Giorno per giorno – 18 Ottobre 2017

Carissimi,
“Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà messo dinanzi, curate i malati che vi si trovano, e dite loro: È vicino a voi il regno di Dio” (Lc 10, 8-9). “È vicino a voi”. Ce lo ripetiamo da duemila anni, ci dicevamo stamattina, commentando questo vangelo nella cappella del monastero, durante la preghiera che ogni mercoledì riunisce, in un punto o l’altro della città, quanti sono impegnati nelle diverse pastorali. È vicino, è a portata di mano, appare qua e là, ma non é mai dato per intero. Ha un po’ la stessa funzione che riservava all’utopia il regista argentino Fernando Birri, nel racconto che ne fa Galeano: “A che serve l’utopia? Serve a camminare”. Si va verso l’orizzonte, e mai lo si raggiunge, ma si continua ad andare. Ne pregustiamo alcuni aspetti, in alcune persone, in alcune esperienze. A volte, ci si lascia andare alla delusione e al dubbio, si è tentati di desistere, poi ci si rianima, e si riprende il cammino. La liturgia, per la festa dell’evangelista Luca, ha proposto il racconto della designazione e invio, due a due, dei discepoli, e dell’istruzione con cui Gesù ne accompagna la missione. È venuto naturale, dato l’ambiente in cui ci trovavamo, ricordare i due monaci, Pedro e Filipe, che erano stati, assieme a Marcelo, all’origine di questo monastero, e che avevano vissuto quell’insegnamento quasi alla lettera, in tutta semplicità, povertà e solidarietà con i più poveri. L’annuncio e la testimonianza del Regno non può prescindere da questa parola, che suona di volta in volta come rimprovero, stimolo, incoraggiamento, richiamo. Noi ci riusciremo, forse, un giorno sí e uno no, e sará già qualcosa. Lui supplirà alle nostre deficienze, e noi continueremo ad andare.

Il calendario ci porta la memoria di Luca evangelista, “scriba della misericordia”, a cui noi aggiungiamo quella del vescovo Giacomo Lercaro, profeta di una Chiesa povera con i poveri.

Secondo la tradizione, Luca era medico, originario di Antiochia, che all’epoca, era per importanza la terza città dell’impero romano. Dopo l’incontro con Paolo, si convertì al cristianesimo e accompagnò l’apostolo nei suoi viaggi missionari, diventando così un testimone prezioso della comunità cristiana delle origini. La tradizione gli attribuisce la redazione del terzo vangelo e gli Atti degli Apostoli, ma sono le lettere di Paolo a menzionarlo. È l’evangelista che dedica maggior spazio ai racconti d’infanzia di Gesù e alla madre di Gesù ed è il più sensibile ai temi della misericordia, del perdono e dell’amore preferenziale che Dio ha per i poveri e per gli ultimi.

Giacomo Lercaro nacque a Genova il 28 ottobre 1891. Entrato in seminario, fu ordinato presbitero nel 1914. Al termine del conflitto mondiale, si dedicò dapprima all’insegnamento nel seminario arcivescovile, e poi, dal 1937, fu prevosto della parrocchia di Maria Immacolata. Durante l’occupazione tedesca della città, a causa della sua azione a favore dei perseguitati, dovette rifugiarsi, sotto uno pseudonimo, in una casa religiosa. Nel 1947 fu nominato arcivescovo di Ravenna. Nel maggio 1948, aprì la casa ai primi ragazzi di quella che sarebbe stata la sua Famiglia. Trasferito nel 1952 alla sede metropolitana di Bologna e creato cardinale l’anno successivo, venne moltiplicando iniziative religiose volte in diverso modo a risaltare la centralità dell’Eucaristia e a valorizzare la dimensione liturgica nella vita della Chiesa. Clamorosa fu la sua protesta, nell’autunno 1956, per l’invasione dell’Ungheria da parte dell’esercito sovietico. Durante il Concilio Vaticano II, anche per la preziosa consulenza di don Dossetti, fu indiscusso protagonista sui temi della riforma liturgica, della pace, e della povertà della Chiesa. Nel 1966 l’amministrazione comunale di Bologna gli conferì la cittadinanza ordinaria. La ferma condanna dei bombardamenti americani in Vietnam, in occasione della 1ª Giornata mondiale per la pace, il 1° Gennaio 1968, fornì, incredibilmente, agli ambienti a lui ostili della Curia romana il pretesto per esigerne le dimissioni. Il 12 febbraio 1968, lasciata la cattedra di S.Petronio, si ritirò a Villa san Giacomo, continuando tuttavia a svolgere un’intensa opera evangelizzatrice in Italia e all’estero, finché la salute glielo permise. Si spense il 18 ottobre 1976.

