Giorno per giorno – 13 Maggio 2017

Carissimi,
“Le parole che io vi dico, non le dico da me; ma il Padre che è in me compie le sue opere. Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro, credetelo per le opere stesse. In verità, in verità vi dico: anche chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre” (Gv 14, 10-12). Stasera, ci dicevamo che, quella volta, Gesù l’aveva sparata volutamente un po’ grossa, forse, solo per incoraggiare i suoi, e perciò anche noi. Opere come le sue (e persino più grandi!) nessuno potrà mai compierle. Più grandi però di quello che, umanamente, arriveremmo a immaginarci, sí. E la storia dei santi (non solo di quelli canonizzati, ma anche di quelli che vivono, o sono vissuti, tra noi) sta lì a dimostrarcelo. Tutto nell’ordine dell’abnegazione, del servizio, della dedizione, che è la logica di Gesù, e perciò di Dio, e quindi dell’uomo (e della donna), quando si scopre a sua immagine. Noi dovremmo cominciare a ripensare le nostre ambizioni (oggetto del nostro ambire, del nostro girarci attorno, del farne il nostro chiodo fisso), a partire dall’esempio di Gesù. Non per essere i primi e i migliori (partiremmo già col piede sbagliato), ma per crescere nella gioia che immancabilmente riempie quanti si pongono alla sua sequela. Che è il cammino dell’intimità con il Padre e della fraternità universale.

Oggi il nostro calendario ci porta le memoria di Bede Griffiths, monaco-sannyasi, e di René Voillaume, piccolo fratello di Gesù.

Alan Richard Griffiths era nato, ultimo di tre figli, il 17 dicembre 1906 a Walton-on-Thames, in Inghilterra, da una famiglia un tempo benestante, ma ora impoverita. Giunta l’età degli studi, il giovane ottenne tuttavia una borsa di studio, che gli consentirà di studiare fino al conseguimento della laurea in giornalismo, a Oxford. Dopo la laurea, per circa un anno, il giovane Griffiths visse con due amici un’esperienza di vita semplice ed essenziale, a contatto con la natura, alimentata dalla lettura della Bibbia e di altri testi di letteratura cristiana. Dopo una visita all’abbazia benedettina di Prinknash, chiese di ricevere il battesimo – che gli fu somministrato la vigilia del Natale 1931 e, l’anno successivo entrò in monastero, assumendo il nome di Bede. Nel 1937 pronunciò i suoi voti perpetui e nel 1940 fu ordinato sacerdote. Per circa quindici anni se ne stette relativamente tranquillo, scandendo la sua vita, come vuole la Regola, tra preghiera, studio e lavoro. Nel 1955, la svolta, con la richiesta di trasferirsi in India, “alla scoperta dell’altra metà dell’anima”. Assieme a Benedict Alapott, un prete indiano nato in Europa, si stabilì per tre anni a Kengeri, nel Bangalore, poi nel 1958, raggiunse p. Francis Acharya, nel Kerala, collaborando alla fondazione dell’ Ashram Kurisumala, un monastero di rito siriaco, dove assunse il nome di Dhayananda (Beatitudine della preghiera). Nel 1968, infine, si trasferì, con altri due monaci indiani, Swami Amaldas e Swami Christodas, all’Ashram Saccidananda, a Shantivanam, nello stato del Tamilnadu, vicino a Tiruchirappalli. L’ashram, fondato nel 1950 da Jules Monchanin e Henry Le Saux, era stato il primo tentativo di fondare in India una comunità cristiana che seguisse i costumi di un ashram e s’adattasse, nel modo di vivere e di pensare, allo stile indù. Bede Griffiths, che adesso prese a chiamarsi Dayananda (Beatitudine della Compassione), si conformò in tutto al costume vedico, vestendo la veste arancione del sannyasi e vivendo in assoluta povertà, fino alla morte, che lo colse, uomo dal cuore universale, il 13 maggio 1993.

René Voillaume era nato a Versailles il 19 luglio 1905. Ordinato prete nel 1929, aveva proseguito gli studi all’Angelicum di Roma e si era poi specializzato in lingua araba e islamistica a Tunisi. L’8 settembre 1933, nella basilica parigina del Sacro Cuore a Montmartre, insieme a Guy Champenois, Marcel Boucher, Georges Gorrée e Marc Gerin, Voillaume dava inizio alla famiglia dei Piccoli fratelli di Gesù. Decisero di stabilirsi insieme a El-Abiodh, nell’Algeria del Sud, seguendo le impronte di Charles de Foucauld, l’eremita solitario che a lungo sognò, senza riuscirvi, di fondare una congregazione che avesse come ideale la vita nascosta di Gesù a Nazareth. Nel 1939, dall’incontro di Voillaume con Magdeleine Hutin, avvenuto l’anno prima, sarebbe nata la congegazione delle Piccole sorelle di Gesù. Altre famiglie sarebbero in seguito sorte, alimentate dall’intuizione spirituale di fratel Charles e dalla traduzione che Voillaume seppe farne nel cuore del nostro tempo. Quando, prima di morire Voillaume diede spazio ai ricordi autobiografici, volle sottolineare l’importanza che, nella sua vicenda spirituale, ebbero il Santissimo Sacramento e Nazareth. Quest’ultima letta nei suoi due significati di vita di silenzio, preghiera, lavoro e povertà, e quello di inserimento in un ambiente povero, in cui, fuori da ogni troppo facile retorica, si condivide la vita e il lavoro di tutti. Il 13 maggio 2003, alle soglie dei 98 anni padre Voillaume moriva a Aix-en-Provence, assistito dai rappresentanti delle varie famiglie spirituali nate dai suoi scritti e dalla sua vita.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Atti degli Apostoli, cap.13, 44-52; Salmo 98; Vangelo di Giovanni, cap.14, 7-14.

