Giorno per giorno – 19 Ottobre 2017

Carissimi,
“Guai a voi, che costruite i sepolcri dei profeti, e i vostri padri li hanno uccisi. Così voi date testimonianza e approvazione alle opere dei vostri padri: essi li uccisero e voi costruite loro i sepolcri” (Lc 11, 47-48). Che sarebbe come dire, oggi: voi costruite altari e dedicate chiese ai santi e ai martiri di altri tempi, ma, in pratica, continuate a comportarvi come i loro perseguitori, opprimendo, usando violenza e uccidendo chi viene a ricordarvi, al di là di ogni segno religioso, che costituisce spesso l’alibi e il rifugio di una cattiva coscienza, la priorità dell’annuncio e della testimonianza del Regno. Che dice rispetto alla vita e vita piena i tutti. Poi Gesù, in questo suo lamento sulla gente che diremmo oggi di chiesa, ce ne ha una per i canonisti dell’epoca: “Guai a voi, dottori della legge, che avete tolto la chiave della scienza. Voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare l’avete impedito”. E la chiave della scienza di Dio è la misericordia, tolta la quale, si resta e si lascia fuori coloro ai quali si sarebbe dovuta comunicare la lieta (!) notizia dell’amore di Dio. Peccato!

Il calendario ci porta oggi la memoria di Daudi Okelo e Jildo Irwa, catechisti e martiri in Uganda, e quella di Aldo Capitini, maestro di nonviolenza.

Daudi Okelo e Jildo Irwa appartenevano entrambi alla tribù Acholi, stanziata ancor oggi nel Nord dell’Uganda. Daudi era nato nel 1902 da genitori pagani e a 14 anni aveva chiesto di ricevere i sacramenti dell’iniziazione cristiana nella missione aperta dai missionari comboniani a Kitgum. Assieme a lui, ricevette il battesimo, l’Eucaristia e la Cresima, anche Jildo Irwa di quattro anni più giovane. Dopo la somministrazione della Cresima, Daudi aveva ottenuto l’iscrizione nell’elenco dei catechisti. Alla morte del catechista di Paimol, un villaggio a 80 chilometri da Kitgum, Daudi chiese di essere inviato al suo posto. I missionari gli fecero presente la pericolosità di tale missione, ma il giovane insistette. Così, a fine novembre 1917, Daudi si trasferì a Paimol, accompagnato dal giovanissimo Jildo, che era stato deciso di affiancargli. I due cominciarono la loro missione, riunendo ogni giorno all’alba i catecumeni per le preghiere del mattino e l’insegnamento dei primi rudimenti di catechesi. Durante il giorno visitavano i villaggi vicini, dove altri catecumeni erano impegnati nella guardia del bestiame o nei lavori dei campi. Poi, al tramonto, ancora un tempo dedicato alla preghiera in comune. Le minacce di quanti non gradivano tali pratiche non tardarono tuttavia a manifestarsi. La mattina del 19 ottobre 1918, prima dell’alba, un gruppo di cinque persone raggiunse la capanna dove abitavano Daudi e Jildo, per indurli a lasciare la zona o concretizzare le minacce. Davanti al sereno rifiuto opposto, presero Daudi, lo trascinarono fuori dal recinto e lo uccisero a colpi di lancia. Poi tornarono da Jildo che protestò: “Non abbiamo fatto niente di male, ma se avete ucciso Daudi, dovete uccidere anche me, perché insieme abbiamo insegnato la parola di Dio”. Lo portarono fuori, lo trafissero con una lancia e lo finirono con una coltellatata alla testa.

Aldo Capitini era nato a Perugia il 23 dicembre 1899 e la sua avventura esistenziale fu segnata dall’incontro con la Bibbia, la figura di Cristo, Francesco d’Assisi, Mazzini, Tolstoj e Gandhi. Nel 1924, ottenne una borsa di studio alla Normale di Pisa per la facoltà di Lettere e Filosofia, dove si laureò nel 1928. Seguì la vicenda politica di quegli anni con un crescente distacco critico nei confronti del fascismo. Rifiutata la tessera del Partito Nazionale Fascista, fu allontanato, nel 1933, dal posto di segretario della Scuola Normale, dove nel frattempo si era impiegato. Risale a quegli anni la scoperta del pensiero di Gandhi che portò Capitini a cogliere nella non-collaborazione la via della resistenza nonviolenta alla guerra, la sola forza capace di sconfiggere l’oppressione. Scelta che esige necessariamente una buona dose di amore per la persona che compie il male. Del resto, la lotta violenta alle strutture ingiuste e violente presenta “un difetto molto grave, che per guarire il male uccide spesso il malato, e allora il male risorge in noi”. E, in ogni caso, “dove si semina morte, non può nascere vita”. La critica severa dell’istituzione ecclesiastica, di cui Capitini denunciava la perdita della carica profetica ed evangelica, e il rifiuto, sul piano civile, della forma partito, cui imputava l’obiettivo della ricerca del potere, spiegano l’isolamento, il disinteresse e l’ignoranza in cui Capitini fu volutamente lasciato per molti anni. Nel giugno del 1944 fondò a Perugia il primo C.O.S. Centro d’Orientramento Sociale) e, successivamente, il C.O.R. (Centro d’Orientamento Religioso). Soprattutto il primo rappresentò un’esperienza fondamentale di democrazia dal basso, per la discussione dei problemi amministrativi e sociali. Dove dal basso “vuol dire esattamente di muovere dai singoli esseri, nella loro esistenza e molteplicità”. Per dare spazio a quella che lui chiamò l’omnicrazia, l’unica forma di potere in cui tutti abbiano davvero la parola e vivano in solidarietà. Importante fu la sua attuazione sul fronte della pace. Presidente della Consulta per la pace, fondatore del Movimento Nonviolento per la Pace e del suo mensile Azione nonviolenta, nel 1961, organizzò la prima Perugia-Assisi, la marcia per la Pace e la fratellanza dei popoli. Nel 1965 ottenne la cattedra di Pedagogia all’Università di Perugia. E, nella sua città, Aldo Capitini morì il 19 ottobre 1968, per complicazioni insorte a seguito di un intervento chirurgico.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera ai Romani, cap.3, 21-30; Salmo 130; Vangelo di Luca, cap.11, 47-54.

