Giorno per giorno – 11 Settembre 2017

Carissimi,
“Un sabato, Gesù entrò nella sinagoga e si mise a insegnare. Ora c’era là un uomo, che aveva la mano destra inaridita. Gli scribi e i farisei lo osservavano per vedere se lo guariva di sabato, allo scopo di trovare un capo di accusa contro di lui. Ma Gesù era a conoscenza dei loro pensieri e disse all’uomo che aveva la mano inaridita: Alzati e mettiti nel mezzo!” (Lc 6, 6-8). Una volta di più ci troviamo nella sinagoga, lo spazio comunitario retto dalla Parola di Dio, inteso come microcosmo delle relazioni che Dio vorrebbe vedere instaurate nel mondo di fuori. La distorsione religiosa vede come blasfemo il porre al centro dello spazio che suole riservare a Dio, e per di più nel tempo sacro che gli è dovuto, l’uomo nel suo bisogno. Quanto più l’impegnarsi per sottrarre l’uomo da quella condizione. Ogni cosa a suo tempo, Dio al primo posto, dell’uomo ci occuperemo domani. Il fatto è che al centro delle preoccupazioni e potremmo dire della tenerezza di Dio c’è proprio l’uomo, la sua malattia, lo stato di necessità, persino il suo peccato. È questo che non intendono i religiosi “distorti”. Per cui, per mettere davvero Dio al centro, la sua Parola al centro, bisogna, necessariamente, metterci l’uomo. Se no, è un’altra religione. Perciò, tutto ciò che faremo per liberare l’uomo dal suo male, dalla sua sofferenza, è vero culto reso a Dio. Perché il culto è “fare” il bene, non solo celebrarlo nei suoi simboli.

Il Martirologio latinoamericano ricorda oggi Sebastiana Mendoza, catechista guatemalteca, e i Martiri del golpe militare in Cile.

Indigena, animatrice della sua comunità, dopo che il marito e i figli furono uccisi dall’esercito, Sebastiana Mendoza si vide costretta a lasciare il villaggio natale, nel Quiché, per rifugiarsi a Città del Guatemala. Lì, servendo le centinaia di rifugiati della sua regione, costretti come lei ad abbandonare i loro villaggi, continuò a evangelizzare e portare la buona notizia della risurrezione alla sua gente martirizzata. L’11 settembre 1981, fu sequestrata e sparì nel nulla. Come centinaia di altri catechisti anonimi, torturati, massacrati, crocifissi, che non esitarono a dare la loro vita per la loro gente.

Un sanguinoso golpe militare interruppe violentemente, l’11 settembre 1973, il processo democratico del Cile. Caddero sotto le armi delle forze armate centinaia e centinaia di operai, studenti, militanti, contadini, preti. Morirono per difendere le loro fabbriche, le loro strade, le loro baraccopoli, la libertà del popolo conquistata con la volontà di tutti. No, non di tutti. Tanto è vero che le acque del Mapocho si tinsero di sangue e lo Stadio nazionale fu testimone del silenzio, della tortura, del massacro di migliaia di cileni. Dopo, fu solo la dittatura, che, con il volto del generale Pinochet, continuò a imprigionare, torturare, esiliare, ridurre al silenzio, alla miseria e alla fame un popolo, a tutela di corposi interessi, travestiti, tanto per cambiare, dallo slogan “dio-patria-famiglia” (rigorosamente minuscoli, dato che non si trattava né di Dio, né della Patria, né della Famiglia). Così, per quindici anni. Fino alla lenta e difficoltosa rinascita alla democrazia.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera ai Colossesi, cap.1,24 – 2,3; Salmo 62; Vangelo di Luca, cap. 6,6-11.

La preghiera di questo lunedì è in comunione con le grandi religioni dell’India, Vishnuismo, Shivaismo, Shaktismo.

La Chiesa copta, in Egitto, Etiopia e nelle rispettive diaspore, celebra oggi la festa di Nayruz, il Capodanno, che coincide con il primo giorno del mese di Tut (in Egitto), e di Maskaram (in Etiopia). Il calendario copto data a partire dal 29 agosto del calendario giuliano (che corrisponde all’11 settembre di quello gregoriano) dell’anno 284 d. C., anno che segnò la salita al trono dell’imperatore Diocleziano, responsabile di una delle peggiori persecuzioni nei confronti dei cristiani. Per i nostri fratelli copti entriamo dunque con oggi nell’anno 1733 di quella che è detta l’Era dei Martiri. A titolo informativo, l’anno copto consta di dodici mesi di trenta giorni più un “piccolo mese” (al-nasi) di cinque giorni, chiamati “epagomeni” (complementari), che diventano sei negli anni che precedono i nostri anni bisestili. Estendendo la celebrazione di Nayruz sino alla festa della Croce Gloriosa, il 17 di Tut (o di Maskaram), la Chiesa ci invita a seguire l’esempio di quelle icone viventi che furono i martiri, additando nella Croce, simbolo dell’abnegazione e del dono di sé, il fine e il significato più vero dell’esistenza cristiana.

È tutto, per stasera. E noi, prendendo spunto dalla festa del Capodanno copto, vi proponiamo nel congedarci, una pagina del celebre monaco copto Matta El Meskin. Tratta dal suo libro “Comunione nell’amore” (Qiqajon), è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
L’io che non è morto non può sopportare di essere disprezzato, insultato, giudicato indegno o sminuito. Se lasciate ancora spazio a sentimenti di astio o di amarezza, in relazione al modo in cui siete trattati da un padre, da un fratello, da un superiore o da un inferiore, voi venerate ancora voi stessi e l’amore di Cristo non è ancora penetrato nel vostro cuore. L’uomo infatti il cui io è stato crocifisso con Cristo ed è morto, non solo è contento di sopportare sdegno, insulto, scherno o ingiustizia, ma addirittura li desidera ardentemente. L’io che non è morto non può sopportare di ricevere ordini o direttive da uno che gli è inferiore per cultura, età o stato; questo infatti gli sembra un attentato ai suoi diritti, alle sue capacità, al suo rango. L’uomo il cui io è morto, invece, si considera all’ultimo posto, senza alcun diritto, né capacità, né posizione sociale. L’io che non è realmente morto a se stesso trova da un lato molto facile scegliere per sé l’ultimo posto, ma, d’altro lato, non può sopportare che altri gli assegnino un posto appena inferiore a quello che lui considera come la sua giusta posizione. Questo io vive palesemente in modo conforme a un falso vangelo: per lui infatti l’adempimento del comandamento sta nel servire i propri interessi e non nell’obbedienza ai comandamenti di Cristo. Ricordate sempre che chi sceglie l’ultimo posto è provato con il fuoco e che, secondo le parole di Isacco il Siro, “colui che umilia se stesso per essere onorato dagli uomini, Dio lo smaschererà”. Il segno invece che l’io è morto è il suo amore e il suo desiderio per l’ultimo posto: egli non lo ricerca, per timore di vanagloria, ma aspetta che gli venga assegnato dagli altri! (Matta el Meskin, Comunione nell’amore).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 11 Settembre 2017ultima modifica: 2017-09-11T22:17:40+02:00da fraternidade
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