Giorno per giorno – 13 Luglio 2017

Carissimi,
“Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demoni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date. Non procuratevi oro, né argento, né moneta di rame nelle vostre cinture, né bisaccia da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché l’operaio ha diritto al suo nutrimento”(Mt 10, 9-10). Chiesa in uscita, chiesa missionaria, chiesa inviata. Chiesa che Gesù chiama a sé, alimenta con la sua parola, riunisce intorno alla sua mensa, e subito manda via e disperde, nella speranza che qualcosa sia cambiato dentro di noi, e che noi si possa moltiplicare quella parola nel dono di noi stessi agli altri. Il regno che siamo chiamati ad annunciare è già questo andare incontro agli altri (che non sono semplicemente gli altri, ma sono già il suo mistero), nelle diverse situazioni che ciascuno di noi vive e a partire da ciò che ciascuno è, con i suoi pregi, ricchezze, limiti, debolezze. Stasera, a casa di Valdeci, proprio lei sottolineava il fatto che noi ci ripetiamo sempre queste cose (ed è già bene che siano queste cose), ma subito dopo, quando ci troviamo di fronte le concrete esperienze di male, o battiamo in ritirata, o soccombiamo o ne diventiamo addirittura strumenti, o ci rifugiamo nel nostro cantuccio, indifferenti a tutto, preoccupati solo a leccarci le nostre, di ferite. Eppure, ciò che Gesù ci chiede è proprio di spenderci gratuitamente a servizio della vita, ad accorgerci di chi è più nel bisogno, sapendo che c’è sempre qualcuno che lo è più di noi. E la comunità è lo strumento più idoneo per segnalare, discernere il da fare, riunire le forze, intervenire, contribuire a sanare. Certo, se non c’è passione per la parola di Gesù, entusiasmo per testimoniare il Regno, difficilmente si riesce a durare.

Oggi facciamo memoria di Carlos Manuel Rodríguez Santiago, laico al servizio del rinnovamento liturgico, di Rodolfo Ricciardelli, prete al servizio dei poveri, e di Arturo Paoli, piccolo fratello del Vangelo.

Carlos Manuel Rodríguez Santiago era nato a Caguas (Portorico) il 22 novembre 1918, in una famiglia di cinque figli, frutto del matrimonio tra Manuel Baudilio Rodriguez e Herminia Santiago. Di essi, due figlie si sarebbero sposate, una sarebbe divenuta carmelitana e un altro benedettino. Carlos, aggredito quand’era dodicenne da un cane lupo, riportò gravi ferite, che gli causarono una colite ulcerosa, da cui non sarebbe mai guarito. Al termine del liceo trovò occupazione come impiegato; tentò di intraprendere gli studi universitari, senza per altro riuscire a completarli, a causa della malattia. Sull’onda del movimento liturgico che si era venuto affermando nei primi decenni del XX secolo, divenne un suo profondo cultore e propagatore, dedicandosi a letture specializzate in materia, curando traduzioni, scrivendo articoli, e creando infine, nell’ateneo di San Juan di Portorico, un Centro universitario cattolico per lo studio e l’approfondimento della liturgia. Decisivo nei suoi interessi accademici, ma assai più nella sua vita spirituale, fu sempre il tema del Mistero Pasquale, che lo portò, prima ancora del rinnovamento liturgico promosso dal Concilio Vaticano II, a evidenziare l’importanza di esso e della sua celebrazione nella vita della comunità cristiana, e di sottolineare la necessità di aprire la liturgia alla comprensione e alla partecipazione del laicato. Quando nel 1962, la malattia degenerò in tumore, confessò al fratello benedettino di non essere pronto a morire. Seguirono mesi di grandi sofferenze fisiche e una prolungata “notte dello spirito”, in cui Dio sembrava del tutto assente. Solo poco prima di morire ritrovò la serenità e la pace con Dio. Si spense il 13 luglio 1963, a soli 45 anni. È il primo beato della chiesa portoricana.

