Giorno per giorno – 10 Luglio 2017

Carissimi,
“Mentre Gesù parlava, giunse uno dei capi che gli si prostrò innanzi e gli disse: Mia figlia è morta proprio ora; ma vieni, imponi la tua mano sopra di lei ed essa vivrà. Alzatosi, Gesù lo seguiva con i suoi discepoli” (Mt 9, 18-19). Stasera, a casa di dona Cristina, ci dicevamo che a tutti, una volta o l’altra, è capitato, certo irrazionalmente, di formulare, davanti alla salma di una persona cara, la preghiera, il pensiero, il desiderio, che essa potesse, per un qualche prodigio, tornare a vivere. O anche solo, e sarebbe in un certo senso più facile, che ciò che si viveva in quel momento si rivelasse solo un incubo, da cui noi si finisse per risvegliarci. Senza, ovviamente, che nulla di tutto ciò fosse esaudito. Dio non risuscita i morti. Almeno per come l’intendiamo noi. E neppure è una fabbrica di miracoli, da distribuire a suo piacimento. Di cui le religioni e le chiese possano contendersi il monopolio. Fa – con i suoi discepoli – ció che si può fare, per contrastare il potere della morte, del male, della malattia. È ciò che possiamo fare anche noi. In questo consiste l’agire, o l’accadere, di Dio. Ogni volta che dona Dominga è costretta ad alzarsi nel bel mezzo della notte per far fronte a una delle crisi di Maria José, e riesce a dominarne le convulsioni, fino a portarla ad uno stato di calma soporosa e poi alle sue condizioni normali, anche lì c’è il tocco di Dio. Di questi gesti, di queste lotte, in tutta la loro possibile varietà, contro la potenza del male che vorrebbe spegnere la vita, ridurre al nulla, di volta in volta, noi o il nostro prossimo, tutti abbiamo fatto e possiamo fare esperienza. Ogni carezza, bacio, abbraccio, ogni prendersi cura, ogni presenza anche solo silenziosa al capezzale, ogni sguardo pieno di amore, lo sanno bene i bambini, è già l’inizio di una terapia. Che agisce sempre, se e quando non ci si nega ad essa. Resta per noi l’interrogativo se intendiamo davvero fare di questo, il segno, la parabola, di una preoccupazione più grande, della maniera di un essere chiesa che si prende cura del mondo, a partire dagli ultimi, da quelli che gli altri scansano, dai dimenticati da tutti. È questo che significa seguire Gesù, è questo che ci chiede Dio.

Oggi le chiese copta, ortodossa e cattolica fanno memoria di Cirillo d’Alessandria, pastore e padre della Chiesa. Il martirologio latinoamericano ricorda P. Faustino Villanueva, martire della solidarietà in Guatemala. Noi ricordiamo anche i 51 Martiri ebrei di Berlino, vittime del fanatismo religioso nel 1519.

Cirillo nacque nel 370, nei pressi di Alessandria d’Egitto, ma della sua vita conosciamo in pratica solo gli eventi che seguirono la sua nomina a papa di Alessandria, nel 412, quando succedette nella carica a suo zio, il patriarca Teofilo, uomo violento e intollerante nei confronti di pagani, ebrei e cristiani che non la pensassero come lui, responsabile tra l’altro, nel 403, della fraudolenta deposizione da patriarca di Costantinopoli di S. Giovanni Crisostomo. A titolo di curiosità, furono i patriarchi della Chiesa alessandrina i primi in ordine di tempo a fregiarsi del titolo di papa (papas, padre), ai tempi di Eracla, 13º patriarca (232-248) sulla cattedra che fu, secondo la tradizione, di san Marco. Cirillo, teologo colto e penetrante, non fu, come del resto lo zio, alla cui scuola era cresciuto, quel che si dice uomo di dialogo. Se anche non vi intervenne personalmente, delegò tuttavia ai suoi armigeri e sostenitori l’organizzazione di provocazioni e tumulti che sfociarono nella cacciata degli ebrei da Alessandria, nell’espulsione dei Novaziani dalle loro chiese, nonché, nel marzo del 415, nella folle uccisione della filosofa e scienziata pagana Ipazia. Dal punto di vista teologico, Cirillo si dedicò soprattutto ad elaborare una cristologia e una pneumatologia con base nell’Evangelo e nella tradizione. Si scontrò per questo con Nestorio, patriarca di Costantinopoli, sul cui insegnamento teologico ebbe la meglio, nel Concilio di Efeso (431), che vide l’affermarsi della sua teologia dell’Incarnazione: “L’Emmanuele consta con certezza di due nature: di quella divina e di quella umana. Tuttavia il Signore Gesù è uno, unico vero figlio naturale di Dio, insieme Dio e uomo; non un uomo deificato, simile a quelli che per grazia sono resi partecipi della divina natura, ma Dio vero che per la nostra salvezza apparve nella forma umana”. Sembra che, negli ultimi anni di vita, condotto a più miti consigli dalla pluriennale esperienza pastorale, si sia dedicato a ricercare un cammino che aiutasse a superare i contrasti insanabili tra le chiese, creati dalla radicalizzazione del dibattito teologico. Morì nel 444. La chiesa copta lo ricorda il 27 giugno del calendario giuliano, che corrisponde al nostro 10 luglio.

