Giorno per giorno – 03 Settembre 2017

Carissimi,
“Da allora Gesù cominciò a dire apertamente ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei sommi sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risuscitare il terzo giorno. Ma Pietro lo trasse in disparte e cominciò a protestare dicendo: Dio te ne scampi, Signore; questo non ti accadrà mai” (Mt 16, 21-22). Noi si é accennato già qualche giorno fa al fatto che Pietro in realtà, pur confessando Gesù come messia, non avesse capito granché di ciò che questo significava. O, per dire meglio, aveva capito proprio il contrario di quello che era venuto maturando nella coscienza di Gesù circa il rivelarsi della verità di Dio. Si aspettava il re vittorioso, il messia glorioso, e Gesù parla del servo sofferente, del messia sconfitto. L’unica figura che possa davvero rivelarci l’incommensurabile amore del Padre. Come dicesse: mi uccidi, ma io continuerò ad amarti. E noi, come Pietro del resto, si vorrebbe che ci amasse pure un po’ meno, ma non si lasciasse uccidere. Perché questo essere disposto a morire in solidarietà con gli sconfitti della storia ha delle implicazioni per noi, come sua chiesa, ma anche semplicemente come uomini e donne, consapevolmente o meno, creati a immagine di Dio. Tanto è vero che abbiamo persone che danno la vita, senza credere in Dio, o senza sapere che in questo consiste credere in Dio. Mancando questa disposizione, avremo volta a volta o superstizione, o religione civile, o idolatria dell’io, variamente coniugata. “Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (v.24). È la condizione per cominciare ad essere uomini: uscire dalla tirannia dell’io, prendere la croce, che è il segno del dono di sé e della solidarietà sino alla fine e perciò, come conseguenza, della messa al bando dal Sistema del dominio. Per seguire Lui, l’uomo per eccellenza, davvero libero per amare. Sedotti dal Signore, come confessa il profeta Geremia nella prima lettura di oggi, scaraventati nel mondo a denunciare ogni tipo di violenza e di oppressione, resi per questo oggetto di derisione e di scherno dai succubi del Sistema, si può essere tentati di dire: “Non penserò più a lui, non parlerò più in suo nome”, ma, inutilmente. Dato che “nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, trattenuto nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo” (cf Ger 20, 7-9). Resta l’invito pressante di Paolo, che abbiamo udito nella seconda lettura: “Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto” (Rm 12, 2).

I testi che la liturgia di questa 22ª Domenica del Tempo Comune propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Geremia, cap. 20, 7-9; Salmo 63; Lettera ai Romani, cap.12, 1-2; Vangelo di Matteo, cap.16, 21-27.

La preghiera della Domenica è in comunione con tutte le comunità e chiese cristiane.

Oggi la Chiesa celebra la memoria di Gregorio Magno, papa e dottore della Chiesa. In America Latina noi ricordiamo anche Mons. Ramón Bogarín, pastore e difensore dei diritti umani in Paraguay.

Gregorio era nato a Roma nel 540 circa. Nominato prefetto di quella città a trent’anni, esercitò l’incarico riscuotendo la generale ammirazione. Tuttavia, alla morte del padre, disgustato dal basso livello che caratterizzava la classe politica e la gestione della cosa pubblica, scelse la vita monastica. Fu notato dal papa Pelagio II, che lo ordinò diacono e, poco dopo, nel 579, lo inviò come suo emissario alla corte imperiale di Bisanzio, dove restò per sette anni. Tornato nel suo monastero, conobbe negli anni immediatamente successivi le incursioni, i saccheggi e i massacri che investirono la penisola ad opera dei longobardi, accompagnati da carestie e pestilenze che colpirono pesantemente le popolazione italiche. Alla morte di Pelagio II, fu eletto, nonostante le sue resistenze, alla cattedra di vescovo di Roma, il 3 settembre del 590. Si mise subito al lavoro, ripulendo la curia romana di presuli e laici corrotti e simoniaci, sostituendoli con monaci umili e obbedienti. In una società civile e religiosa in profonda crisi, Gregorio divenne figura di riferimento di primo piano: fondò nuovi monasteri; avviò una politica di dialogo con i barbari che occupavano in armi i territori della penisola; organizzò l’amministrazione dei beni pubblici, si preoccupò degli acquedotti, lottò a favore dei contadini e contro i potenti che cercavano ancora di ridurli in schiavitù, promosse l’evangelizzazione dell’Inghilterra. Lasciò una poderosa mole di scritti (omelie, dialoghi, lettere, trattati di pastorale). Morì il 12 marzo 604.

