Giorno per giorno – 12 Luglio 2017

Carissimi,
“Chiamati a sé i dodici discepoli, Gesù diede loro il potere di scacciare gli spiriti immondi e di guarire ogni sorta di malattie e d’infermità. Questi dodici Gesù li inviò dopo averli così istruiti: Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele. E strada facendo, predicate che il regno dei cieli è vicino” (Mt 10, 1. 5-7). Dodici, tante quanto le tribù d’Israele, cioè tutto il popolo, e quindi anche di questa variante di quel popolo, o forse, di ogni popolo, che è la Chiesa. In quei dodici siamo allora compresi anche noi. Ciascuno/a di noi, col suo nome, con la sua maniera d’essere, di pensare, di relazionarsi agli altri. Ma, anche, da quel momento in poi, da quando cioè lui ci ha chiamati, oltre ogni nostra differenza, con una comune missione, in continuità con la sua: cacciare gli spiriti immondi, guarire ogni sorta di malattia e infermità, annunciare, con la propria vita più che a parole, che il regno di Dio è vicino. Ossia, è a portata di mano. È curioso il fatto che, pur menzionando Dio (o i cieli, che nella cultura di allora era sinonimo dell’impronunciabile Nome), i segni del suo regnare siano quelli di un potremmo quasi dire “laico” benessere, sottratto alle forze del male fisico, psichico, spirituale, sociale, che impediscono di vivere in fraterna solidarietà. La felicità dell’uomo è l’unica preoccupazione di Dio, la sua religione. Dovremmo trarne qualche conclusione.

Il nostro calendario ecumenico ci segnala oggi le memorie di Giovanni Gualberto, monaco e profeta di una Chiesa rinnovata; di Nathan Söderblom, vescovo luterano, al servizio della pace e dell’ecumenismo; di Sergej Nikolaevic Bulgakov, sacerdote e teologo ortodosso; e di p. André Louf, monaco trappista e autore spirituale.

Giovanni Gualberto nasce a Firenze all’inizio del sec. XI. Dopo aver perdonato, per amore a Cristo, l’assassino del fratello, entrò nel monastero benedettino di san Miniato, da cui ben presto dovette allontanarsi, per le minacce rivoltegli dall’abate e dallo stesso vescovo di Firenze, da lui accusati di corruzione. Dopo una sosta tra gli eremiti di Camaldoli, si rifugiò nella foresta di Vallombrosa, dove, nel 1038, fondò un monastero secondo la regola di san Benedetto, che darà origine alla Congregazione benedettina Vallombrosana, basata sulla vita in comune, la povertà, il rifiuto di privilegi e protezioni. La Chiesa dell’epoca viveva una situazione drammatica, essendo il clero composto, per lo più, da individui senza scrupoli, affaristi e immorali, legati a filo doppio all’aristocrazia dominante. Ma, nel contempo, cominciava ad affermarsi, con sempre maggior forza, l’esigenza di por fine a tanto scempio. Avviata per iniziativa dei ceti popolari, che presero a cacciare i chierici indegni, l’opera di riforma trovò appoggio e incoraggiamento nei monaci di Vallombrosa, che si dedicarono, tra l’altro, alla formazione di nuove leve di uomini, che testimoniassero, nelle file del clero, una ritrovata fedeltà al Vangelo. La morte di Giovanni Gualberto, il 12 luglio 1073, fu di poco preceduta dall’elezione a papa del monaco Ildebrando, Gregorio VII, che avrebbe fatto sua la lotta contro le degenerazioni del mondo ecclesiastico.