Faustino Villanueva era un missionario spagnolo della Congregazione del Sacro Cuore, giunto in Guatemala, ventottenne, nel 1959, e destinato alla parrocchia di Joyabaj, nel Quiché. Lì, come nelle altre località in cui fu inviato negli anni seguenti – Canillá, San Andrés Sajcabajá, San Bartolomé Jocotenango, San Juan Cotzal, Sacapualas – la sua attitudine pastorale fu sempre la stessa: conoscere la realtà e i problemi della gente, annunciare la Parola di Dio, celebrare l’Eucaristia e amministrare i sacramenti nei diversi villaggi e comunità, portare medicinali, animare e organizzare la catechesi, e, negli ultimi tempi, aiutare a costituire una piccola cooperativa di produzione che riuscisse a sottrarre la povera gente dalle mani degli usurai. Tutti lo conoscevano come grande organizzatore, uomo di dialogo, pacifico, equilibrato e serio, ma anche sempre teneramente vicino alla sua gente. In nulla, pericoloso e, tanto meno, sovversivo. Eppure, nel Guatemala di quegli anni, chiunque scegliesse di vivere a servizio delle comunità indigene, sapeva già di essere nel mirino degli squadroni della morte. Il 10 luglio 1980, a tarda sera, due giovani bussarono alla sua porta chiedendo di parlargli. Il prete li fece accomodare nell’ufficio parrocchiale. Il tempo di entrare e lo crivellarono di colpi. Morì a causa della sua dedizione agli indigeni del Quiché, i più emarginati nella società guatemalteca.

Nel 1519, un folto gruppo di Ebrei di Berlino fu accusato del furto sacrilego della pisside e delle ostie consacrate perpetrato in una chiesa di Knoblauch, un paese del circondario. Centoundici ebrei furono arrestati e processati sommariamente. Di essi, cinquantuno furono condannati a morte e trentotto mandati al rogo nella piazza del mercato. Era il 10 luglio 1519. Venti anni dopo, la Dieta di Francoforte li avrebbe riconosciuti tutti innocenti. Vittime dell’odio per la loro fede di cristiani fanatici.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro della Genesi, cap.28, 10-22; Salmo 91; Vangelo di Matteo, cap.9, 18-26.

La preghiera di questo lunedì è in comunione con i fedeli del Sangha buddhista.

Bene, per stasera è tutto. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura un brano del “Commento sul Profeta Isaia” di Cirillo d’Alessandria. Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Dall’oriente farò venire la tua stirpe. Dall’occidente io ti radunerò. Quando il profeta parla di figli e figlie che accorrono dalle quattro parti della terra, egli allude al tempo della venuta di Cristo, in cui fu data agli abitanti della terra la grazia dell’adozione per mezzo della santificazione nello Spirito. Quando Isaia dice: Quelli che portano il mio nome, indica che non si tratta di un solo popolo, ma di una vocazione unica, comune a tutti. Portiamo infatti il nome di cristiani, cioè popolo di Dio. Così anche Pietro, inviando una lettera a coloro che sono stati chiamati per mezzo della fede, dice: Voi sie¬te la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato. Questo popolo, dunque, raccolto dalle quattro parti del mondo e chiamato col mio nome, non altri che io l’ho creato, plasmato e fatto a mia gloria. Ma solo il Figlio può essere veramente chiamato gloria di Dio Padre; per lui e in lui infatti il Padre è glorificato, come Cristo stesso solennemente attesta: Io ti ho glorificato sopra la terra. Noi che in lui crediamo, da ciò conosciamo di essere stati plasmati per mezzo suo, perché divenendo conformi a lui, risplenda nella nostra anima la bellezza della natura divina. Qualcosa di simile dice anche il salmista: Questo si scriva per la generazione futura, un popolo nuovo darà lode al Signore. E quando poi il profeta aggiunge: Guidai un popolo cieco, rivela stupendamente l’altezza inesprimibile e meravigliosa della sua potenza. Irradiò come stella del mattino coloro, la cui mente era avvolta nella caligine dell’errore e della perversità diabolica, e, sorgendo per loro come sole di giusti¬zia, li rese figli non più della notte e delle tenebre, ma della luce e del giorno, come troviamo scritto in san Paolo. (Cirillo d’Alessandria, Commento sul profeta Isaia, IV, 1).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 10 Luglio 2017ultima modifica: 2017-07-10T22:53:05+02:00da fraternidade
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