Giorno per giorno – 08 Luglio 2017

Carissimi,
“Nessuno mette un pezzo di stoffa grezza su un vestito vecchio, perché il rattoppo squarcia il vestito e si fa uno strappo peggiore. Né si mette vino nuovo in otri vecchi, altrimenti si rompono gli otri e il vino si versa e gli otri van perduti. Ma si mette vino nuovo in otri nuovi, e così l’uno e gli altri si conservano” (Mt 9, 16-17). All’origine del brano di Vangelo che abbiamo ascoltato oggi c’era l’amarezza, espressa nel caso dai discepoli di Giovanni sul tema del digiuno, per la mancata condivisione delle proprie convinzioni e pratiche religiose nell’ambito della stessa comunità di fede. Motivata, oltretutto, dallo scandalo determinato dal vedere Gesù e i suoi allegramente a tavola con gente di cattiva fama. A che pro, c’è chi continua a chiederselo anche oggi, fare tanti sacrifici, se poi Lui accoglie indistintamente tutti? Certo, c’è una comprensibile affezione al proprio modo di pensare, di vivere, di pregare, come anche alla propria scala di valori, che sono però tutte espressioni del nostro io, individuale o collettivo, che vuole affermarsi e avere la meglio sugli altri, spesso con la scusa di volere il loro bene. Gesù rappresenta la novità di un atteggiamento che non si impone, ma si propone ogni volta come svuotamento di sé, delle piccole o grandi smanie di potere, che non sono altro che gli idoli cui continuiamo a prestare culto, per godere ogni volta dell’allegria dell’incontro con l’Altro, nella infinita varietà delle maniere d’essere con cui Egli ci si dà a conoscere negli altri. Allora, se proprio dobbiamo parlare di digiuno, dovremmo ricordare che l’unico digiuno che a Dio preme è quello che nasce dalla constatazione che quell’allegria è venuta meno e che, perciò, lo Sposo, che è immagine dell’incontro festoso e solidale delle diversità, ci è sottratto, e che l’unica maniera per riportarlo tra di noi è quella menzionata nella parola del profeta Isaia, là dove dice: “Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza distogliere gli occhi da quelli della tua carne?” (Is 58, 6-7).

Oggi il calendario ci porta la memoria di Procopio, martire in Palestina.

Su Procopio, che lo storico Eusebio addita come primo martire della Palestina, disponiamo di un buon numero di racconti leggendari, ma di poche notizie storicamente accertate. Secondo queste, Procopio era nato nella seconda metà del III secolo, ad Aelia Capitolina (così i Romani avevano ribattezzato Gerusalemme, dopo la sconfitta dell’insurrezione guidata da Simon Bar Kochba, nel 132) e si era poi trasferito a Scitopoli (l’ebraica Beit She’an, all’incrocio tra la valle del Giordano e quella di Jezreel), dove era contemporaneamente lettore, interprete di siriaco ed esorcista. Dedito fin da giovanissimo ad una vita ascetica e allo studio della Parola di Dio, durante la persecuzione di Diocleziano, fu denunciato assieme ad altri compagni come cristiano e condotto a Cesarea, per essere interrogato dal governatore Firmiliano e del giudice Flaviano. Richiesto di sacrificare agli dei, si rifiutò. Invitato a fare delle libagioni ai due imperatori e ai due Cesari in carica, rispose, citando Omero “Una moltitudine di comandanti non è mai una buona cosa, ci deve essere un solo dominatore, un solo re”. E, per quel che lo riguardava, aveva scelto di porre la sua fiducia in Cristo. Pare che la risposta non piacque ai suoi giudici, dato che fu decapitato seduta stante.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro della Genesi, cap.27, 1-5. 15-29; Salmo 135; Vangelo di Matteo, cap.9, 14-17.

La preghiera del Sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

Oggi compie 96 anni Edgar Nahoum, filosofo e sociologo francese, di famiglia ebrea sefardita, più noto con lo pseudonimo di Edgar Morin, che noi scegliamo di omaggiare, offrendovi, nel congedarci, una citazione tratta dal suo libro “L’identità umana” (Raffaello Cortina Editore), che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
“La planetizzazione significa ormai comunità di destino per tutta l’umanità. Le nazioni consolidavano la coscienza delle loro comunità di destino con la minaccia incessante del nemico esterno. Ora, il nemico dell’umanità non è esterno. È nascosto in essa. La coscienza della comunità di destino ha bisogno non solo di pericoli comuni, ma anche di un’identità comune che non può essere la sola identità umana astratta, già riconosciuta da tutti, poco efficace a unirci; è l’identità che viene da un’entità paterna e materna, concretizzata dal termine patria, e che porta alla fraternità milioni di cittadini che non sono affatto consanguinei. Ecco che cosa manca, in qualche modo, perché si compia una comunità umana: la coscienza che siamo figli e cittadini della Terra-Patria. Non riusciamo ancora a riconoscerla come casa comune dell’umanità”. (Edgar Morin, L’identità umana).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 08 Luglio 2017ultima modifica: 2017-07-08T22:49:54+02:00da fraternidade
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