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali dei popoli indigeni.

A partire da oggi, e per cinque giorni (gli ultimi tre del mese lunare di Āshwin e i primi due di quello Kārtik), tutte le religioni dell’India – incluse le minoranze di giainisti e sikh (pur variando per queste il significato) – celebrano la loro maggior festa, Diwali (o Dipavali, “Fila di lampade”). Gli indú ricordano con essa il ritorno di Rama (considerato un avatāra di Vishnu), nella città di Ayodhya, capitale del suo regno, dopo la sconfitta inferta al re di Lanka Ravana, che gli aveva rapito la moglie Sita. Diwali vuole affermare il trionfo della luce sulle tenebre, della vita sulla morte, della veritá sulla menzogna e ha, in questo senso, un significato universale. Ce n’è di bisogno un po’ ovunque.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura un brano di Aldo Capitini, tratto dall’opuscolo “Teoria della nonviolenza” (Edizioni del Movimento Nonviolento), che ne raccoglie vari scritti. È, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
La nonviolenza è in una continua lotta, con le tendenze dell’animo e del corpo e dell’istinto e la paura e la difesa, con la realtà dura, insensibile, crudele, con la società, con l’umanità nelle sue attuali abitudini psichiche: non può fare compromessi con questo mondo cosi com’è, e perciò il suo amore è profondo, ma severo; ama svegliando alla liberazione e sveglia alla liberazione amando; quindi distingue nettamente tra le persone e gli esseri tutti che unisce nell’amore, tutti avviati alla liberazione, e le loro azioni, delitti, peccati, stoltezze, assumendo il compito di aiutare questi esseri ad accorgersi del male, e, se proprio non è possibile altro, contribuendo a liberarli dando, più che è possibile, il bene. La nonviolenza è attivissima, per conoscere gli aspetti della violenza e smascherarli impavidamente; per supplire all’efficacia dei mezzi violenti col moltiplicare i mezzi nonviolenti, facendo perciò come le bestie piccole che sono più prolifiche delle grandi; per vincere l’accusa e il pericolo intimo che essa sia scelta perché meno faticosa e meno rischiosa; per dare effettivamente un contributo alla società, che ci dà, in altri modi, altri contributi. […] Chi è nonviolento è portato ad avere simpatia particolare con le vittime della realtà attuale, i colpiti dalle ingiustizie, dalle malattie, dalla morte, gli umiliati, gli offesi, gli storpiati, i miti e i silenziosi, e perciò tende a compensare queste persone ed esseri (anche il gatto malato e sfuggito) con maggiore attenzione e affetto, contro la falsa armonia del mondo ottenuta buttando via le vittime. La nonviolenza è impegnata a parlare apertamente su ciò che è male, costi quello che costi, non cedendo mai su questa libertà, e rivendicandola per tutti; e a non associarsi mai a compiere ciò che ritiene il male. Contro imperialismo, tirannia, sfruttamento, invasione, il metodo della nonviolenza è di non collaborare al male; e di creare difficoltà all’esplicazione di quei modi, senza sospendere mai l’amore per le singole persone, anche autrici di quei mali, ma non esaurentisi in essi; così si riconosce di avere un alleato alla solidarietà che si stabilisce tra gli oppressi, nell’intimo stesso degli oppressori. Chi è persuaso della nonviolenza tende alla comunità aperta, e perciò a mettere in comune il più largamente le sue iniziative di lavoro, la proprietà, non sfruttatrice, che egli possiede, la cultura (partecipando e celebrando i valori culturali con altre persone), la libertà (favorendola con altri in assemblee nonviolente per il controllo e lo sviluppo amministrativo della vita). (Aldo Capitini, Principi elaborati per il Centro di Perugia per la Nonviolenza).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 19 Ottobre 2017ultima modifica: 2017-10-19T22:06:39+02:00da fraternidade
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