Giorno per giorno – 07 Luglio 2017

Carissimi,
“Mentre Gesù sedeva a mensa in casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e si misero a tavola con lui e con i discepoli. Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: Perché il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori? Gesù li udì e disse: Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati” (Mt 9, 10-12). Stasera, nella chiesetta dell’Aparecida, ci dicevamo che quasi tutti si nutre avversione, o comprensione, per qualche peccato più che per altri. E generalmente succede che, sui nostri, siamo disposti a chiudere più di un occhio, mentre su quelli degli altri tendiamo a spalancarli. Tuttavia, per quel che ci è dato vedere, difficilmente, qui da noi, ci si mostra sorpresi per la presenza di uno o l’altro alle nostre assemblee liturgiche. Ci sorprenderebbe anzi che qualcuno pretendesse impedirne la partecipazione. In questo senso, la pratica di Gesù sembra essere stata ben assimilata dalla gente più semplice, non sappiamo quanto intuitivamente o favorita invece da una pastorale alimentata davvero dal Vangelo. L’importante è che non ci sia chi finisca per sentirsi estraneo, o a disagio, alla tavola a cui Gesù ci ha invitati o si è invitato. Come succedeva allora a quel gruppo di farisei che se ne stavano fuori e questionavano l’atteggiamento troppo largheggiante nell’accoglienza ai peccatori, che metteva in crisi tutta una tradizione, oggi diremmo di perbenismo, che aveva comunque un suo fondamento nella parola di Dio. Del tipo: “Beato l’uomo che non cammina nel consiglio degli empi, né si ferma nella via dei peccatori, e non siede in compagnia degli stolti” (Sal 1,1). Parola che, però, come ci ricorda Gesù, non è mai univoca, ed è per questo che egli ce ne cita subito un’altra: “Andate e imparate che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrificio”. La pretesa di Gesù è che a forza di sedere con noi, e di alimentarci con la sua parola fatta carne, quando siamo ancora peccatori, finiremo per lasciarci affascinare dalla sua bellezza e per convertirci a Lui. Facendo così di noi non una chiesa di giusti, ma una chiesa di peccatori ogni volta perdonati.

Oggi facciamo memoria del patriarca Atenagora, profeta di ecumenismo.

Aristokles Pyrou (questo il suo nome all’anagrafe) nacque il 25 marzo 1886, a Tsaraplana (Grecia). Metropolita di Corfú e successivamente arcivescovo della comunità greco-ortodossa di New York, fu eletto nel 1949 patriarca ecumenico di Costantinopoli, diventando presto una figura di primo piano nello sviluppo della Chiesa ortodossa e del movimento ecumenico. Sognava una Chiesa evangelica, in cui le diverse confessioni potessero incontrarsi come Chiese sorelle, sulla base della comune fede apostolica, nella fedeltà alla tradizione dei Padri e all’ispirazione dello Spirito. Nella sua visione, il primato romano doveva essere una presidenza nell’amore, non sulla Chiesa, ma nel cuore della sua comunione e al suo servizio. Del cristianesimo sottolineò non l’aspetto normativo, ma l’ispirazione creatrice, la fraternità tra gli individui, il miracolo delle creature vive, l’umile illuminazione del quotidiano, attraverso la “presenza nell’assenza” dello Sconosciuto che divenne il nostro Amico segreto. Cercò anche di aprire il dialogo con l’Islam. Morì incompreso e isolato dagli ambienti moderati e fondamentalisti della sua stessa Chiesa, il 7 luglio del 1972. Aveva detto un giorno: “La Chiesa deve partorire uomini liberi, capaci d’inventare liberamente la loro vita alla luce dello Spirito Santo”.

I testi che la liturgia del giorno propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro di Genesi, cap.23, 1-4.19; 24,1-8.62-67; Salmo 106, 1-5; Vangelo di Matteo, cap.9, 9-13.

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli dell’Umma islamica, che professano l’unicità del Dio clemente e ricco in misericoridia.