Ramón Pastor Bogarín Argaña era nato il 30 marzo 1911, nella famiglia di María de las Nieves Argaña e di José Patricio Bogarín González a Ypacarai (Paraguay), a una quarantina di chilometri dalla capitale, Asunción. Completati gli studi secondari e il servizio militare, si iscrisse, dapprima, alla Facoltà di Medicina nell’Università Nazionale, poi, insoddisfatto, a Ingegneria Meccanica, in Francia, ma anche in questo caso desistette presto, scegliendo di avviarsi al sacerdozio, prima nel seminario di Saint Ilan, sempre in Francia, e poi al Collegio Pio Latinoamericano di Roma, dove restò sette anni e dove fu ordinato prete nel 1938. Tornato in patria, all’inizio della Seconda Guerra Mondiale, il giovane prete fondò, nel 1940, la Gioventù Operaia. Durante la dittatura del generale Higinio Morínigo, al potere dal 1940 al 1948, fondò e diresse il settimanale Trabajo, di orientamento socialcristiano, che dovette però cessare le pubblicazioni in seguito alla minacce dei settori filogovernativi. Nel 1957, alla creazione della nuova diocesi di San Juan Bautista de las Misiones, fu designato suo vescovo residenziale. Nel 1961 rappresentò l’episcopato paraguaiano in seno al CELAM (Consiglio Episcopale Latinoamericano). Prese parte attivamente a tutte le sezioni del Concilio Vaticano II, di cui aveva anticipato di quasi vent’anni il tema della Chiesa dei poveri. Durante gli anni della dittatura del generale Stroessner, salito al potere nel 1954, Mons. Bogarín non cessò di denunciare coraggiosamente le persistenti violazioni dei diritti umani da parte del regime, le persecuzioni messe in atto contro i settori democratici e contro le Leghe agrarie cristiane, da lui stesso fondate per organizzare i contadini poveri e, più in generale, l’iniquità di un sistema che favoriva solo pochissime famiglie, a danno della maggioranza della popolazione. Morì di infarto al miocardio il 3 settembre 1975.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura uma pagina della “Regola Pastorale” di Gregorio Magno. Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Ascoltino gli impazienti ciò che sta scritto: È meglio un paziente che un uomo forte, e chi domina il suo animo più che un conquistatore di città (Prov 16, 32). Vale meno infatti una vittoria contro delle città, giacché ciò che in questo caso si sottomette è qualcosa di esterno; ma è molto di più ciò che si vince con la pazienza, poiché è l’anima che si lascia vincere da se stessa e si sottomette se stessa quando la pazienza la spinge a frenarsi dentro di sé. Ascoltino gli impazienti ciò che la Verità dice ai suoi eletti: Nella vostra pazienza possederete le vostre anime (Lc 21, 19). Infatti siamo stati creati in modo così mirabile che lo spirito possiede l’anima e l’anima possiede il corpo; ma all’anima è rifiutato il suo diritto di possedere il corpo se essa non è prima posseduta dallo spirito. Pertanto il Signore, insegnandoci che nella pazienza possediamo noi stessi, ci ha insegnato che la pazienza è custode della nostra condizione naturale. Perciò possiamo conoscere quanto sia grande la colpa dell’impazienza se per essa perdiamo perfino il possesso di ciò che siamo. […] Bisogna ammonire i pazienti a non dolersi interiormente di ciò che sopportano al di fuori, per non corrompere nell’intimo con la peste della malizia l’intensità di quel sacrificio ricco di virtù che immolano interiormente; e la colpa di questo dolore, non riconosciuta come tale dagli uomini, ma peccato di fronte all’esame divino, non divenga tanto peggiore proprio in quanto davanti agli uomini pretende di passare per virtù. Dunque bisogna dire ai pazienti che si studino di amare coloro che sono costretti a sopportare, perché se la pazienza non è accompagnata dalla carità, la virtù che ostenta non si muti nella peggiore colpa dell’odio. Perciò Paolo, dopo avere detto: La carità è paziente, aggiunge subito: La carità è benigna (1 Cor. 13, 4), volendo mostrare chiaramente che essa non cessa di amare con benignità coloro che sopporta con pazienza. (Gregorio Magno, La Regola Pastorale III, 9).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 03 Settembre 2017ultima modifica: 2017-09-03T22:44:17+02:00da fraternidade
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