Giorno per giorno – 06 Giugno 2017

Carissimi,
“I sommi sacerdoti, gli scribi e gli anziani mandarono a Gesù alcuni farisei ed erodiani per coglierlo in fallo nel discorso. E venuti, quelli gli dissero: “Maestro, sappiamo che sei veritiero e non ti curi di nessuno; infatti non guardi in faccia agli uomini, ma secondo verità insegni la via di Dio. È lecito o no dare il tributo a Cesare?” (Mc 12, 13-14). Farisei ed erodiani insieme per tendere trappole a Gesù! Sembrerebbe impossibile, ma, forse, ogni tempo conosce queste alleanze paradossali, dove certi settori religiosi (non erano tutti i farisei a perseguire Gesù), si alleano ai partiti cui si appoggia il potere oppressore della società e dello Stato. Gesù smaschera l’ipocrisia dei suoi “tentatori”, mostrando come i farisei contravvengano alla Legge, di cui si vogliono guardiani, per il fatto di non disdegnare di maneggiare il denaro con l’immagine del “divino” imperatore. Ma, in ballo, c’è più che il semplice uso del denaro, e, sotto l’immagine del tributo, c’è la relazione che si intrattiene con il potere di turno, di ossequio e sudditanza, in vista di un qualche tornaconto. Disposti, per questo, a eliminare il significato di Gesù (la dimensione filiale e fraterna, nel servizio reciproco e nel dono di sé, in vista della vita piena per tutti), quale principio veritativo (non solo in chiave religiosa) del convivere umano, proprio mentre gli si rende omaggio: “secondo la verità insegni la via di Dio”. Ciò che oggi interroga noi è che grado di libertà, di indipendenza, di resistenza, abbiamo noi in rapporto al potere che si configura come alternativo al progetto (insistiamo non di natura teocratica) di Dio. Del Dio, cioè del principio ultimo, che libera da ogni schiavitù (compresa quella religiosa), e che, resi adulti, ci incammina lungo la via della libertà, e libertà di amare. Con tutte le mediazioni storiche che si rendono necessarie. Il Brasile dei nostri giorni, quello del governo illegittimo e corrotto, che svende la sovranità del Paese e colpisce senza pietà, in nome del dio mercato, i ceti più deboli, ci interpella più che mai. Di fronte all’immagine desolante di Pastori che vanno per la maggiore e persino di qualche eminenza, che si alleano al partito degli erodiani, per far fuori Gesù.

Oggi il calendario ecumenico ci porta la memoria di Martin Buber, maestro e testimone di dialogo, di György Bulányi, fondadatore delle Comunità di base Bokor, e quella dei Martiri ebrei di Siviglia.

Martin Mordechai Buber nacque a Vienna, l’8 febbraio 1878, in una famiglia ebrea. Nella sua visione filosofica e religiosa è centrale la categoria del “dialogo”: con il mondo e con Dio. Questo segnó profondamente tutta la sua riflessione, il suo lavoro e la sua vita. Oltre alle sue opere più specificamente filosofiche, dobbiamo a lui l’organizzazione e la riformulazione degli insegnamenti dei grandi maestri del chassidismo, nonché di numerosi lavori di critica biblica. Nel 1938, fuggendo dalla dittatura e dalla persecuzione nazista, emigrò in Eretz Israel, dove, coerentemente, fece ogni sforzo per favorire il dialogo tra israeliani e palestinesi. Scrisse: “Uno può credere che Dio esiste e vivere alle sue spalle, ma colui che crede in Lui, vive dinanzi al suo volto”. E ancora: “Fede è provare fede nella pienezza della vita, nonostante il corso sperimentato del mondo”. Morì il 6 giugno 1965.

