Giorno per giorno – 21 Maggio 2017

Carissimi,
“Se mi amate, osserverete i miei comandamenti. Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perché egli dimora presso di voi e sarà in voi” (Gv 14, 15-17). Il vangelo di oggi già lasciava presentire l’imminenza dell’ascensione di Gesù, della sua dipartita, del suo “missione compiuta, ora tocca a voi”. Il tutto, accompagnato, però, dalla promessa del Consolatore, lo Spirito di verità, che, Lui, sì, resterà con noi per sempre, di generazione in generazione, fino alla fine dei tempi. La missione dello Spirito consiste, allora, nel venire presso i discepoli; “chiamato vicino” è infatti il significato della parola greca “paraclito”, tradotta nelle nostre Bibbie come “avvocato” o “consolatore”, colui che, “stando al nostro fianco”, viene a colmare la solitudine di chi, dopo l’allontanamento di Gesù, si sente “orfano” (v. 18) e non sa bene cosa fare, come rendere presente nella storia in cui vive, in situazioni totalmente inedite, l’insegnamento del Maestro che gli ha rapito il cuore, come declinare nelle nostre vite il comandamento dell’amore. È anche colui che ci ricorda che il nostro Dio è l’Abba di Gesù, il Padre universale, e ci insegna ad invocarlo e soprattutto a testimoniarlo, con gesti concreti di accoglienza, cura e liberazione dal male, anche nei confronti di chi ci hanno insegnato essere nostri nemici, come il diacono Filippo con i samaritani, nella prima lettura di oggi. Spiegando sempre a chi ce ne chieda conto, la ragione della speranza che è in noi, “con dolcezza, rispetto, e retta coscienza” (1Pt 3, 16). Che è proprio il contrario di ciò cui ci è dato spesso di assistere e, magari, anche di praticare.

I testi che la liturgia di questa 6ª Domenica di Pasqua propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Atti degli Apostoli, cap.8, 5-8. 14-17; Salmo 66; 1ª Lettera di Pietro, cap.3, 15-18; Vangelo di Giovanni, cap.14, 15-21.

La preghiera della Domenica è in comunione con tutte le comunità e chiese cristiane.

Oggi la comunità fa memoria di Christian de Chergé e gli altri Monaci trappisti, martiri a Tibhirine, in Algeria, e Irene McCormack e compagni, martiri in Perù.

Christian de Chergé era priore del Monastero trappista di Nostra Signora dell’Atlante, che sorge nei pressi di Tibhirine, in Algeria. Lui e i gli altri monaci furono sequestrati la notte tra il 27 e il 28 marzo 1996. Christian era nato il 18 gennaio 1937 a Colmar ed era monaco dal 1969. Gli altri erano: Luc Dochier, nato il 31 gennaio 1914 à Bourg-le-Péage, monaco dal 1941; Christophe Lebreton, nato l’11 ottobre 1950 a Blois, monaco dal 1974; Bruno Lemarchand, nato il 1º Marzo 1930 a Saint-Maixent, monaco dal 1981; Michel Fleury, nato il 21 maggio 1944 a Sainte-Anne, monaco dal 1981; Célestin Ringeard, nato il 27 luglio 1933 a Touvois, monaco dal 1983, Paul Favre-Miville, nato il 17 aprile 1939 a Vinzier, monaco dal 1984. Il loro sequestro fu rivendicato dal G.I.A (Gruppo Islamico Armato), con un comunicato che porta la data del 18 aprile. Con un un secondo comunicato del 23 maggio, il gruppo comunicava che i monaci erano stati decapitati il 21 maggio. Di loro, come atto di supremo sfregio, furono fatte ritrovare solo le teste. I funerali furono celebrati il 2 giugno e le teste dei monaci furono sepolte nel terreno del loro monastero due giorni dopo. Amici della popolazione islamica tra cui avevano scelto di vivere, presenza credente e orante in mezzo ad altri credenti e oranti, avevano voluto restare lì, per essere “oscuri testimoni di una speranza”, anche dopo essere stati ripetutamente avvisati che la loro permanenza era a rischio. Dovevano restare, perché “il monaco – come diceva Chesterton, citato da Christian – è come un albero, sta lì e purifica l’atmosfera”. Con altri amici musulmani, i monaci avevano creato il Ribat-es-Salam, il Vincolo-di-Pace, che si riuniva periodicamente per approfondire la conoscenza delle rispettive fedi: il primo passo in direzione – o già sua espressione – dell’amore. Profezia, forse, del nostro domani.

