Giorno per giorno – 16 Maggio 2017

Carissimi,
“Vi lascio la pace, vi dò la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. Non parlerò più a lungo con voi, perché viene il principe del mondo; egli non ha nessun potere su di me, ma bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre e faccio quello che il Padre mi ha comandato” (Gv 14, 27. 30-31). La pace, come la dà il mondo, inteso qui come il Sistema del dominio, la conosciamo bene: è il benessere e la tranquillità di pochi, costruita sullo sfruttamento e l’impoverimento dei più. È la menzogna dell’ “ordine e progresso” che campeggia nelle nostre bandiere. È in realtà, il disordine istituzionalizzato, o, in altre parole, l’ingiustizia assunta come misura, logica e fine delle relazioni umane. La pace di Gesù è il suo esatto contrario. È frutto del dono di sé, dell’accoglienza e della cura per l’altro, il cui motto può riassumersi nel “che tutti abbiano vita e vita in abbondanza”, che è ciò che il Padre comanda ed è anche l’unico modo con cui possiamo dimostrare di averlo davvero conosciuto e amato. Contro questo amore, nulla può il “principio” che regge il sistema. La croce avrà sempre l’ultima parola. Il condividerla, come espressione di un amore che non conosce limiti, farà di noi l’inespugnabile tempio del Signore.

Il calendario ci porta anche le memorie di Teodoro di Tabennesi, monaco, e di Teodosio delle Grotte di Kiev, fondatore della vita cenobitica in Russia.

Teodoro era nato verso il 314 da una ricca famiglia a Shne, in Egitto. Si racconta che, quattordicenne, tornando a casa da scuola, vedendo la famiglia riunita a banchettare, fu colpito da un pensiero improvviso: “Se ti perdi dietro a questi cibi e a questi vini, non conoscerai mai l’allegria vera della vita di Dio”. Il giovane si ritirò allora in un angolo tranquillo della casa, si prostrò a terra e, piangendo, disse: “Signor mio Gesù Cristo, tu sai che non desidero nulla, ma solo te e la tua grande misericordia che amo”. Il giorno seguente lasciò la sua casa e la sua città e si recò in monastero a Tabennesi, dove Pacomio (lo abbiamo ricordato ieri) aveva dato vita alla prima comunità monastica in terra d’Egitto. Pacomio fece di lui, ben presto, il suo discepolo prediletto, ma questo non gli evitò di dover combattere per molti anni la tentazione dell’orgoglio e del potere, che accompagnò da subito il suo radicalismo ascetico. Pacomio percepì la sua fragilità e non lo volle perciò a succedergli nell’ufficio di abate. Solo dopo la morte di quello, il monaco Orsiesi, che gli era subentrato, non riuscendo a mantenere l’unità nella comunità lacerata da antagonismi e divisioni, chiese a Teodoro di prendere il suo posto. Cosa che egli fece, mettendo a frutto la lezione dell’umiltà e della mitezza appresa dal suo maestro. Mantenne questo incarico dal 350 al 368, anno della sua morte. Teodoro è definito dalla liturgia “il santificato”, per mettere in rilievo le difficoltà incontrate e il lungo cammino che gli fu necessario per arrivare a vivere in conformità con l’Evangelo. Il che ci consola non poco.

Teodosio era nato nel 1029 in una famiglia benestante di Vasilev, nelle regione di Kiev, in una famiglia benestante. Ancor giovane, desideroso di abbracciare la vita religiosa, si era unito ad Antonio (cf il 23 luglio), un santo monaco che, sull’esempio degli antichi padri del deserto, era andato a vivere in una grotta sulle colline nei pressi della città di Kiev, ed era così divenuto uno dei suoi primi discepoli. Quando Antonio decise di stabilirsi in una grotta ancora più lontana, in completa solitudine, separato anche dai suoi discepoli, Teodosio trascorse alcuni anni sotto il governo spirituale del suo successore l’egumeno Barlaam. Nel 1062, tuttavia, egli stesso divenne egumeno della comunità monastica. Questa poi, con l’incremento del numero dei monaci, aveva visto aumentare anche donazioni, possedimenti e costruzioni. Per organizzare più adeguatamente la vita del monastero, Teodosio fece tradurre e adottò la regola di S. Teodosio Studita, che da allora reggerà tutta la vita cenobitica del monachesimo russo. Guidato per tutta la vita dai princípi di un ascetismo austero, e animato da uno spirito di semplicità e di amore per la povertà, il lavoro e la preghiera, Teodosio morì il 3 maggio 1074 (data del calendario giuliano, corrispondente al 16 maggio del nostro calendario). Fu canonizzato nel 1108.

I testi che la liturgia odierna odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Atti degli Apostoli, cap.14, 19-28; Salmo 145; Vangelo di Giovanni, cap.14, 27-31a.

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali del Continente africano.

Noi non si riesce a star dietro a tutti i compleanni di amici e amiche, ma oggi è in qualche modo speciale perché registriamo una sorta di en-plein, dato che compiono gli anni, chi più chi meno, cinque tra i nostri amici di qui e di lì, personaggi che più diversi tra loro non potrebbero proprio essere: Dorvando (un uomo di Dio come pochi), Laura, dona Antolinda, Roberto, Neto (il quale ultimo sta percorrendo i sentieri spesso senza ritorno della droga). Se li ricordiamo anche a voi, è per metterli tutti (senza per questo tralasciare gli altri) nella vostra preghiera augurale.

Per stasera è tutto. Noi ci si congeda qui e, prendendo spunto dalla memoria di Teodoro di Tabennesi, vi offriamo in lettura un brano della “Vita copta di Pacomio e Teodoro”, scritta da un anonimo monaco che ebbe la sorte di conoscere entrambi. È, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Un giorno, Pacomio, preso Teodoro in disparte, gli disse: “Se vedi qualcuno nella tua casa, negligente della sua salvezza, è cosa grave se non te ne occupi e trascuri di istruirlo perché guarisca e salvi la sua anima. Se però quello si irrita, lascialo in pace, in attesa che il Signore lo tocchi di compunzione. È come se qualcuno volesse togliere uma spina dal piede di un uomo: se si estrae ed esce il sangue, egli ne è sollevato; se invece non si riesce a toglierla, ma si conficca sempre di più, si applica al piede una medicina: così, con pazienza, la spina esce da sé e l’uomo guarisce. È lo stesso nel caso di um uomo in preda alla collera, se chi ne ha cura io contraddice; se questi invece è paziente, gli procurerà gran giovamento. Quando si tratta di una colpa grave, avvertimi: applicherò io stesso il rimedio che Dio mi ispirerà. Abbi cura dei malati più che di te stesso. Sii sempre temperante. Cammina con la tua croce, più che i fratelli, poiché hai l’incarico di superiore. Sii per loro motivo di edificazione e modello in tutto. Se però non sei in grado di regolare una questione e non sei capace di risolvere le sue difficoltà, esponila a me, perché insieme troviamo la soluzione giusta e la mettiamo in pratica”. (Vita copta di Pacomio e Teodoro).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 16 Maggio 2017ultima modifica: 2017-05-16T22:29:21+02:00da fraternidade
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