Rodolfo Ricciardelli era nato il 29 maggio 1939 a Buenos Ayres, da una famiglia di origine italiana, e fu ordinato prete il 22 settembre 1962. Dopo l’ordinazione chiese e ottenne di poter essere prete-operaio e lo restò fino al novembre 1969, quando gli fu affidata la cura pastorale della parrocchia di Santa María Madre del Pueblo, la prima parrocchia fondata in una baraccopoli, nella villa 1-11-14 del barrio Bajo Flores, alla periferia di Buenos Aires. Nel 1967, intanto, assieme ad altri due preti, Héctor Botán e Miguel Ramondetti, aveva fondato il Movimento dei Sacerdoti per il Terzo Mondo, che si proponeva di dar seguito e rendere effettivo il rinnovamento introdotto dal Concilio Vaticano II, in ordine soprattutto all’opzione di una chiesa povera per i poveri, e di rispondere positivamente al più recente Messaggio di 18 vescovi del Terzo Mondo” (di cui nove erano brasiliani, con alla testa dom Helder Câmara e nove di altri paesi, ma nessuno argentino), che, condannando i regimi capitalisti e comunisti, come contrari ai precetti evangelici, affermavano essere dovere dei cristiani di “mostrare che il vero socialismo è il cristianesimo vissuto nella condivisione dei beni e nell’uguaglianza di tutti”. Benché in pochi mesi il Movimento avesse riunito centinaia di sacerdoti, non durò però a lungo, a causa delle divisioni interne insorte, riflesso di quelle che, in quegli stessi anni, attraversavano la base popolare, peronista e non, che avrebbe conosciuto di lì a poco, gli anni bui e gli orrori della dittatura del generale Videla (1976-1983). Durante quegli anni e in quelli seguenti, padre Rodolfo, che vide numerosi amici sequestrati, torturati e uccisi, continuò incessantemente, come altri “curas villeros”, la sua missione in povertà tra la gente più povera della villa 1-11-14. Un tumore al midollo, affrontato con pazienza e serenità esemplari, ne accompagnò gli ultimi anni di vita e lo portò alla morte il 13 luglio 2008. L’allora arcivescovo di Buenos Aires, card. Bergoglio, e numerosi vescovi ne celebrarono le esequie.

Arturo Paoli era nato il 30 novembre 1912, a Lucca, dove visse la sua infanzia e adolescenza. Maturata la vocazione sacerdotale, dopo gli studi in Lettere a Pisa e la laurea all’Università Cattolica di Milano, entrò nel seminario di Lucca nel 1937, e fu ordinato presbitero nel 1940. Durante la Seconda Guerra Mondiale partecipò alla Resistenza, collaborando attivamente alla rete di sostegno agli ebrei in fuga dalla persecuzione nazifascista. L’impegno gli varrà il riconoscimento di “Giusto tra le nazioni” da parte dello Yad Vashem, il Museo dell’Olocausto di Gerusalemme. Dal 1949 al 1954 fu a Roma assistente della Gioventù di Azione cattolica. Dimesso dall’incarico per incompatibilità coi metodi di Luigi Gedda, allora Presidente dell’associazione, fu nominato cappellano sulle navi che portavano gli emigranti in Argentina. L’incontro, in uno di questi viaggi, con Jean Saphores, un Piccolo Fratello di Gesù, che gli morirà tra le braccia, lo spinse ad entrare nella giovane congregazione religiosa ispirata a Charles de Foucauld e fondata da René Voillaume poco tempo prima. Visse il periodo di noviziato a El Abiodh, in Algeria, dove ritrovò, per un certo periodo, il suo vecchio amico Carlo Carretto, anch’egli passato dalla dirigenza dell’Azione cattolica alla vita dei picoli fratelli nel deserto del Sahara. Dopo la professione religiosa, lavorò ad Orano come magazziniere in un deposito del porto, secondo lo stile di vita della Fraternità. Nel 1957 rientrò in Italia, stabilendosi a Bindua, in Sardegna, dove avviò una nuova Fraternità tra i lavoratori della miniera di piombo e zinco di Monte Agruxau. Durerà poco. Visto di malocchio dalle gerarchie ecclesiastiche, partì nel 1960 per l’Argentina, Saranno quarantacinque anni di Sudamerica, spesi tra Argentina, fino al 1973, Venezuela, fino al 1983, e Brasile, fino al 2006, quando rientrerà definitivamente in Italia. Sempre al servizio dei più poveri, sfidando i potenti, denunciando l’idolatria assassina del mercato, dando il suo contributo all’elaborazione, ma soprattutto alla testimonianza di una teologia fatta e vissuta dal basso, in compagnia dei poveri, in vista della loro liberazione e della creazione di un mondo riconciliato e fraterno, o come piaceva dire a lui, per “amorizzare il mondo”. Al rientro in Italia, pur legato alla comunità dei Piccoli Fratelli del Vangelo di Spello, si stabilì nella sua città natale, nella casa diocesana di San Martino in Vignale, sulle colline sopra Lucca, intitolata al Beato Charles de Foucauld, dove si è spento la notte del 13 luglio 2015. A chi gli aveva domandato tempo prima cosa pensasse di trovare “oltre la soglia”, aveva risposto così: “Vedi, oggi pomeriggio, un caro amico mi accompagnerà a fare una passeggiata. Io non sto mica a chiedergli dove andremo, non sto mica a farmi spiegare cosa troverò. Così penso all’incontro con Dio. È un amico. E io mi fido di lui”. Già.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro della Genesi, cap.44, 18-21. 23b-29; 45, 1-5; Salmo 105; Vangelo di Matteo, cap.10, 7-15.

