Giorno per giorno – 28 Marzo 2017

Carissimi,
“Vi è a Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, una piscina, chiamata in ebraico Betzata, con cinque portici, sotto i quali giaceva un gran numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici. Si trovava là un uomo che da trentotto anni era malato. Gesù, vedendolo disteso e sapendo che da molto tempo stava così, gli disse: Vuoi guarire?” (Gv 5, 2-3. 5-6). Stasera ci dicevamo che quel paralitico era una sorta di portavoce di tutta quella categoria di esclusi che giaceva alle porte del tempio, tra la rassegnazione fatalista loro, in attesa, se va bene, di un qualche intervento a vario titolo miracoloso, e l’indifferenza delle anime belle che invece potevano permettersi di accedere al tempio. Gesù si porta nella sezione degli esclusi, come da sempre predilige fare Dio, lasciando il tempio, vuoto di lui, agli altri. E se si fa presente, è per mutare la situazione, con un intervento esemplificato nella cura del paralitico. Il “vuoi guarire?” detto a lui è in realtà rivolto a tutti e alla società nel suo complesso. Compresi, e forse di più, i frequentatori del tempio (di ogni tipo di tempio), che neppure si accorgono della situazione di esclusione cui “sono condannati” gli altri. O a cui “hanno condannato” gli altri. Espressione, questi e quelli, di una società malata. Una società a qualunque titolo escludente è, infatti, una società che si esclude dal progetto di Dio. A essa bisogna perciò chiedere se vuole davvero essere curata. Compresa la nostra, oggi. E, immaginiamo, anche la vostra. Vogliamo una società – e tanto per cominciare, dato che ci riguarda direttamente, una chiesa – senza esclusi? Se non ci siamo ancora posti o sentiti porre la domanda, significa che non abbiamo ancora incrociato il Salvatore. Se, invece, sì, siamo sulla buona strada. Perché dalla consapevolezza del nostro peccato – la nostra situazione di esclusi o escludenti, può nascere il desiderio di venirne fuori. Ed è allora che possiamo udire da Lui (o anche, se siamo la sua chiesa, pronunciare con Lui) la parola: Alzati, mettiti in piedi, risorgi, prendi ciò che prima ti imprigionava, il tuo lettuccio di contenzione, ciò che ti impediva di essere libero, il peccato (che, paradossalmente, a volte, si traveste del suo contrario), e cammina. E non è un caso che Gesù scelga di operare contravvennendo una norma religiosa, forse la più importante, per affermare la priorità della salute, della vita, della libertà e, perciò, della felicità dell’uomo. E per restare a noi, quali sono per noi le nostre priorità?

I nostri fratelli ebrei ricordano la morte di Miriam, la profetessa il 10 di Nissan. Se il calendario gregoriano fosse già esistito allora, il 10 Nissan del 2487 (dalla creazione del mondo, secondo la cronologia ebraica), sarebbe coinciso con il 28 marzo del 1274 a.C. Noi, perciò, scegliamo di celebrarla oggi.

Sorella di Mosè e di Aronne, Miriam (o Maria) era figlia di Amram e di Jochebed. Informazioni a suo riguardo si hanno nella Torah scritta e in quella orale. Il nome Miriam ha due significati che richiamano entrambi il suo carattere: il primo, dalla radice ebraica mar, è “amarezza”, Miriam, infatti era amareggiata per la situazione di oppressione in cui versava il suo popolo; l’altro, dalla radice meri, è “ribellione”, ed essa seppe da subito combattere contro gli atteggiamenti di soggezione che alienavano la sua gente. Rashi identifica Jochebed e Miriam nelle due levatrici, che (con il nome professionale di Sifra e Pua) rifiutarono di obbedire all’ordine del Faraone di uccidere tutti i maschi che nascessero dalle donne ebree (Es 1, 15-17). Fu Miriam che convinse il padre a recedere dalla decisione di non procreare più, in seguito a quell’ordine del Faraone. Essa infatti gli profetizzò la nascita di un figlio che sarebbe stato il salvatore del suo popolo (Megillah 14 a). Fu dunque, in tal modo, responsabile della nascita di Mosè. Fu sempre lei che si prese cura del bimbo, quando, appena nato fu collocato in una cesta, affidata alla corrente del Nilo. E lei che propose alla figlia del Faraone di darlo a balia a sua madre (Es 2). Dopo il passaggio del Mar Rosso, guidò le donne di Israele nei canti e nelle danze che festeggiarono l’evento (Es 15, 19-21). Successivamente, coinvolta con Aronne in una disputa con Mosè, fu colpita dalla lebbra (Nm 12, 1-15), da cui guarì per intercessione dello stesso Mosè. Grazie ai suoi meriti, una fonte miracolosa accompagnò gli ebrei nel deserto (Ta’anit 9a). Alla morte di Miriam, il 10 Nissan (Megillat Ta’anit), la leggenda vuole che la fonte fosse trasferita nei pressi del Mar di Galilea, dove ancora si trova la sua acqua curativa. Nel grande banchetto dei tempi messianici, Miriam danzerà per i giusti.

Oggi, facciamo memoria anche di Giuseppe Barbaglio, teologo e biblista, e del nostro Pedro Recroix (Pedrão), monaco appassionato di Gesù.

