Giorno per giorno – 11 Luglio 2017

Carissimi,
“Presentarono a Gesù un muto indemoniato. E dopo che il demonio fu scacciato, quel muto cominciò a parlare. E le folle, prese da stupore, dicevano: Non si è mai vista una cosa simile in Israele! Ma i farisei dicevano: Egli scaccia i demòni per opera del principe dei demòni” (Mt 9, 32-34). Gesù ha appena guarito due ciechi (cf Mt 9, 27-31), ed ecco che gli portano un uomo muto. Che egli guarisce senza che neanche gli chiedano nulla. Perché, noi si può anche finire per accettare la nostra incapacità di parlare (o di vedere), lui, invece, no, e ce lo fa sapere. E ci dice che il Regno consiste già in questa ritrovata capacità di accorgersi della sofferenza degli altri, per decidere di porvi rimedio: “Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore” (v. 36). E così, “percorreva tutte le città e i villaggi, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni malattia e ogni infermità” (v.35). Stasera, noi ci dicevamo che ci sarebbe da disperarsi nel vedere come spesso le chiese hanno così disinvoltamente tralasciato di assolvere questa missione, che è la missione stessa di Gesù, per confinarla, tradurla (e così tradirla) in un sistema di credenze e pratiche separate dalla vita reale o che si pretende costituiscano una sorta di protezione magica a tutela nostra e dei nostri, e che però ci rendono ciechi, sordi e muti rispetto alle necessità degli altri. Anzi, se c’è qualcuno che si premura di aprire gli occhi e restituire [il diritto al]la parola a chi ne era privo, proprio come i farisei di allora, non si esita a demonizzarne l’operato. Tornare, dunque al Vangelo, all’annuncio e alla testimonianza del Regno, alla pratica di Gesù. È questo che ci è chiesto.

La Chiesa ricorda oggi Benedetto da Norcia, padre del monachesimo occidentale, nonché patrono della vostra povera Europa. Il martirologio latinoamericano ci ricorda anche Mons. Carlos Horacio Ponce de Léon, pastore e martire in Argentina.

Poco sappiamo della sua vita. Nato a Norcia, in Umbria, nel 480 circa, dopo aver studiato a Roma, il giovane Benedetto si ritirò sul Monte Subiaco, dedicandosi ad una vita di preghiera e penitenza. Venne, in seguito, a contatto (lo si deduce da quanto è detto nella Regola) con diverse esperienze di vita monastica, da quelle più serie e motivate (anacoreti e cenobiti), a quelle più opportuniste e depravate (sarabaiti e girovaghi). Alcuni monaci, che lo avevano voluto come abate, tentarono persino di eliminarlo, non sopportandone il rigore. A Monte Cassino, fondò infine il suo monastero. Lí, uomini di ogni ceto ed estrazione, cui Benedetto seppe comunicare l’entusiasmo per il cammino evangelico e la sua radicalità, presero a vivere la vita del lavoro duro dei campi (condiviso con le classi basse della società), alternata a tempi di studio e scandita dai momenti forti della preghiera e dell’ascolto della Parola di Dio, in una comunità egualitaria e fraterna, retta dall’autorità e dall’esempio dell’abate, con l’aiuto e la guida di una Regola, che Benedetto dovette redigere ispirandosi anche a normative più antiche. Il patriarca del monachesimo occidentale morì il 21 marzo 547. O giù di lì. Duecento anni dopo la sua morte, erano già più di mille i monasteri che si riconoscevano e si ispiravano alla sua norma di vita.