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

È tutto, per stasera. Di fratel Arturo Paoli, vi proponiamo nel congedarci un brano tratto da un conversazione tenuta il 27 giugno 2012 a San Martino in Vignale con l’Associazione “Viandanti”. Ed è questo, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Il cammino nel deserto si svolgeva in questa maniera: si parte la mattina alle nove su per giù, dopo colazione, e si riempiono le tasche di datteri. Non sono molto buoni perché la sabbia vi si appiccica, ma i datteri sono un alimento completo e si mangiano camminando. Quando hai sete il dattero ti toglie la sete, moltissimo. Si facevano in media quaranta chilometri al giorno, fino ad arrivare a Béni Abbès dove è cominciata la vita di Charles de Foucauld, dopo la conversione. Il primo approdo dove è tornato sacerdote è stato proprio Béni Abbès, dove abbiamo ancora una fraternità. Allora posso dire che la mia conversione è avvenuta in questa maniera. Tutte le sere e tutte le mattine, quando si metteva il carico sui cammelli – che erano diversi perché eravamo tanti Fratelli – quando si preparavano i cammelli, per montare la sella e caricare i viveri, c’era sempre un cammello che scappava, che si rifiutava e scappava; allora il cammelliere ci aveva avvisato di non gridare, di non corrergli dietro. Questo cammello se ne stava tutto il giorno per suo conto e verso il tramonto tornava ad avvicinarsi alla carovana. Allora il cammelliere si metteva accanto a lui a cantare il Corano e il cammello, la mattina dopo, si lasciava accarezzare per primo mentre un altro via, scappava. Praticamente questa è come la rappresentazione di quello che avveniva in me, perché sentivo a poco a poco che la fede tornava. Allora capii che il mio sbaglio era quello di credere che sei tu ad amare Dio. Nessuno può amare Dio, che è infinito. È invece Dio che ama te, perché Lui non si lascia amare, Lui non ne ha bisogno. Sarebbe come se tu portassi un bicchiere d’acqua a un fiume per arricchirlo di acqua. E’ la stessa cosa. […] Io lo dico in chiesa, non è che noi amiamo Dio, ma Dio ama noi, noi dobbiamo lasciarci amare da Lui. Bisogna capirlo dal di dentro, non è un concetto, è un esperienza che viene dal di dentro. Infatti, in tutti gli scritti ascetici se ne parla. In santa Teresa, in san Giovanni della Croce ecc. non ce n’è uno che sgarri, tutti parlano del periodo passivo, della notte dello spirito, della perdita della fede, della fede che si è levata dalle mani. Tutti. E poi arriva l’estasi dell’amore di Dio. (Le parole di fratel Arturo).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 13 Luglio 2017ultima modifica: 2017-07-13T22:57:17+02:00da fraternidade
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