Irene McCormack era nata il 21 agosto 1938, a Kununoppin, nell’Australia occidentale, e aveva trascorso l’infanzia e l’adolescenza in una fattoria, studiando in un collegio di suore. Poi, nel 1957, aveva scelto di essere lei stessa religiosa tra le suore di san Giuseppe. Dopo molti anni di insegnamento in Australia, nel 1987 era stata mandata in Perù, in un piccolo villaggio sulle Ande, Huasahuasi. Non era uno scherzo vivere lì, in quegli anni, sotto la minaccia di un gruppo terrorista come Sendero Luminoso, che giudicava più pericolosi coloro che aiutavano i poveri di coloro che li opprimevano. E, coerentemente, li facevano fuori. Anche Irene avrebbe potuto scegliere di andarsene, ma preferì restare. La sera del 21 maggio 1991, giunse nel villaggio una banda di terroristi, secondo i testimoni, tutti giovanissimi ed evidentemente drogati. Presero la suora e quattro uomini, tre cattolici e un evangelico, e nella piazza centrale improvvisarono un processo farsa, accusandoli di essere al soldo degli yankee imperialisti e di gestire i fondi della Caritas, una forma di aiuto ai poveri che loro non tolleravano. I quattro furono condannati a morte come nemici del popolo. Gettati a terra, furono liquidati, uno dopo l’altro, con un colpo a bruciapelo sparato alla testa. Irene fu sepolta a Huasahuasi, secondo il suo espresso desiderio. Ogni mattina, al risveglio soleva dire questa preghiera: O Dio, mio Padre, tu mi ami e mi perdoni, così OGGI io accetto tutto come un dono e chiedo di trovare te, il Signore Donatore, nel dono. Scelgo di affrontare la vita senza paura e di vivere con cuore indiviso ogni momento presente. Possa il mio cuore cantare oggi un canto di ringraziamento riconoscente e di lode. Io sono un’opera d’arte di Dio. Sono preziosa al suo sguardo!”.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura un brano dell’omelia tenuta da Christian de Chergé, nella Pentecoste del 1986. Abbiamo mantenuto le lettere maiuscole, come risultano dalla stesura curata da lui. Non ci sentiamo di aggiungere nulla a quanto vi si dice. Tratto dal libro “L’autre que nous attendons. Homélies de Père Christian de Chergé (1970-1996)” (Les Cahiers de Tibhirine), è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
“L’INFERNO è adesso”, dice FADI, il ragazzino terrorizzato dalle bombe: “Abuna dice che l’inferno è là dove non c’è AMORE. Noi siamo all’inferno perché tutto brucia. E anche noi bruceremo!”. “NO, urla la sorellina, JOUMNA. Non è vero. IO AMO tutti quanti. Papà, Mamma e Abuna amano tutti. Tu vedi bene che qui non può essere l’inferno, perché amiamo tutti!”. E quando il villaggio è stato distrutto e i genitori sono morti, i due bambini si sono rifugiati in chiesa, dietro l’altare. E il ragazzino abbraccia la sorellina in lacrime: “Non aver paura, tu vedi bene che questo non può essere l’inferno, perché noi ci AMIAMO!”. I bambini di KFAR SAMA, asciugate tutte le lacrime, vinta ogni paura, sparita ogni tristezza pregavano tutti appoggiati al cuore di Dio. Allora FADI si rivolge al suo compagno di giochi musulmano da cui un giorno l’hanno voluto separare e che è stato ucciso: “Un giorno tu rivivrai per il tuo amore, amico mio, fratello mio, alla VITA che nessuna guerra potrà più ferire. Noi suoneremo ancora insieme il flauto… Suoneremo le melodie del cielo, e i nostri corpi non avranno più alcuna importanza, perché tu sei mio fratello e io sono il tuo, ALLORA L’AMORE RICREERÀ il mondo”. (Christian de Chergé, La Paix soit avec vous!, Homélie de Pentecôte 1986).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 21 Maggio 2017ultima modifica: 2017-05-21T22:36:52+02:00da fraternidade
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