Lars Olof Jonathan (chiamato Nathan) Söderblom nacque a Trönö, in Svezia, il 15 gennaio 1866, da Jonas Söderblom e Sophia Blume. Ordinato pastore nel 1893, nello stesso anno conobbe e sposò Anna Forsell, una studentessa assai dotata, che sarà sua preziosa collaboratrice e che gli darà, nel corso della vita in comune, tredici figli. Fu poi cappellano all’Ambasciata svedese a Parigi, dal 1894 al 1901. Laureatosi alla Sorbona, divenne professore di Storia delle religioni all’Università di Uppsala e, nel 1914, arcivescovo di quella stessa città e Primate della Chiesa di Svezia. Benché luterano, di una chiesa che mantiene l’istituto dell’episcopato nella sua forma storica, Söderblom seppe apprezzare la liturgia e le diverse espressioni del culto e della devozione proprie della Chiesa cattolica, e nello stesso tempo riconoscere il valore della riflessione teologica protestante. Convinto fosse suo dovere darsi da fare per l’unità dei cristiani, cattolici ed evangelici, pensò che la collaborazione su concreti problemi potesse costituirne i primi promettenti passi. Durante la Prima Guerra Mondiale, lavorò instancabilmente per alleviare le condizioni dei prigionieri di guerra e dei rifugiati. Per questo e per tutto l’azione a favore della pace del mondo e dell’unità delle Chiese, ricevette il Premio Nobel per la Pace nel 1930. A Stoccolma, nel 1925, aveva fondato il Movimento internazionale cristiano Vita e Azione. Nello stesso tempo uno dei maggiori gruppi anglicani aveva costituito una Conferenza interconfessionale su Fede e Ordine. Nel 1948 i due gruppi si sarebbero uniti per formare il Consiglio Mondiale delle Chiese. Come arcivescovo primate della Chiesa svedese, si preoccupò di approfondire i canali di comunicazione tra la Chiesa e le masse lavoratrici, cosí come tra Chiesa e intellettuali. Morì il 12 luglio 1931.

Sergej Nikolaevic Bulgakov nacque a Livny, in Russia, il 16 giugno 1871. Educato religiosamente, conobbe a partire dai tredici anni una fase di ateismo che lo accompagnò fino ai trent’anni. Frequentò la facoltà di giurisprudenza dell’Università di Mosca, dedicandosi alle scienze sociali e lavorando, poi, per due anni, presso la cattedra di economia politica e statistica. Durante un soggiorno in Europa conobbe Karl Kautsky, Rosa Luxemburg e altre personalità del socialismo europeo. Fu professore di economia politica e sociale dapprima a Kiev, poi a Mosca. Sotto l’influsso di Solov’ëv e di Florenskij, passò dapprima dal marxismo all’idealismo, e in seguito si convertì all’Ortodossia. Nel 1907 lo troviamo deputato (“socialista cristiano”) alla seconda Duma. Nel 1909 gli morì il figlio di quattro anni. È a partire da allora che Bulgakov cominciò a dirigere la sua riflessione alla contemplazione della kenosi del Cristo e, in Lui, iconicamente, della kenosi intradivina. Il giorno di Pentecoste del 1918 venne ordinato diacono, il giorno successivo sacerdote. Benché membro del soviet supremo ecclesiastico, fu costretto ad autoesiliarsi in Crimea, dove presto fu escluso dall’insegnamento. Espulso dall’Unione Sovietica alla fine del 1922, dopo un breve soggiorno a Costantinopoli e a Praga, fu chiamato a Parigi dal metropolita Evlogij all’Istituto di Teologia ortodossa di san Sergio, dove ccominciò per lui un periodo di lavoro intenso e di attivo ministero spirituale. Morì il 12 luglio 1944. Pavel Evdokimov considerò Bulgakov il maggior teologo del nostro tempo. La sua opera è stata paragonata a quelle di Origene, di Tommaso d’Aquino, di Teilhard de Chardin.

Jacques Louf era nato a Leuven (Belgio), il 29 dicembre 1929, terzo e ultimo figlio di una famiglia assai religiosa. Sedicenne conobbe il monastero trappista di Notre-Dame di Mont-des-Cats, nell’estremo nord della Francia, e ne fu subito affascinato. Due anni più tardi, il 15 ottobre 1947, vi fece il suo ingresso come novizio, assumendo il nome di André. Dopo gli studi biblici a Roma, e la professione solenne, avvenuta il 2 febbraio 1954, fu ordinato presbitero il 19 luglio 1955. Poi, a sorpresa, a soli trentatre anni, il 10 gennaio 1963, venne eletto abate, nonostante di norma l’età minima richiesta sia trentacinque anni. Resterà in carica per 34 anni, “guidando la sua comunità con sapienza e discernimento negli anni del Concilio Vaticano II e del successivo ‘aggiornamento’ in vista di una rinnovata fedeltà del monachesimo alle istanze evangeliche. Della sua esperienza di fede, confesserà un giorno: “Ero inginocchiato tra i banchi dell’abbazia, quando ho compreso chiaramente l’amore infinito di Dio per me. È stata un’esperienza sconvolgente. Da allora ho capito che Dio supera infinitamente qualunque cosa si possa dire di lui”. Nel 1997, lasciata la carica abbaziale, si ritirò in un eremo presso il monastero benedettino di Saint-Lioba, nel sud della Francia. Uomo di preghiera e di studio, scrittore e conferenziere prolifico, si è spento il 12 luglio 2010, nel monastero di Mont-des-Cats. Nel 2004, Giovanni Paolo II gli aveva chiesto di comporre le meditazioni per la Via Crucis che si tiene il Venerdì Santo al Colosseo.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro della Genesi, cap.41, 55-57; 42, 5-7a; 17-24a; Salmo 33; Vangelo di Matteo, cap.10, 1-7.

