Giorno per giorno – 10 Settembre 2017

Carissimi,
“Se il tuo fratello commette una colpa, và e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ti ascolterà, prendi con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà neppure costoro, dillo all’assemblea; e se non ascolterà neanche l’assemblea, sia per te come un pagano e un pubblicano” (Mt 18, 15-17). Come dire, non lasciare tuo fratello da solo, anche nel suo errore. Evitare di parlare alle spalle, e invece, confrontarsi, dialogare, a tu per tu, poi, nel caso, coinvolgere altri, e in ultima ipotesi, sottoporre il tutto alla comunità. Gesù aveva appena finito di raccontare la parabola della pecora smarrita, che seguiva la severa ammonizione: “Guai al mondo per gli scandali! È inevitabile che avvengano scandali, ma guai all’uomo per colpa del quale avviene lo scandalo” (Mt 18, 7). Guai, perciò a chi mette a repentaglio la fede dei piccoli, degli ultimi e più deboli, nel carattere promettente della vita. Questi, infatti, i disprezzati di sempre, sono la pupilla degli occhi del Signore. Eppure, anche dopo questo richiamo, Gesù non abbandona il malfattore – razzista, affamatore, sfruttatore, denigratore, che sia – ad un destino di morte. Chiede ai suoi discepoli di non isolarlo, ma di cercarlo per riportarlo alla pratica dell’evangelo, dato che si tratta pur sempre di qualcuno che dice di riconoscersi nella comunità cristiana. Dopo di che, esauriti che siano, senza alcun risultato, tutti i tentativi, sia considerato come un pagano e un pubblicano. Che non è una formula di disprezzo, ma la maniera di deresponsabilizzarlo dell’onere della testimonianza. Ricordando, anche in questo caso estremo, che Gesù andava alla ricerca della pecora smarrita, e sedeva a tavola con pubblicani e peccatori.

I testi che la liturgia di questa XXIII Domenica del Tempo Comune propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Ezechiele, cap.33, 7-9; Salmo 95; Lettera ai Romani, cap.13, 8-10; Vangelo di Matteo, cap.18, 15-20.

La preghiera della Domenica è in comunione con tutte le Chiese e comunità cristiane.

Oggi noi si fa memoria di Hillel, l’Anziano, maestro in Israele; di Emilio Caan e Policarpo Chem, martiri in Guatemala; e di Barsoma “El-Erian”, folle per Cristo in Egitto.

Hillel era nato in Babilonia, forse verso l’80 a.C., in una famiglia di ascendenza davidica. Dopo aver studiato la Torah nella cittá natale, si era trasferito, già adulto, a Gerusalemme, dove lavorò duro per mantenere la famiglia e per concedersi di frequentare nel contempo la scuola di Shemaià e Avtalion, rispettivamente presidente del Sinedrio e capo del Tribunale. Verso l’anno 30 a.C., durante il regno di Erode il Grande, Hillel fondò la scuola che prese il suo nome (bet Hillel), contrapposta a quella di Shammai. La scuola di Hillel, assai più liberale della seconda, era basata su un’interpretazione indulgente della Legge, senza tuttavia allontanarsene o tradirla. Divenuto a sua volta presidente del Sinedrio, fu lui che per primo insegnò ad un candidato alla conversione la cosiddetta Regola d’Oro (che Gesù avrebbe fatto sua), una definizione sintetica della Legge: “Non fare agli altri ciò che non vuoi che essi facciano a te. Questa è tutta la Torà, il resto è solo commento”. Seppe coniugare sapienza e umiltà, giustizia e amore profondo alle creature, ragione e religione del cuore. Morì nel 10 d. C., quando Gesù, a Nazareth, era ancora solo un adolescente. Che tutto lascia credere dovesse conoscere bene gli insegnamenti del gran vegliardo. È curioso il fatto che, di tutte le correnti presenti nel giudaismo del 1° secolo, le uniche a sopravvivere sono quelle che hanno la loro origine nel pluridecennale magistero di Hillel e nella parabola fulminea ed efficace del Rabbi di Galilea, che permearono, nei secoli successivi, fino ai nostri giorni, la storia del giudaismo e del cristianesimo.

Emilio Caan era un indigeno pocomchí. Operatore di pastorale, catechista, fondatore della Cooperativa di San Cristóbal, nel Dipartimento di Verapaz (Guatemala), era già stato ripetutamente minacciato e anche sequestrato dalle forze paramilitari della zona di Cobán, ma ogni volta era stato liberato. Salvo l’ultima, quando nulla più si seppe di questo fedele servitore della sua Chiesa. Policarpo Chem, a San Cristóbal, aveva fondato la Legione di Maria, e ne era il presidente. Era conosciuto da tutti per la sua fede, il suo dinamismo, la sua umiltà. Era gerente della Cooperativa di Risparmio e Credito di San Cristóbal. Nel 1982 aveva posto le strutture della Cooperativa a servizio dei rifugiati di Las Pacayas. Il 10 settembre 1984 venne sequestrato, caricato a forza in un auto, alla cui guida c’era un certo Lara, già capo dei servizi di sicurezza della compagnia tedesca Hochtief, costruttrice del complesso idroelettrico di Chixoy, e già implicato in altri sequestri e omicidi delle bande paramilitari operanti nella regione. Il corpo di Policarpo venne ritrovato due giorni dopo con segni di tortura e orribilmente mutilato. Una folla immensa ne accompagnò i funerali. Durante il rito, la vecchia madre si avvicinò all’altare e, a voce alta, implorò il perdono di Dio per gli assassini di suo figlio.

