Giorno per giorno – 01 Aprile 2017

Carissimi,
“All’udire le parole di Gesù, alcuni fra la gente dicevano: Questi è davvero il profeta! Altri dicevano: Questi è il Cristo! Altri invece dicevano: Il Cristo viene forse dalla Galilea? Non dice forse la Scrittura che il Cristo verrà dalla stirpe di Davide e da Betlemme, il villaggio di Davide? E nacque dissenso tra la gente riguardo a lui” (Gv 7, 40-43). Che venisse dalla Galilea, o fosse, come volevano i meglio informati, oriundo della Giudea, in realtà importava poco. Come anche oggi. Ciascuno aveva la sua idea bell’e pronta su come doveva essere il messia, e perciò su chi si pretendesse tale, così come su Dio, sulle realtà ultime e penultime. In tal modo evitavano di lasciarsi sorprendere da annunci troppo esigenti, o sconvolgere da incontri non preventivati, o indurre a intraprendere avventure pericolose e destabilizzanti. Del tipo: lascia tutto e seguimi! Continuando, così a vivere, certo, meglio che si poteva, all’insegna di un più o meno santo egoismo, che permettesse di conquistare un giusto posto al sole e di garantirsi a buon mercato, per chi ci credeva, uno spazietto nell’eternità. Gesù aveva appena finito di gridare, era l’ultimo giorno della festa delle Capanne: “Chi ha sete venga a me e beva chi crede in me; come dice la Scrittura: fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno” (Gv 7, 37-38). Non devono essere stati molti coloro che gli hanno creduto. I più forse l’avranno preso per un esaltato se non per un pazzo. Ma, noi, oggi, concretamente, cosa pensiamo di Gesù? Abbiamo davvero trovato in lui chi disseta la nostra sete di vita? E cosa sgorga da noi? Gli rendiamo testimonianza o agiamo in modo da tenere lontani quanti potrebbero trovare in lui la ragione profonda della loro esistenza?

Il calendario ci porta oggi la memoria del frate domenicano Giuseppe Girotti, martire del totalitarismo nazista a Dachau.

Giuseppe Girotti era nato ad Alba (Cuneo) il 19 luglio 1905, da una famiglia umile e laboriosa. Giovanissimo, entrò nel seminario domenicano di Chieri (TO) e il 3 agosto 1930 fu ordinato sacerdote. Laureatosi in teologia, a Torino, l’anno successivo, si specializzò all’Ecole Biblique di Gerusalemme. Tornato in patria, insegnò Sacra Scrittura, dedicandosi nel contempo a pubblicare commenti esegetici. L’impegno culturale non gli impedì tuttavia di esercitare il ministero sacerdotale tra i poveri né ridusse il suo orizzonte al chiuso della sua stanzetta. Al contrario, la sua attenzione alla problematica sociale e il suo sguardo critico e severo sulla realtà politica di quegli anni, ne determinò la sospensione dall’insegnamento, il trasferimento e la sorveglianza da parte dell’apparato di sicurezza del regime fascista. Durante la Seconda Guerra Mondiale, egli si prodigò per nascondere e salvare la vita agli ebrei perseguitati. Per questa sua attuazione, il 29 agosto 1944 fu catturato e deportato in Germania nel campo di concentramento di Dachau. Sopportò con pazienza e mansuetudine gli stenti e le violenze che caratterizzavano la vita quotidiana nel campo, dedicando le sue forze residue a confortare gli altri deportati. Fino alla morte, avvenuta il 1º aprile 1945. Il 14 febbraio 1995 è stato riconosciuto “giusto tra le nazioni”, il riconoscimento dato a dallo Stato israeliano a quanti si sono adoperati durante l’Olocausto per la salvezza degli ebrei.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Geremia, cap.11, 18-20; Salmo 7; Vangelo di Giovanni, cap.7, 40-53.

La preghiera del Sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura una riflessione del teologo Carlo Molari, che ci sembra particolarmente appropriata per intendere il significato della testimonianza offerta, con la sua vita e la sua morte, da Giuseppe Girotto. Tratta dal suo libro “La vita del credente” (Edizioni Elle Di Ci), è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Nella sua esperienza e nel suo insegnamento Gesù è stato il segno concreto del valore della morte come criterio di vita. La “sua ora”, come, in Giovanni, Gesù chiama la sua morte, ha orientato tutti i suoi passi ed è diventata la ragione delle sue scelte. Per questo Gesù è stato l’espressione concreta delle esigenze della vita nella fedeltà alla morte. La croce, luogo della sua fedeltà, è diventata il simbolo di chi vive fino alla pienezza. Nella morte egli ha raggiunto la sua identità di Figlio ed è stato costituito Messia e Signore per noi. Sulla croce Egli “è stato esaltato e gli è stato dato il Nome che è al di sopra di ogni altro nome” (Fil 2, 9). Nella croce egli ha mostrato la forza dell’insegnamento che egli aveva dato sulla povertà. Egli chiedeva di distaccarsi completamente dalle cose: “Chi non rinunzia ai suoi beni non può essere mio discepolo” (Lc 14, 33). Egli infatti sapeva che: “Non si può servire due padroni” (Mt 5, 34; 19, 21.26); perché “dove è il … tesoro, là sarà anche il … cuore” (Lc 12, 34); o si è servi di Dioe si diventa vivi o si è schiavi delle cose e si perde la vita. Quando ci è chiesta la vita, non possiamo offrire le cose. La vita può essere offerta solo da coloro che non l’hanno affidata agli idoli. Nella croce Gesù ha mostrato la forza dell’amore di Dio che diventa offerta ai fratelli. Gesù nel suo insegnamento ha unito il comandamento dell’amore di Dio, che è accogliere la sua azione, al comandamento dell’amore per gli altri, che è donare la sua azione. Non sono due comandamenti diversi, ma due momenti dello stesso processo vitale. In questo senso il riferimento a Gesù è per noi straordinariamente efficace, perché attraverso Gesù abbiamo scoperto a che cosa conduce la fedeltà al progetto di Dio. Gesù è stato costituito Messia e Signore, per la fedeltà con cui ha amato anche quando intorno l’odio e la violenza lo uccidevano. Egli ci ha rivelato la legge fondamentale dell’amore che salva: per rendersi salvatore Dio deve farsi carne. Il dono di Dio, infatti, non può emergere nella storia se non attarverso l’azione amorosa degli uomini. Dio non può operare salvezza che attraverso gesti storici di uomini amanti. L’uomo infatti non è in grado di accogliere l’azione salvifica di Dio se non gli perviene attraverso strumenti umani. Dio perciò non ha la possibilità di mostrare il suo amore agli uomini se non esistono persone che lo rendano visibile. Per questo la rivelazione di Dio non è manifestazione di idee, ma serie di eventi che interpellano l’uomo e lo sollecitano a decisioni di vita. (Carlo Molari, La vita del credente).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 01 Aprile 2017ultima modifica: 2017-04-01T22:48:30+02:00da fraternidade
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