Carlos Horacio Ponce de Léon era nato il 17 marzo 1914 a Navarro (Buenos Aires). Fu ordinato prete il 17 dicembre 1938. Nominato vescovo ausiliare della diocesi di Salta (Argentina), il 9 giugno 1962, fu consacrato il 15 agosto dello stesso anno. Il 28 aprile 1966 fu nominato vescovo di San Nicolás de los Arroyos. Durante il regime dittatoriale dell’autodenominato Processo di Riorganizzazione Nazionale, instaurato nel 1976, e che costò un altissimo numero di vittime, fu uno dei pochi membri della gerarchia della Chiesa cattolica argentina a criticare apertamente le violazioni dei diritti umani, gli abusi e i crimini della dittatura. A partire dal 24 marzo 1976 cominciò a ricevere sistematicamente i famigliari dei desaparecidos. Riceveva famiglia per famiglia, dedicando loro il tempo necessario per ascoltarne le preoccupazioni, annotare i dati, assicurare il suo interessamento. Ripetutamente minacciato di morte, ai preti che gli chiedevano perché non se ne andasse, rispondeva: “Perché andarmene se non faccio niente di male?”. L’11 luglio 1977, mentre alla guida della sua Renault 4S, accompagnato dal suo collaboratore Victor Martinez, si stava recando a Buenos Ayres trasportando alcuni dosssier scottanti sulle violazioni dei diritti umani (sequestri e torture), uno strano incidente mandò la vettura fuori strada. Trasportato alla clinica San Nicolás, vi morì qualche ora píù tardi, senza che fosse permesso al suo medico di entrare nell’unità di terapia intensiva. Aveva 63 anni.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro della Genesi, cap.32, 23-32; Salmo 17; Vangelo di Matteo, cap.9, 32-38.

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali del Continente africano.

È tutto, per stasera. E, prendendo spunto dalla memoria di Benedetto da Norcia, ci congediamo, offrendovi in lettura una citazione di P. Bartolomeo Sorge, tratta da una sua conferenza dal titolo “Il lavoro nella vita monastica. Uno sguardo profetico: verso ipotesi future”, che troviamo in rete e che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
È notevole l’analogia che c’è tra la svolta storica, vissuta da san Benedetto, e la nostra del XXI secolo. L’Europa (l’Occidente) sta vivendo una crisi profonda della sua cultura e quindi della sua civiltà, come avvenne in seguito al crollo dell’Impero romano. Certo, durante i 15 secoli trascorsi, si sono succedute innumerevoli altre crisi d’ordine politico, culturale, sociale ed economico; guerre e distruzioni spaventose. Ma noi oggi stiamo vivendo la crisi strutturale più lunga e profonda. Nel contesto di globalizzazione europeo (e dell’umanità), divenuto plurietnico, pluriculturale e plurireligioso, non reggono più l’ispirazione cristiana, l’apertura della cultura alla trascendenza, la concezione del lavoro e dell’economia eticamente fondata, come strumento di crescita non solo materiale, ma anche morale. Ovviamente non si può più riproporre il modello di “cristianità” del tempo di san Benedetto. La scommessa oggi è quella di porre il dinamismo della fede cristiana al servizio di un nuovo ordine economico a misura d’uomo. […] La società del benessere, fondata sul consumismo, si è rivelata disumanizzante. Producendo per produrre, consumando per consumare, ci siamo ridotti a misurare tutto con il metro dell’efficientismo, dell’individualismo e del benessere materiale. In tal modo, anche la concezione del lavoro e dell’economia ne è risultata stravolta. Il lavoro non è più uno strumento al servizio dell’uomo e della sua crescita integrale, ma l’uomo diviene schiavo del lavoro e delle strutture di produzione. […] I fattori etici e sociali sono – oggi, non meno che ai tempi di san Benedetto – determinanti ai fini dell’instaurazione di un ordine economico degno dell’uomo. Il concilio Vaticano II lo ha ribadito con chiarezza e così pure il Magistero sociale della Chiesa più recente. Occorre rivedere il concetto stesso di sviluppo. Al di là del dibattito teorico, ciò comporta un mutamento nel comportamento dei cittadini, come drammaticamente ci sta imponendo la crisi attuale: la volontaria limitazione nell’uso dei beni, la moderazione e l’austerità: quella sobrietà che san Benedetto poneva, insieme con la qualità umana del lavoro, a fondamento di un regime economico a misura d’uomo, finalizzato non all’avido guadagno, ma alla soddisfazione dei bisogni reali dell’esistenza. (Bartolomeo Sorge S.I., Il lavoro nella vita monastica. Uno sguardo profetico: verso ipotesi future).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 11 Luglio 2017ultima modifica: 2017-07-11T22:54:42+02:00da fraternidade
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