Giorno per giorno – 02 Aprile 2017

Carissimi,
“Era allora malato un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella. Maria era quella che aveva cosparso d’olio profumato il Signore e gli aveva asciugato i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. Le sorelle mandarono dunque a dirgli: Signore, ecco, il tuo amico è malato. Gesù voleva molto bene a Marta, a sua sorella e a Lazzaro” (Gv 11, 1-3. 5). Stamattina, la prima cosa che ci è venuta in mente, ascoltando questo vangelo, è stata che l’opzione dei poveri da parte di Gesù (e perciò della sua chiesa) ha la sua base qui. Betania, infatti, significa “casa dei poveri” e, lì, Gesù, qui è detto esplicitamente, aveva i suoi amici. Sì, è vero che, come qualcuno obietterà, lui ama tutti. Ma, questi, di più. Dunque, capita che i poveri si ammalino, ovviamente più spesso degli altri, e muoiano, qualche volta, prima del tempo. E si muore in molti modi, anche se si continua vivi. Si muore alla speranza, come alla fede e all’amore. Quando tutti i venti sembrano contrari e anche Dio sembra starsene lontano. Padre Paulo, nell’omelia, ha insistito sul fatto che il racconto, piú che narrarci una storia, ci dice dell’agire di Dio, impersonato qui da Gesù, e perció dell’agire che si aspetta da noi. Ora, lui può anche permettersi di tardare, ha le sue motivazioni segrete, a noi però chiede di farci presenti subito, appena si sappia della malattia e, Dio non voglia, della morte di qualcuno. Più ancora se sono tanti. Se Gesù, qui, tergiversa è perché emerga più chiaro il significato della sua opera, visto che non si tratta della guarigione da una semplice febbre come con la suocera di Pietro (che aveva pure il suo significato), o della cura di una cecità, sordità, paralisi, lebbra (ciascuna con le sue interpretazioni in ordine alla vita della comunità): qui il confronto è con il nemico ultimo, che tenta di sottrargli i suoi amici. Di essa, comunque, e ben piú a ragione che in ogni altro caso, egli dice “Questa malattia [mortale] non è per la morte, ma per la gloria di Dio, perché per essa il Figlio di Dio venga glorificato” (v.4). Qui, Dio si gioca la sua gloria. Di più, l’affida a noi. Saremo noi responsabili se il nome di Dio sarà santificato o bestemmiato. E lo sarà, se il lamento dei poveri diverrà o meno il nostro lamento, assieme al lamento di Dio, e se presteremo o no le nostre braccia, per rimuovere la pietra e poi sciogliere il morto (di ogni genere di morte che lo condanni all’insignificanza, all’inutilità, alla privazione di ogni diritto, relegandolo nei sepolcri del disamore, del disprezzo, dell’indifferenza) dalle fasce che lo tengono prigioniero. “Fasce” di ordine politico, economico, culturale, religioso, e quant’altro. Sarà questo nostro agire che farà (o no) di noi testimoni della verità dell’affermazione di Gesù: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno” (vv. 25-26). Saranno, i nostri, esperimenti e prove della risurrezione finale. Che sarà compito tutto e solo Suo.

I testi che la liturgia di questa 5ª Domenica di Quaresima propongono alla nostra riflessione sono tratti da:

Profezia di Ezechiele, cap.37, 12-14; Salmo 130; Lettera ai Romani, cap;.8, 8-11; Vangelo di Giovanni, cap.11, 1-45.

La preghiera della Domenica è in comunione con tutte le comunità e Chiese cristiane.

Oggi, il calendario ci porta la memoria di Francesco da Paola, monaco ed eremita.