La preghiera del Sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

“Non potevo non venire qui per venerare la Vergine Madre e affidarLe i suoi figli e figlie. Sotto il suo manto non si perdono; dalle sue braccia verrà la speranza e la pace di cui hanno bisogno e che io supplico per tutti i miei fratelli nel Battesimo e in umanità, in particolare per i malati e i persone con disabilità, i detenuti e i disoccupati, i poveri e gli abbandonati. Carissimi fratelli, preghiamo Dio con la speranza che ci ascoltino gli uomini; e rivolgiamoci agli uomini con la certezza che ci soccorre Dio. Egli infatti ci ha creati come una speranza per gli altri, una speranza reale e realizzabile secondo lo stato di vita di ciascuno… Non vogliamo essere una speranza abortita! La vita può sopravvivere solo grazie alla generosità di un’altra vita. “Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12,24): lo ha detto e lo ha fatto il Signore, che sempre ci precede. Quando passiamo attraverso una croce, Egli vi è già passato prima. Così non saliamo alla croce per trovare Gesù; ma è stato Lui che si è umiliato ed è sceso fino alla croce per trovare noi e, in noi, vincere le tenebre del male e riportarci verso la Luce. Sotto la protezione di Maria, siamo nel mondo sentinelle del mattino che sanno contemplare il vero volto di Gesù Salvatore, quello che brilla a Pasqua, e riscoprire il volto giovane e bello della Chiesa, che risplende quando è missionaria, accogliente, libera, fedele, povera di mezzi e ricca di amore”. Sono le parole con cui papa Francesco ha chiuso la sua omelia di stamattina a Fatima. Parole, che vogliamo sentire rivolte anche a noi, come incentivo ad essere segno di speranza in questo momento così difficile che attraversa il nostro Paese.

È tutto, anche per stasera. Noi ci congediamo qui, con un testo di René Voillaume, tratto dal suo “Pregare per vivere” (Cittadella Editrice). Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Condividendo la vita dei lavoratori, noi dobbiamo condividere anche il loro modo di pregare. A forza di coraggio perseverante, con atti di fede e di amore semplici e nudi potremo metterci davanti a Dio e attenderlo aprendogli il fondo del nostro essere, così come è. Il risultato sarà spesso una preghiera dolorosa, pesante, in apparenza poco spirituale; ma attraverso questo sforzo di fede, nell’atteggiamento coraggioso del corpo, si tradurrà la sete e l’attesa di Dio che, nondimeno, è nell’intimo nostro. La volontà vuole pregare; essa desidera e chiede la preghiera. Certi giorni, avremo solo questa povera cosa da offrire al Signore, ed è a lui che competerà di farne una vera preghiera e un mezzo di unione con lui. Dovremo, senza dubbio, essere pazienti, costantemente pronti a una coraggiosa perseveranza, attraverso le oppressioni e gli abbrutimenti. Per alcuni, questa continua vigilanza nell’esercizio, già molto spoglio, delle virtù teologali, durerà forse tutta la vita. Dio, che ci guida, lo sa. Ma noi possiamo e dobbiamo domandare, umilmente e incessantemente, al Signore Gesù di compiere in noi questo dono, di venire lui stesso a pregare in noi, in modo inenarrabile, quella preghiera che lui solo può dire al Padre suo. E bisogna pur dire che un’autentica unione, nella dura vita fisica, come può essere la nostra, potrà rivestire delle forme così semplici, direi volentieri così banali, che non avremo sempre necessità di riconoscerla come tale. Non dobbiamo dunque. subire la nostra vita di fatica e di lavoro come una condizione inferiore e sfavorevole, ma abbracciarla risolutamente come un mezzo privilegiato di purificazione e per noi di introduzione, se Dio lo vuole, al dono gratuito dell’unione divina. Dobbiamo avere il desiderio di andare direttamente verso una preghiera dolorosa di fede. L’impossibilità a meditare, benché provenga da circostanze esteriori puramente materiali, potrà allora divenire, sotto l’azione divina, un vero passaggio all’orazione di fede. Il Signore non ci ha promesso altro. Per la povera gente, sono sicuro che il Signore deve accettare questo itinerario ridotto; ma credo che, per meritare questo gradimento, bisogna essere umili e veramente piccoli. (René Voillaume, Pregare per vivere).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 13 Maggio 2017ultima modifica: 2017-05-13T22:22:51+02:00da fraternidade
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