Prete scolopio (della congregazione dei “Chierici Regolari Poveri della Madre di Dio delle Scuole Pie”, fondata da S. Giuseppe Calasanzio), György Bulányi era nato a Budapest il 9 gennaio 1919. Alla fine della seconda guerra mondiale, il giovane prete prese a organizzare piccole comunità ecclesiali di base, che consentissero la sopravvivenza e la trasmissione dell’annuncio evangelico, nel clima di persecuzione o di intimidazione instaurato dal regime stalinista nei confronti delle attività religiose. Arrestato per questo, nel 1952, fu processato e condannato all’ergastolo per attività antistatali. Fu liberato nel 1960, ma non essendogli consentito di esercitare il suo ministero nella chiesa, si mise a lavorare come addetto ai trasporti. Nel frattempo curò la stesura dei sei volumi che raccolgono il suo pensiero teologico, dal titolo “Cercate il Regno di Dio!”, dove, analizzando le parole di Gesù nei Vangeli, concluse che Gesù voleva che la società umana – fondata sul dominio e la violenza – si trasformasse già qui, sulla terra, in un mondo basato sull’amore, seguendo gli ideali della nonviolenza, il servizio agli altri, la condivisione e il dono di sé. Ispirandosi al modello della comunità di Gesù, Bulányi operò per ridare vita e slancio alle comunità (più tardi conosciute come Bokor, il “Roveto”), dove la coscienza di ogni membro era rispettata dai suoi compagni, e dove tutti si sentivano impegnati ad approfondire la parola di Dio nelle Scritture e ad applicarla nella vita. Caratteristico di queste comunità fu anche la scelta dell’obiezione di coscienza al servizio militare, la denuncia dell’alleanza fra trono e altare, l’invito alla chiesa ad abbandonare ogni struttura di potere, per rivivere la dimensione originaria della comunità di fratelli. Molti giovani obiettori di coscienza furono, all’epoca, processati e condannati a lunghe pene detentive. Il regime esercitò pressioni sulla Chiesa perché adottasse misure punitive nei confronti di padre Bulányi. Il che, effettivamente, avvenne. Il cardinale László Lékai lo sospese a divinis, forte dei risultati di un processo intentato alle sue tesi dalla Congregazione per la dottrina della fede, non molto dissimile da quelli sperimentati in quegli anni dai teologi latinoamericani. Le misure canoniche furono ritirate soltanto nel 1997. Padre György Bulányi morì il 6 giugno 2010.

Il 6 giugno 1391, gli abitanti di Siviglia, in Spagna, circondarono il quartiere ebreo e lo incendiarono. Massacrarono circa cinquemila famiglie ebree, vendendo poi molte donne e bambini ai musulmani come schiavi. La maggior parte delle 23 sinagoghe di Siviglia furono distrutte o trasformate in chiese.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro di Tobia, cap.2, 9-14; Salmo 112; Vangelo di Marco, cap. 12, 13-17.

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali del Continente africano.

E, per stasera, è tutto. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura una pagina di Martin Buber, tratta dal suo “La passione credente dell’ebreo” (Morcelliana), che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
La conversione è un fatto umano, ma è anche una forza che com-prende il mondo. Quando Dio, come viene narrato, progettò la sua creazione e la incise su una pietra, come un architetto disegna per sé la pianta, vide che il mondo non avrebbe avuto alcuna stabilità. Allora creò la conversione: ora il mondo aveva stabilità, poiché ad esso, quando correva via da Dio, negli abissi della ipseità, si era dischiusa la salvezza, lo slancio all’indietro, concesso per grazia, da compiere nel proprio movimento. La conversione è la più grande forma del “principiare”. Quando Dio dice all’uomo: “Aprimi la porta appena quanto la punta di un ago, e io la aprirò tanto che vi potranno passare dei carri”, o quando Dio dice a Israele: “Convertitevi, e io vi riplasmerò in una nuova creazione”, si mostra a noi nella più grande chiarezza il senso del principiare umano. Nella conversione l’uomo si leva nuovamente come figlio di Dio. Poiché la conversione ha un significato così potente, si comprende la leggenda secondo la quale Adamo imparò la forza della conversione da Caino, si comprende quel detto che richiama un’espressione del Nuovo Testamento, ma che ne è del tutto indipendente: “Nel luogo in cui stanno coloro che si convertono, non possono stare i perfetti nella giustizia”. Vediamo nuovamente che nell’ebraismo non vi è alcuna etica speciale. Questo più elevato momento “etico” è accolto pienamente nella vita dialogica tra Dio e uomo. La converione non è ritorno a una condizione anteriore, “libera dal peccato”, ma svolta essenziale, l’essere-portato nella svolta essenziale sulla via di Dio. Questa, tuttavia, non significa qualcosa come una semplice via, che Dio comanda all’uomo, ma egli, Dio stesso, prende nella sua Shekinah, nella sua “inabitazione”, una via nella storia del mondo; egli intraprende il cammino, prende il destino del mondo su di sé. Chi si converte, si imbatte sulle tracce del cammino del Dio vivente. (Marin Buber, La passione credente dell’ebreo).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 06 Giugno 2017ultima modifica: 2017-06-06T22:59:39+02:00da fraternidade
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