La preghiera del mercoledì è in comunione con tutti gli operatori di pace, quale ne sia il cammino spirituale o la filosofia di vita.

Come da piú parti si era ventilato, la condanna dell’ex Presidente Lula per corruzione passiva e lavaggio di denaro (senza nessuna prova – anzi con la prova del contrario – , ma per convinzione inappellabile del giudice monocratico Sergio Moro), è venuta in coincidenza con l’approvazione definitiva da parte del Senato della legge, nei suoi punti qualificanti elaborata direttamente dalle lobby dei Trasporti, degli Istituti finanziari e dell’Industria, che stravolge in senso ultraliberista la legislazione sul lavoro, annullando molte delle conquiste dei lavoratori in termini di salario, contrattazione, orari, sicurezza, licenziamenti, giustizia. Che poi erano due obiettivi prioritari del golpe parlamentare dello scorso anno: restituire mano libera ai poteri forti dell’economia e tentare di impedire la rielezione di Lula nelle elezioni presidenziali del 2018. La condanna dell’ex Presidente è così servita “anche” da diversivo, distogliendo l’attenzione da quanto si veniva consumando al Senato. Ad opera, ovviamente dei media, che qui operano in regime di quasi monopolio (Rede Globo e associate), anche loro interessati alla svolta autoritaria in atto, per i vantaggi promessi dal governo golpista. Si continua comunque a sperare che esista ancora una parvenza di giustizia nelle istanze superiori e che la condanna, come è avvenuto in altri casi, negli ultimi mesi, sia annullata.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura un brano di P. André Louf, tratto dal suo libro “Lo Spirito Santo prega in noi” (Edizioni Qiqajon). Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Ogni metodo di preghiera mira a quest’unico scopo: ritrovare il cuore e destarlo. La preghiera deve consistere in una specie di vigilanza interiore. Gesù stesso ha accostato vigilanza e preghiera. La formula “vegliate e pregate” risale certamente a Lui (Mt 26,41; Mc 13,33). Solo un’attenzione profonda e pacata può metterci sulle tracce del nostro cuore e, in esso, della preghiera. Bisogna dunque vigilare e incominciare con il ritrovare la via verso il nostro cuore per liberarlo e sbarazzarlo da tutto ciò che lo ingombra. La conversione non ha altro scopo che farci rientrare in noi stessi, farci ritornare al centro vero della nostra persona, redire ad cor (cf Is 46,8 Vulg.), ritornare la cuore, come si diceva volentieri nel medioevo. Nel cuore spirito e corpo si raccolgono; si tratta del punto centrale del nostro essere. Ritornati ad esso viviamo a un livello più profondo, in cui si è in riposo e in armonia con tutto e con tutti, in primo luogo con se stessi. Questo ritorno è ritorno in sé. Genera raccoglimento e interiorità. Penetra fino al nostro io più profondo, all’immagine di Dio in noi. Giunge al centro ontologico in cui noi sgorghiamo costantemente dalla mano creatrice di Dio e da cui rifluiamo verso di Lui. Pregare ci insegna a vivere della vita che è interiore a noi stessi. Ogni uomo di preghiera possiede un cor profundum, un cuore insondabilmente profondo. La parabola del figliol prodigo (cf Lc 15,11-32) è stata spiegata in tal senso da alcuni Padri della Chiesa. (André Louf, Lo Spirito Santo prega in noi).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 12 Luglio 2017ultima modifica: 2017-07-12T22:55:53+02:00da fraternidade
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