Barsoma era nato da una nobile e ricca famiglia del Cairo verso 1257. Il padre, El-Wageeh Moufdel, era scrivano della regina Shagaret El-dor, e la madre apparteneva alla famiglia El-Taban. In seguito alle macchinazioni di uno zio, alla morte dei genitori, che avvenne quando era ancora molto giovane, si ritrovò spogliato dell’eredità paterna, povero e abbandonato. Invece di ricorrere alle autorità per far valere i suoi diritti, risolse di abbandonare gli ambienti mondani frequentati fino ad allora, e di darsi ad una vita da asceta girovago e mendicante. Coperto di un solo mantello, fatto che gli valse il soprannome di “El-Erian” (“il nudo”), visse per cinque anni nei quartieri più poveri della città, dove la gente lo considerava una specie di “folle per Cristo”. Poi, per vent’anni abitò in una grotta presso la chiesa di San Mercurio Abu Saifan, nei quartieri vecchi del Cairo. In seguito, per quindici anni, abitò sul tetto della chiesa, dove, pregando giorno e notte, sopportò con indomita pazienza l’estremo caldo dell’estate e il freddo d’inverno. In quegli anni si inasprirono le persecuzioni contro i cristiani, e Barsoma testimoniò coraggiosamente la sua fede, fino ad essere per questo imprigionato. Quando fu scarcerato, si stabilì nel monastero di Sahran, a sud del Cairo, dove visse, tanto per cambiare, sul tetto della chiesa, intensificando la sua preghiera e i suoi esercizi ascetici. Finché lo colse la morte, il 5 del mese benedetto di El-Nasi del 1317 (anno 1033 dell’era dei martiri). Fu seppellito a Sahran, e la fama della sua santità si diffuse presto in tutto il Medio Oriente.

Oggi avrebbe completato 74 anni, ma il 1º di settembre, deve aver pensato fosse meglio festeggiare il compleanno altrove, in compagnia di chi per tanti anni aveva pregato e cantato. Parliamo di dona Maria Cesária, che per tutti era Maria Rezadeira e anche benzedeira. Capace di “puxar o terço”, guidare la recita del rosario, e di scacciare i malanni con preghiere appropriate a quanti si fidano più di queste risorse che della medicina ufficiale, spesso inaccessibile. Tutto questo fino a dieci anni fa, quando un ictus l’aveva lasciata menomata, ma non tanto da farle dimenticare le sue preghiere e i canti e almeno alcuni dei volti amici di tanti anni. Che, intimiditi, si affacciavano ancora, sia pur raramente, alla porta di casa. Maestra di preghiera, l’hanno definita in tanti, per lo spirito da cui la si vedeva animata, più che per le formule in sé. E noi si spera di avere uno sguardo in più dall’alto a volerci bene.

Oggi, quanti di noi fanno parte di “Nós…a tenda Dele” (Noi… la Sua tenda), si uniscono alle migliaia di comunità di Fé e Luz (Fede e Luce), sparse nei cinque continenti, in azione di grazie per gli ottantanove anni di Jean Vanier, che, con Marie Hélène Mathieu, ne è l’ispiratore, oltre ad essere fondatore de “L’Arca”. Fede e Luce – che esiste anche in Italia – è, per dirla con le parole di Jean “creazione di legami, di comunità, di amore; è persone in relazione le une con le altre, persone impegnate verso le altre (cosa straordinaria nel nostro mondo di infedeltà); è legame, non solo tra persone che sono forti, sane, in buona salute, ma legame con chi è più debole, legame con chi è normalmente rifiutato”. Così, congedandoci, scegliamo di farlo, cedendo la parola a Jean Vanier, con un brano tratto dal suo libro “La comunità. Luogo del perdono e della festa” (Jaca Book). Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
C’è in ognuno di noi una parte che è già luminosa, convertita. E poi c’è quella parte che è ancora tenebra. Una comunità non è fatta solo di convertiti. E’ fatta di tutti quegli elementi che in noi hanno bisogno di essere trasformati, purificati, potati. E’ fatta anche di non convertiti. Nelle comunità cristiane Dio sembra compiacersi di chiamare insieme delle persone umanamente molto diverse. Non erano forse profondamente diversi tra loro i discepoli di Gesù? Non avrebbero mai camminato insieme se il Maestro non li avesse chiamati! Non bisogna cercare la comunità ideale. Si tratta di amare quelli che Dio ci ha messo accanto oggi. Avremmo voluto forse delle persone diverse, più allegre o magari più intelligenti. Ma sono loro che Dio ci ha dato, che ha scelto per noi. E’ con loro che dobbiamo creare l’unità e vivere l’alleanza. (Jean Vanier, La comunità. Luogo del perdono e della festa).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 10 Settembre 2017ultima modifica: 2017-09-10T22:40:47+02:00da fraternidade
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