I testi che la liturgia propone alla nostra riflessione sono propri della festività odierna e sono tratti da:
2ª Lettera a Timoteo, cap.4, 10-17b; Salmo 145; Vangelo di Luca, cap.10, 1-9.

La preghiera del mercoledì è in comunione con quanti, lungo i cammini più diversi, perseguono un mondo di giustizia, fraternità e pace.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura il brano di un testo del Card. Giacomo Lercaro, tratto dal libro che ne raccoglie i “Discorsi sulla pace” (Edizioni San Lorenzo), e che è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
I termini e le realtà di Vangelo e di pace sono perfettamente coestensivi: il Vangelo non è che l’annuncio della pace compiuta in Cristo. Perciò sono tutte formule equivalenti: Evangelo di grazia (At 20, 24); Evangelo del Regno (Mt 4, 23); Evangelo di Cristo (1Cor 9, 12); Evangelo di pace (Ef 6, 15); cf At 10, 36: “Dio mandò la sua parola ai figli di Israele, evangelizzando la pace per mezzo di Gesù Cristo”. Per questo la pace è il primo annuncio dei messaggeri del Vangelo: “Dite: pace a questa casa” (Mt 10, 12). Ed è nella pace che si compendia il frutto dell’opera redentiva ormai compiuta; sulle labbra del Risorto fiorisce il saluto abituale: “Pace a voi” (Lc 24, 36; Gv 20, 19. 21. 26). Per questo, finalmente Gesù si preoccupa con insistenza di distinguere la pace vera da quella falsa, la sua pace da quella del mondo: “Vi lascio la pace, vi dò la mia pace. Non come il mondo la dà, io ve la dò” (Gv 14, 27). Cioè, il mondo è – o può divenire nel suo progresso – capace di realizzare un certo ordine, una certa tranquillità, un certo benessere: ma tale che anche nell’ipotesi di miglior successo, celerà ancora peccato, menzogna, violenza, lontananza da Dio, e soprattutto inconsapevolezza della fine imminente di tutte le cose, del giudizio di Dio e della infinita esigenza della sua santità. “Quando diranno pace e sicurezza allora improvvisa li sorprenderà la rovina” (1Ts 5, 3). Invece la pace del Cristo non lascia posto per illusioni, sino al punto di coesistere (e non é contradditorio) con aspre inimicizie e contraddizioni da parte del mondo che non aderisce al Cristo: “Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra: non sono venuto a portare la pace, ma la spada” (Mt 10, 34). Questo ed altri simili testi non vogliono essere una smentita del Vangelo, annuncio di pace, ma ne costituiscono un decisivo chiarimento. La spada qui significa la scelta impegnativa per il Cristo, la testimonianza, e la sofferenza che essa comporta. La pace del Cristo non è dunque banale tranquillità, benessere terreno, facile consenso, conformismo, ma adesione a Dio mediante la scelta del Cristo sconfitto e crocifisso: “Non è il servo da più del suo Signore. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi’ (Gv 15, 20). Nel Nuovo Testamento, ancora più chiaramente che nell’Antico, la pace non appare possibile che come violento distacco dal mondo: ed è in questo senso che “sono i violenti a entrare nel Regno” (Mt 11, 12). (Giacomo Lercaro, Discorsi sulla pace).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 18 Ottobre 2017ultima modifica: 2017-10-18T22:01:21+02:00da fraternidade
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