Giorno per giorno – 05 Ottobre 2017

Carissimi,
“In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa. Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà messo dinanzi, curate i malati che vi si trovano, e dite loro: È vicino a voi il regno di Dio” (Lc 10, 5. 8-9). Stasera, a casa di Urda, dov’eravano riuniti con la comunità Evangelho é Vida, ci dicevamo che dobbiamo ripartire dal vangelo di oggi, che ci dice dell’invio dei discepoli. Siamo in una società, anche qui da noi, mica solo nel nord del mondo, che, in gran parte, non è già più cristiana, e che forse non lo è mai stata veramente, nel senso di radicata nel vangelo, cioè nell’annuncio e nella testimonianza del Regno, incarnato da Gesù. Il regime di cristianità, che si è venuto affermando nell’arco di quasi due millenni, proprio per il suo darsi e imporsi come forma di potere e attraverso l’uso dei suoi strumenti, se è pur vero che ce ne ha trasmesso i contenuti, ne ha costituito nel contempo la negazione. Con lodevoli eccezioni, naturalmente, nel vissuto di fede di molti e nell’esempio dei santi. In una società post-cristiana o pre-cristiana, siamo inviati a evangelizzare con molta umiltà, discrezione, tenerezza. Non per denunciare, giudicare, condannare, ma per annunciare a tutti la bellezza del vangelo, a dichiarare la pace, a praticare condivisione, a prenderci cura di chi soffre. Che non è, dunque, predicare una dottrina, pretendere di convertire a una religione, con i suoi dogmi, riti, sacramenti (che magari già ripetono a memoria e praticano, senza sapere bene che cosa tutto questo significhi) , ma, a partire dalla gioia di un incontro e di una frequentazione, se e quando, questa desterà curiosità, fare scoprire (o riscoprire) la verità profonda di ciò che ci muove, perché altri possano, se lo crederanno opportuno, diventare nostri compagni di viaggio e di avventura. Il regno, l’esperienza del regno, ha a che fare necessariamente con la libertà e con l’esperienza dell’amore.

Oggi il calendario ci porta la memoria di Annalena Tonelli, missionaria e martire in Africa.

Annalena Tonelli era nata a Forlì il 2 aprile 1943 ed era cresciuta alimentando in sé il desiderio di donarsi agli altri. Laureata in Giurisprudenza a Bologna, si era formata nell’Azione cattolica, divenendo dirigente degli universitari cattolici. Il desiderio di operare concretamente e in prima persona a servizio degli ultimi, la portò a studiare terapia e profilassi delle malattie tropicali e dell’hanseniasi, in Spagna e in Inghilterra. Poi, all’inizio del 1969, era partita alla volta del Kenia, insediandosi nella regione al confine con la Somalia, per dedicarsi ai nomadi del deserto e ai rifugiati somali. Espulsa dal Kenia, si era trasferita in Somalia, prima a Merka e poi nel 1996 a Borama, dove fondò un ospedale per tubercolotici e ammalati di AIDS e una scuola per bambini sordi e disabili. Nell’aprile 2003, per questa sua opera, aveva ricevuto dall’Alto Commissariato dell’ONU per i rifugiati il premio Nansen. Il 5 ottobre dello stesso anno, domenica sera, due sconosciuti penetrati nella casetta in cui abitava a fianco dell’ospedale, le spararono, uccidendola. Il suo corpo è sepolto tra la sua gente.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro di Neemia, cap.8, 1-4a. 5-6. 7b-12; Salmo 19B; Vangelo di Luca, cap.10, 1-12.

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

I nostri fratelli ebrei sono entrati ieri sera al tramonto nella festività di Sukkoth (le “Capanne”), che si protrarrà per sette giorni. Ricorda i quarant’anni che il popolo ebreo trascorse nel deserto, dopo l’uscita dalla schiavitù in Egitto. In questa occasione ogni famiglia costruisce una capanna (succà), coperta di rami e di frasche, che lascia intravvedere il cielo, a simboleggiare la nostra disponibilità a lasciare che la luce di Dio entri sempre nelle nostre case e nelle nostre vite. Al suo riparo vengono consumate tutte le refezioni. Sukkoth costituisce, assieme a Pesach (Pasqua) e Shavuoth (Pentecoste), la terza delle feste di pellegrinaggio. Rappresentava anche la festa del raccolto autunnale. Il Levitico prescrive a suo riguardo: “Il quindici del settimo mese (ora Tishri è il primo mese), quando avrete raccolto i frutti della terra, celebrerete una festa al Signore per sette giorni; il primo giorno sarà di assoluto riposo e così l’ottavo giorno. Il primo giorno prenderete frutti degli alberi migliori: rami di plama, rami con dense foglie e salici di torrente e gioirete davanti al Signore vostro Dio per sette giorni” (Lv 23, 39-40). In base a quest’ordine si prepara il “lulav”, composto da un ramo di palma, tre di mirto, due di salice e, a parte, un frutto di cedro senza difetto. Tradizionalmente le quattro specie di vegetali del lulav simboleggiano i quattro diversi tipi di persone presenti nella comunità: alcuni sono sapienti e generosi (come il cedro, che è profumato e dà frutti buoni), altri sono sapienti, ma non generosi (come il mirto, che è profumato, ma non dà frutti), altri generosi, ma non sapienti (come la palma, che non profuma, ma dà frutti dolci e nutrienti), altri, infine, che non sono sapienti né generosi (come il salice che non profuma, né dà frutti). Dopo la benedizione in sinagoga, il lulav viene agitato in direzione dei quattro punti cardinali, perché la benedizione di Dio possa raggiungere tutto il mondo. Il settimo giorno della festa è chiamato “Hosha’anah Rabbah” (“Oh salvaci”), una sorta di ultima chance per ottenere il giudizio favorevole di Dio, rimasto eventualmente in sospeso nello Yom Kippur.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura una citazione di Annalena Tonelli, tratta dal ricordo tratteggiato da in Gabriella e Alberto Mambelli in “L’amicizia è per sempre”, che troviamo in rete e che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
La mia vocazione al nascondimento è sempre più urgente, bruciante, inalienabile; è il mio modo di essere e di sopravvivere in un mondo sempre più vocato all’esteriorità, alla falsità, alle mille maschere, a quel look contro cui tutto il mio essere si ribella e prova repulsione. Io voglio essere per gli altri, voglio essere povera, sperimentare la mancanza di potere, essere con quelli che non contano nel mondo. È solo nella condivisione con i poveri che io sono me stessa, che io vivo. Quando si è con loro è così naturale vivere alla presenza di Dio, tacere con Lui, parlare con Lui, dimorare in Lui e sentire con forza e con potenza, maggiori del battito del nostro stesso cuore, che Lui dimora saldamente in noi… La mia è una vita di grande condivisione e di una bellezza straordinaria; ho la consapevolezza di essere una privilegiata: io non dono, ma ricevo! (Annalena Tonelli, cit. in Gabriella e Alberto Mambelli, L’amicizia è per sempre).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 05 Ottobre 2017ultima modifica: 2017-10-05T22:08:33+02:00da fraternidade
Reposta per primo quest’articolo