Francesco era nato il 27 marzo 1416 a Paola (Cosenza) da Giacomo Martolilla e Vienna da Fuscaldo, una coppia già avanti negli anni. All’età di quindici anni venne mandato dai frati Conventuali di S. Marco Argentano, per passare con loro un anno di famulato, come scioglimento di un voto fatto dai genitori. Terminato questo periodo, il giovane si recò in pellegrinaggio ad Assisi, Montecassino, Roma, Loreto e altrove. La visita di Roma, con la visione del lusso della corte pontificia lo rattristò profondamente, tanto che non esitò a redarguire un cardinale, ricordandogli che Gesù non usava vivere tra tutto quello sfarzo. Tornato a casa, comunicò ai genitori il suo desiderio di vivere in solitudine e preghiera e fu ad abitare in un terreno fuori mano che la famiglia gli mise a disposizione. In breve furono molti coloro che attratti dalla fama della sua santità giunsero presso di lui per vivere la sua stessa vita. Per loro, che si chiameranno frati Minimi, il giovane asceta fondò numerosi eremi e scrisse una regola di vita molto austera. Quando, già anziano, ricevette dal papa l’ordine di recarsi alla corte di Luigi XI, re di Francia, che giaceva gravemente ammalato e sperava in un miracolo, Francesco obbedì. Accompagnò gli ultimi giorni del sovrano, riconciliandolo con Dio e disponendolo ad un buon trapasso. Nominato direttore spirituale di Carlo VIII, che salì al trono alla morte del padre, il frate trascorse i suoi ultimi anni alla corte francese, continuando tuttavia a vivere come sempre, in totale povertà e ascesi, denunciando le malversazioni dei potenti e difendendo i poveri e i perseguitati per la giustizia. Morì a Plessis-les-Tours, in un venerdì santo, il 2 aprile 1507, all’età di 91 anni.

Il 2 aprile è l’anniversario della nascita di fratel Carlo Carretto. Benché noi se ne faccia memoria nella data della morte, il 4 ottobre, scegliamo comunque di proporvi, anche oggi, nel congedarci, una citazione, tratta dal suo “Il deserto nella città” (LF Libreria della famiglia), che è, così il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Non siamo soli nel cammino della vita; questo dovrebbe essere il pensiero costante della mia fede. Possiamo contare su Dio e concretamente. È Lui che ci può aiutare. Se il bimbo nel seno della madre, preoccupato di uscire, contasse sulle sue forze e sulla sua abilità non uscirebbe mai alla luce. Ma c’è chi lo farà uscire. È la dinamica stessa della natura, è il mistero di chi l’ha preceduto, è la generazione stessa in cui è immerso che lo aiuterà ad uscire dalle acque. La nostra debolezza è che guardiamo a noi, sempre a noi, solo a noi. Non teniamo conto che la mamma è vicina e Dio è la mamma in cui viviamo e siamo. E che ci farà uscire alla luce. Il Regno dei cieli significa Dio con noi. I tempi messianici sono i tempi in cui è annunciata questa verità e resa possibile dal volere di Dio. È il sunto dei Vangeli, la buona novella ai poveri. E chi è il povero? Sono io il povero, bimbo di Dio nel seno della generazione oscura che grida il suo limite e la sua incapacità. Ora mi è annunciato e ne prendo coscienza. Ed è annunciato oggi. La realtà esisteva già, ma non conta la realtà se non ero maturo ad accoglierla. Non mi dice nulla Dio se io non scopro che Lui è vivo. Non serve che Lui venga a me e che io non lo veda. Il tempo messianico è legato a una maturità della fede. Infatti non è venuto subito il tempo messianico. Non è venuto all’inizio della storia di Adamo, non è venuto all’inizio della mia vita: è venuto quando l’uomo poteva capire, quando io potevo capire. Il tempo messianico è il tempo dell’amore, cioè il momento in cui avverto l’altro di Dio. I tempi precedenti hanno preparato la venuta, il tempo messianico è la venuta. È l’oggi dell’amore. È l’oggi della comunicazione. È la vita a due. È la storia sacra che comincia per me. La mia storia sacra comincia dal momento in cui nella fede ho fatto esperienza che non sono più solo, che ormai camminerò con Lui. E la paura è finita. (Carlo Carretto, Il deserto nella città).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 02 Aprile 2017ultima modifica: 2017-04-02T22:34:06+02:00da fraternidade
Reposta per primo quest’articolo