Giorno per giorno – 29 Marzo 2017

Carissimi,
“In verità, in verità vi dico, il Figlio da sé non può fare nulla se non ciò che vede fare dal Padre; quello che egli fa, anche il Figlio lo fa. Il Padre infatti ama il Figlio, gli manifesta tutto quello che fa e gli manifesterà opere ancora più grandi di queste, e voi ne resterete meravigliati” (Gv 5, 19-20). Quel gruppetto di farisei, da sempre malevoli nei suoi confronti, aveva appena finito di contestare a Gesù l’accusa di profanare il sabato. E lui li aveva esasperati anche di più dicendo che aveva imparato da suo Padre a lavorare anche di sabato. Dato che dopo quel primo sabato, Dio non ha mai smesso di operare. Era, insomma, una sorta di duplice bestemmia, la sua, per cui da buoni e coerenti religiosi decisero che era bene eliminarlo, sostituendosi a Dio, che sembra arrivare a colpire così spesso in ritardo. Sono due immagini di Dio, presenti da sempre, ora congiuntamente ora alternativamente nella coscienza religiosa e nella pratica che ne deriva: il Dio che cura, libera, salva e dà la vita, e il Dio che giudica, condanna, castiga e dà la morte. Gesù, dal canto suo, proclama solennemente – “In verità, in verità vi dico” – il dogma del Padre che dà sempre e solo la vita. E chi crede in Lui non può che uniformarsi. Anche noi, perciò, se siamo davvero figli nel Figlio.

Oggi il nostro calendario ecumenico ci porta le memorie di Hans Nielsen Hauge, predicatore laico e riformatore sociale, e di padre Lev Gillet, pellegrino senza frontiere.

Hans Nielsen Hauge era nato, quartogenito in una famiglia di dieci figli, il 3 aprile 1771, nella fattoria della sua famiglia a Tune, nei pressi di Sarpsborg, nella contea di Østfold (Norvegia). Al pari di molti suoi coetanei, visse una giovinezza povera e comune, fino al 5 aprile 1796, quando ricevette il suo “battesimo nello spirito”, mentre lavorava nel campo paterno. Come in un lampo ebbe la chiara visione della sua salvezza e della chiamata ad annunciare questa sicurezza ad altri. Cominciò così a viaggiare attraverso la Norvegia e la Danimarca, predicando ovunque la “fede viva” e l’impegno personale nei confronti del Signore, capace di trasformare la vita del credente. Per sua sfortuna, la legge norvegese proibiva all’epoca raduni religiosi che non avvenissero sotto la supervisione di pastori ordinati. Molte autorità, sia ecclesiastiche che statali, per paura degli esiti imprevedibili di un movimento guidato da un contadino ignorante, decisero di fermarlo prima che potesse far danni. Dopo essere stato arrestato e rilasciato più volte, Hauge venne incarcerato nel 1804 e venne rimesso in libertà solo nel 1809, quando fu inviato a lavorare in un progetto di estrazione di sale dall’oceano, ma poi fu nuovamente imprigionato. Nel 1811 gli fu permesso di tornare alla sua fattoria, ma, dato che “il lupo (si fa per dire!) perde il pelo ma non il vizio”, nel 1813 fu incarcerato ancora una volta per lo stesso reato: predicare la parola di Dio. Rimesso in libertà, nel 1815 sposò Andrea Andersdatter, che morì in occasione del primo parto. Sposatosi nuovamente, nel 1817, con Ingeborg Marie Olsdatter, ebbe da lei quattro figli, di cui tre morirono ancora bambini. In questo perido si guadagnò la stima, l’amicizia e il sostegno di numerosi vescovi. Ma un po’ tardi per lui. Indebolito nella salute e nello spirito, si ammalò e morì il 29 marzo 1824. Per sorprendente che possa sembrare, il movimento avviato da Hauge contribuì fortemente alla formazione del sindacalismo in Norvegia. Il fatto, poi, che la sua predicazione sia avvenuta durante gli anni in cui molti norvegesi emigravano per gli Stati Uniti, spiega la notevole influenza che il movimento di Hauge esercitò sul luteranesimo in America.