Giuseppe Barbaglio, nato a Crema nel 1934, è stato un cristiano di quelli che “cercano e ascoltano la Parola di Dio sopra ogni cosa; e la leggono nella Chiesa e per la Chiesa; che servono i fratelli con lo studio, la sapienza e l’amicizia; che vivono il primato dell’amore sempre, con serenità anche nelle prove difficili”, usando le parole di Angelo Bertani (Jesus n.5 maggio 2007). Dopo la laurea in teologia alla Pontificia Università Gregoriana, Barbaglio aveva conseguito la licentia docendi in Scienze Bibliche al Pontificio Istituto Biblico di Roma. Laureato in filosofia all’Università di Urbino, fu professore di Sacra Scrittura al Seminario di Lodi e alla Facoltà Teologica dell’Italia settentrionale, dedicandosi poi soprattutto alla ricerca biblica sull’ambiente del Nuovo Testamento, sulle origini della Chiesa e sul tema del “Gesù storico”. Conferenziere assai ricercato, alieno da ogni cedimento verso autoritarismo e superficialità, diede anche un contributo importante alla riflessione delle realtà ecclesiali di base. Seppe ascoltare e parlare con profonda empatia a persone di diversa estrazione culturale, fede religiosa, visione ideale, rivelandosi “uomo di amore e di libertà”, come lo definì la moglie Carla, presenza importante, assieme ai due figli, nella sua vita di uomo e di studioso. È morto il 28 marzo 2007.

Pierre Recroix era nato in Francia, il 14 novembre 1922, da Xavier e Irene Jackiot, da tempo residenti in Algeria, allora colonia francese. In Algeria, la famiglia visse fino al 1930, quando fece definitivamente ritorno in Francia. Nel giugno del 1944, Pierre entrò come postulante nel monastero benedettino di Madiran, dove fece la sua prima professione monastica il 3 ottobre 1945, e il 18 giugno 1950 fu ordinato sacerdote. Nelle comunità in cui passò, quella di Madiran, che si trasferì nel 1952 a Tournay, e successivamente, in Brasile, a Curitiba (dal 1960) e Goiás (dal 1977, in diaspora, e dal 1983, nel nuovo monastero dell’Annunciazione), Pedro seppe testimoniare la passione e la rigorosa disciplina del lavoro, prima nell’agricoltura e nell’allevamento, poi nell’atelier di scultura, la vita di preghiera, intensa e profonda, la prossimità e la dedizione alla gente. È mancato improvvisamente il 28 marzo 2009.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Ezechiele, cap. 47, 1-9. 12; Salmo 46; Vangelo di Giovanni, cap. 5, 1-16.

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali del Contintente africano.

È tutto, per stasera e noi ci si congeda qui, offrendovi un brano di Giuseppe Barbaglio, tratto dal suo libro “Dio violento? Lettura delle Scritture ebraiche e cristiane” (Cittadella Editrice). Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
L’impotenza di Dio nei confronti della crocifissione del figlio, come anche di tutti i crocifissi della storia e soprattutto della tragedia dei campi nazisti di sterminio, si spiega per l’assenza in lui di ogni violenza. Solo una potenza divina violenta, capace di abbattere gli oppressori e di annientare i violenti, è in grado di contrastare con efficacia i crocifissori di sempre. Ma il Padre celeste, disvelato da Gesù, che fa sorgere il suo sole su buoni e su cattivi e fa piovere su giusti e ingiusti, non reagisce simmetricamente alla violenza con la violenza. In breve, Dio non è onnipotente nella storia perché non-violento, disarmato, asimmetrico e antimimetico. In riferimento alla vienda di Gesù di Nazaret poi la bibbia cristiana ci dice che questo Dio non-violento e perciò debole nella storia, non vi sfugge affatto; al contrario si prende cura dell’umanità e di questo mondo, incarnando nella solidarietà radicale di Cristo, spinta sino alla morte di croce, il suo amore per gli uomini. In altre parole, sarebbe errato scambiare la debolezza e impotenza divina dimostrata sul Golgota e ad Auschwitz per assenza o indifferenza. Il Dio di Gesù appare profondamente incarnato nella vicenda umana subendo i contraccolpi del gioco delle libertà dei soggetti storici, capaci di ostacolare e contrastare la sua azione. Tutto questo, già abbondantemente testimoniato nella bibbia ebraica, è espresso con forza nei moltissimi passi della bibbia cristiana, che sottolineano come Gesù e il suo Dio, camminando sulla strada dell’incarnazione, siano giunti al Golgota per essersi presi cura amorevolmente degli uomini. La dedizione amorosa del crocifisso, espressa dal ripetuto motivo: “ha dato se stesso per noi”, ha costituito il segno storico e visibile della dedizione oblativa di Dio che “ha tanto amato il mondo da dare il figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada in rovina ma abbia la vita del nuovo mondo” (Gv 3, 16). Per donare la vita agli altri non hanno esitato di fronte all’espulsione violenta decretata loro dai violenti. Se l’immagine di un Dio espulsivo ricorre nell’antico racconto dell’Eden a castigo dell’uomo ribelle e peccatore (cf Gen 3, 23-24), ora abbiamo un capovolgimento totale dei ruoli: Dio stesso in Gesù di Nazaret appare come colui che non espelle l’uomo, bensì per amore si fa espellere. E il crocifisso per dare la vita è pronto a subire la morte più ingiusta e violenta. (Giuseppe Barbaglio, Dio violento? Lettura delle Scritture ebraiche e cristiane).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 28 Marzo 2017ultima modifica: 2017-03-28T22:01:27+02:00da fraternidade
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