Una buona notizia ci giunge da quel di Milano, città in cui risiede un buon numero di nostri amici e amiche: la nomina di don Mario Delpini a nuovo arcivescovo, centoquarantacinquesimo successore di sant’Ambrogio, che subentrerà ufficialmente al card. Angelo Scola, il prossimo 24 settembre. Di lui vogliamo ricordare una parola che sentiamo possa avere una sua risonanza anche qui da noi, in questi tempi bui che stiamo vivendo: “Invece che sbraitare contro il sistema e i suoi adoratori, invece che aizzare il risentimento e fantasticare di improbabili rivoluzioni, tenendo fisso lo sguardo su Gesù noi contempliamo il mistero dell’amore di Dio e la rivelazione della sua potenza che salva. Come salva il Signore? Come rende presente il Regno di Dio principio di vittoria sulle potenze del male? Portò i nostri peccati… Gesù non ha detto: ‘Basta!’, ha detto invece: ‘Eccomi!’. Ha consegnato se stesso per liberare noi, ha reso leggero il nostro peso: ‘Eccomi!’ E l’ha portato lui. Ha guarito la radice del male: ‘Eccomi, questo è il mio corpo dato per voi’ e si è lasciato inghiottire dal frutto più terribile del male, la morte e gli inferi. E attratti da questo mite, fragile, inerme, commovente ‘Eccomi!’ si sono lasciati convincere altri a percorrere la stessa strada, a praticare lo stesso stile. […] Incontrare il Signore che portò i nostri peccati, diventa vocazione alla sequela, alla vicinanza, alla condivisione. Non siamo gente arrabbiata che grida ‘Basta!’, ma gente umile, mite, generosa e intelligente che si alza in piedi, si fa avanti e fa fronte: Eccomi!”

E anche, per stasera, è tutto. Noi ci si congeda qui, offrendovi una breve citazione del Patriarca Atenagora, tratta dal libro di Olivier Clément “Dialoghi con Athenagoras”. Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Pasqua: È finito il tempo della schiavitù, dei fardelli accumulati sull’uomo per paura di un Dio nemico. Viene il tempo del Dio vivente e vivificante, che illumina la vita concreta, del Dio amico che ci adotta nel suo Figlio e che, nello Spirito, ci rende partecipi della sua ricchezza. È in questa prospettiva che il cristianesimo deve diventare una vera “scienza di vita”. Il cristianesimo è la religione della libertà. Se Cristo ha rifiutato di mutare le pietre in pane, se ha rifiutato di scendere dalla croce, fu per stabilire in modo definitivo la nostra libertà. La libertà è l’essenza del messaggio evangelico. La fede non soltanto ci libera dalla paura, dalla morte, dalle potenze e dai potenti del mondo, ma è l’atto supremo della libertà. Seguo Cristo perché lo amo. Niente mi obbliga, se non la testimonianza del suo amore. E l’amore non obbliga, l’amore libera. Ecco perché la vita della Chiesa dovrebbe basarsi interamente sull’amore e sulla libertà. La Chiesa non deve essere un’autorità che permette o che vieta, la Chiesa deve generare uomini liberi, capaci di realizzare liberamente la loro vita nella luce dello Spirito. E la libertà è necessaria dovunque. La presenza dei cristiani nel mondo – cittadini leali, ma pronti a testimoniare anche col sangue che lo stato non è Dio, e che il Dio vivente ha una relazione personale con ogni anima umana – questa presenza fonda e rinnova la genuina libertà dello Spirito. Nulla è prezioso per i cittadini quanto la libertà di pensiero e di espressione. Ma non la si può esercitare in modo legittimo se non rispettando quella degli altri, vale a dire tentando di liberarsi dai propri pregiudizi, dalle proprie passioni. Senza libertà, senza passare attraverso l’esperienza della libertà, non riusciremo a ricostruire niente. Nel pensiero dei Padri, la libertà e la responsabilità definiscono la persona umana. Il nostro contributo alla libertà non deve consistere in limitazioni esteriori, ma in una sostanza positiva. In questo caso si fa esperienza dell’amore vero. Tutto il resto verrà spazzato via dalla storia! (Oliver Clément, Dialoghi con Athenagoras)

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 07 Luglio 2017ultima modifica: 2017-07-07T22:48:24+02:00da fraternidade
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