Louis Gillet era nato il 6 agosto 1893 a Saint-Marcellin, nel dipartimento di Isère (Francia), in una famiglia di cattolici praticanti. Al termine degli studi, allo scoppio della Prima Guerra mondiale, lo troviamo al fronte, da dove, nel settembre 1914, ferito e fatto prigioniero, fu inviato in un campo di concentramento in Germania, in cui rimase alcuni anni. Al termine della guerra, si recò a Ginevra, in Svizzera, dove intraprese studi di psicologia sperimentale e di psicoanalisi freudiana. Attratto dalla vita monastica, entrò, nel 1920, nel noviziato dell’abbazia benedettina di Clervaux in Lussemburgo e in seguito nell’abbazia di Farnborough, in Inghilterra, dove nel 1921 incontrò il metropolita Andréas Szeptykiy, capo spirituale della Chiesa uniate della Galizia orientale (allora in Polonia, oggi in Ucraina), che decise di raggiungere tre anni più tardi a Lvov, ottenendo di poter entrare nel monastero Ouniov, sotto la sua giurisdizione. Lì assunse il nome di Lev (forma slava di Leone). Lavorò per un certo tempo a stretto contatto con il metropolita, soprattutto in vista di una futura evangelizzazione della Russia. Poi, percependo i limiti dell’azione delle Chiese uniate, accettò, alla fine del 1926, un servizio temporaneo, a Nizza, in un’opera di assistenza agli emigrati russi. La publicazione, nel gennaio 1928, dell’enciclica Mortalium Animos, con la condanna del nascente movimento ecumenico, lo deluse profondamente e lo portò a lasciare l’opera di Nizza e il monastero cistercense presso cui doveva risiedere, per rivolgersi alla chiesa ortodossa, prima a Nizza, poi a Parigi, venendo accolto in essa da Mons. Euloge, responsabile della Chiesa russa in Europa Occidentale. Nominato, nel novembre 1928, rettore della parrocchia di Santa Genoveffa di parigi, la prima parrocchia ortodossa francofona, per dieci anni prestò il suo servizio pastorale in diversi ambiti; fu, tra l’altro, cappellano nel focolare fondato da madre Marie Skobtsova, la santa ortodossa, morta martire nel campo di concentramento di Ravensbruck. Nel 1938, padre Gillet lasciò Parigi alla volta di Londra, per occuparsi dell’assistenza a giovani rifugiati ebrei ed ebreo-cristiani dell’Europa centrale. Dopo la guerra, fu attivo soprattutto in seno alla Compagnia di Sant’Albano e San Sergio, organismo ecumenico, consacrato al riavvicinamento tra Chiesa anglicana e Chiesa ortodossa. In Inghilterra restò fino alla morte, votandosi ad un ecumenismo attivo che, oltre alle grandi chiese tradizionali comprendeva quaccheri, pentecostali, ebrei, e credenti di altre religioni, come musulmani e buddhisti, ma anche agnostici e atei. Arrivando a confessare: “In tutti io vedo il Logos… è il Cristo – oso dirlo – che fa l’unità della mia vita e delle sue molteplici vie”. Compì, a tal fine, numerosi viaggi, soprattutto in Francia, in Svizzera e in Libano, dove partecipò al rinnovamento spirituale dell’ortodossia antiochena. Si è spento a Londra il 29 marzo 1980.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Isaia, cap.49,8-15; Salmo 145; Vangelo di Giovanni, cap. 5,17-30.

La preghiera del mercoledì è in comunione con tutti gli operatori di pace, quale ne sia la religione, la cultura o la filosofia di vita.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura un brano di padre Lev Gillet, tratto dal suo libro, pubblicato col titolo “Le visage de Lumière: Reflets d’Évangile” (Éditions de Chevetogne), che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Signore, tu hai detto: Io sono la luce del mondo (Gv 8, 12), ed ecco che vieni a noi, nel bel mezzo della nostra notte, nelle tenebre che incombono su uomini e cose. La luce brilla nelle tenebre (Gv 1, 5). Tu vieni a noi come in una notte d’inverno. Vieni verso le anime quando è buio. La tua luce è percepita solo da pochi. Ma questi sanno che la luce, per quanto limitato sia ora l’irraggiamento, non sarà mai soffocata e finirà per dissipare le spesse tenebre. Tu avanzi nell’oscurità. Sei l’unica lampada ardente nella notte. Illumini lo stretto cerchio di spazio che ti circonda. Questa luce permette di discernere, anche se vagamente, il tuo volto. Essa illumina anche la strada e guida chi vuole seguire i tuoi passi. E un riflesso della luce del tuo volto cade anche sui tuoi compagni. Avanzi nella notte profonda, in una natura invernale desolata. Gli alberi hanno perso le loro foglie. Si ergono, secchi e neri. Ma ecco che quando sfiori i loro rami, delle foglie sembrao spuntare improvvisamente ed aprirsi. Hanno stranamente la forma del piccolo fogliame degli ulivi nel giardino del frantoio e della tua agonia. Sotto i piedi, tra l’erba rada e il muschio riseccato, bacche rosse appaiono di nuovo. Il tuo approssimarti restituisce freschezza e vita a ciò che si credeva morto. Chi dunque pensa a te nel bel mezzo della notte? Poche anime privilegiate, certo. Sono nel recinto del Pastore e sanno di poter riposare in pace custodite da te. Ma tu non pensi solo a loro. Pensi a tutte le anime che in questo momento sembrano essere senza di te o contro di te. Pensi anche alla mia povera anima, e già prepari per essa ciò che vuoi che il domani le porti. (Père Lev Gillet, Le visage de Lumière : Reflets d’Évangile)

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 29 Marzo 2017ultima modifica: 2017-03-29T22:02:39+02:00da fraternidade
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