terminate le preghiere del trapasso, Ambrogio sollevò il braccio, fece il segno dalla croce e si spense. Sulla lapide della sua tomba furono incise le parole dell’apostolo Paolo: Sono stato debole con i deboli, al fine di guadagnare i deboli. Mi sono fatto tutto a tutti per salvarne in ogni modo qualcuno”.

Vilmar José de Castro era nato nel 1959 in una famiglia di piccoli agricoltori di Caçu, nel Sud-est goiano. Maestro rurale, era agente di pastorale della diocesi di Jataí, membro della Commissione Pastorale della Terra, integrante della Scuola Biblica regionale. Fu assassinato il 23 ottobre 1986 tra Caçu a Itarumã, sulla strada che percorreva ogni giorno per recarsi a scuola. Vilmar aveva rappresentato la sua diocesi al 6º Incontro Nazionale delle Comunità ecclesiali di Base, che si era svolto pochi mesi prima a Trindade. Durante la celebrazione dei martiri, quanti dei presenti avevano ricevuto minacce di morte furono invitati ad alzarsi. Vilmar era tra loro. Di fatto, da quando la UDR, il nuovo sindacato dei latifondisti, aveva cominciato a operare a Caçu, il nome di Vilmar era fatto spesso, in maniera non propriamente benevola, dai grandi proprietari. Che aspettarono solo l’occaisone giusta per colpirlo ed eliminarlo. Subito risaputa da tutti fu la complicità e la copertura offerta nella perpetrazione del delittto dalla famiglia Teixeira, una famiglia di latifondisti della zona. Con Vilmar si volle colpire la voce della Chiesa, “colpevole” di una pastorale a favore dei contadini senza terra, dei piccoli produttori e dei lavoratori urbani, che metteva in pericolo i loro interessi economici.

Nativo da Natividade de Oliveira era nato a Doresopolis, in Minas Gerais, il 20 novembre 1953, da Laurita de Oliveira e Benedito Rodrigues de Oliveira. Nel 1961, la famiglia si era trasferita nella zona rurale del municipio di Carmo do Rio Verde (Goiás), dove nel 1967 dona Laurita morì. Nel 1972 Nativo sposò Maria di Fátima Marinelle, da cui ebbe due figli: Luciene ed Eduardo. Attivo nelle comunità ecclesiali di base, nel 1975 conobbe dom Tomás Balduino, allora vescovo di Goiás, che lo convinse a dedicarsi al lavoro di coscientizzazione e organizzazione sindacale. Impegno che egli assunse, almeno inizialmente, senza troppa fortuna, dovendosi scontrare con la difficile situazione politica, con l’atteggiamento minaccioso del padronato e con la paura dei lavoratori rurali. All’inizio degli anni 80, insieme ad Adão Rosa e altri compagni, Nativo, pur continuando il suo lavoro nei campi, collaboró alla fondazione del Partito dei Lavoratori (PT) nello Stato di Goiás e delle Conferenze della Classe Lavoratrice (CONCLAT), che costituirono l’embrione della Centrale Unica dei Lavoratori (CUT), che lo vide tra i suoi quadri dirigenti in Goiás. L’organizzazione sindacale cominciò progressivamente a prendere piede e a conquistare la fiducia dei lavoratori. Ma questo determinò la rabbiosa reazione dei potentati locali. Il 1984, con la fine della dittatura, segnava l’inizio di una nuova stagione politica per il Brasile. L’anno seguente, le elezioni delle rappresentanze sindacali segnarono una netta vittoria del sindacato guidato da Nativo. Era evidentemente troppo. Il 23 ottobre 1985, alle 19,30, veniva ucciso con cinque colpi di fucile davanti alla sede del Sindacato dei Lavoratori rurali di Carmo do Rio Verde. Il pistoleiro, Júlio Santana, confesserà in seguito che il delitto era stato commissionato dal sindaco della città, Roberto Pascoal Liérgio, e dal presidente del sindacato dei Proprietari rurali, Geraldo dos Reis Oliveira. Che restarono impuniti.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera ai Romani, cap.4, 20-25; Salmo (da Lc 1, 69-75); Vangelo di Luca, cap.12, 13-21.

La preghiera di questo lunedì è in comunione con le grandi religioni dell’India: Vishnuismo, Shivaismo, Shaktismo.

Bene, prendendo spunto dalla memoria di Ambrogio di Optina, vi proponiamo, nel congedarci, il testo di una sua lettera, che troviamo in rete e che é, per oggi il nostro

PENSIERO DEL GIORNO

Il santo apostolo Paolo nella sua lettera agli Efesini scrive: Fatevi dunque imitatori di Dio, quali figli carissimi (Ef 5,1). I cristiani autentici possono imitare Dio soprattutto attraverso l’osservanza dei seguenti tre comandamenti evangelici : 1) Il Signore dice nell’Evangelo: Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso. Egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti (Lc 6,36; Mt 5,45). Questo comandamento significa, in primo luogo, che l’uomo deve essere compassionevole nei riguardi dei suoi prossimi quando fa la carità, non distinguendo fra i degni e gli indegni. E poi esso richiede da noi la condiscendenza verso i prossimi e il perdono di tutte le loro mancanze, ingiurie e molestie. 2) Il santo apostolo Pietro scrive: Come figli obbedienti, non conformatevi ai desideri di un tempo, quando eravate nell’ignoranza, ma, come il Santo che vi ha chiamati, diventate santi anche voi in tutta la vostra condotta. Poiché sta scritto: Sarete santi, perché io sono santo (1Pt 1,14–16). Questo comandamento significa che l’uomo deve conservare la sobrietà (σωφροσύνη) e la purezza del corpo e del anima non soltanto in ciò che riguarda la passione carnale, ma anche in ciò che riguarda le altre passioni, perché anche l’invidia e l’odio e il rancore costituiscono l’impurità dell’anima. 3) Viene detto nell’Evangelo di Matteo: Siate perfetti, come è perfetto il vostro Padre celeste (Mt5,48). La perfezione cristiana, secondo sant’Isacco il Siro, risiede nella profondità dell’umiltà. Il fariseo, come egli stesso attesta di sé, non era soggetto a nessun vizio; però, poiché si vantò, giudicò e condannò il pubblicano, non soltanto perdette tutto, ma fu anche rigettato da Dio. Per questa ragione il Signore dice: quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili; abbiamo fatto quanto dovevamo fare (Lc 17,10). Per quanto un cristiano possa essere saldo e accurato nel compiere i suoi doveri cristiani, questa sua osservanza e opera spirituale, secondo la parola dei santi Padri, può essere assimilata soltanto a una piccola piscina o a un piccolissimo laghetto, mentre i comandamenti di Dio sono simili a un vasto oceano, come dice il santo profeta Davide: l’ampiezza dei tuoi comandi è infinita (Sal 118,96). Davanti a questa ampiezza si umiliano anche i grandi santi, chiamando se stessi polvere e cenere e stimando se stessi peggiori di ogni creatura. O, come si espresse il più sapiente degli apostoli, san Paolo: dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la meta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù. Tutti noi, che siamo perfetti, dobbiamo avere questi sentimenti (Fil 3, 13–15). (Ambrogio di Optina, Lettere).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 23 Ottobre 2017ultima modifica: 2017-10-23T22:18:30+02:00da fraternidade
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