Giorno per giorno – 26 Marzo 2017

Carissimi,
“Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: Tu, credi nel Figlio dell’uomo? Egli rispose: E chi è, Signore, perché io creda in lui? Gli disse Gesù: Lo hai visto: è colui che parla con te. Ed egli disse: Credo, Signore! E si prostrò dinanzi a lui” (Gv 9, 35-38). Per una volta, o forse lo fa sempre, Gesù aveva preso l’iniziativa, e senza chiedere niente al diretto interessato – un uomo cieco dalla nascita – l’aveva guarito. Di sabato, per giunta, contravvenendo la Legge. Ed è bene che lui prenda l’iniziativa, perché noi, a volte, soprattutto se siamo gente di chiesa, cultori di ogni possibile ortodossia, occhiuti giudici della morale [altrui], siamo convinti di vederci benissimo. E, invece, appunto, siamo ciechi. Credendo di vederci. Per questo Gesù, forse un po’ seccato con quel gruppetto di religiosi, preoccupati più dell’osservanza della Legge (quand’anche di Dio) che della vita, della salute, della felicità di un uomo, dice loro: “È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi” (v.39). E subito dopo, dato che quelli gli ribattono: stai parlando di noi?, aggiunge un po’ amaro: “Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: Noi vediamo, il vostro peccato rimane” (v. 41). Ma è, comunque, una buona notizia anche per loro, perché un giorno o l’altro, Gesù prenderà di nuovo l’iniziativa e guarirà pure la loro, di cecità, e il loro peccato. Ed essi potranno solo dirsi, un po’ rossi di vergogna: che stupidi eravamo! Ma, com’è che anche noi sapremo se siamo stati davvero guariti o se è invece tutta un’illusione? La risposta ci è data dal dialogo tra Gesù e l’ex-cieco. “Credi nel figlio dell’uomo?”, gli chiede Gesù. Ora, l’espressione, come abbiamo già visto altrove, allude, sì, anche ad una figura dell’apocalittica giudaica, ma nel linguaggio comune significava semplicemente “uomo”. Ed era il titolo che Gesù preferiva per sé. “Chi è quest’uomo in cui devo credere, Signore?”, dice l’ex-cieco. “Ce l’hai davanti”, risponde Gesù. “Credo, Signore”. E l’evangelista chiude dicendo: si prostrò ad adorarlo. Ora, quest’uomo a cui Gesù ci chiede di credere non è semplicemente lui, ma è, da allora, ogni essere umano, in cui Dio, attraverso lui, ha preso carne. Noi non siamo più ciechi, se e quando riconosciamo e adoriamo in ogni persona la presenza viva di Dio. A partire dagli ultimi. Sfidando le scomuniche e le messe al bando dei poteri del mondo (ed è normale!) e qualche volta delle chiese (e dovrebbe essere un po’ meno normale). Come anche l’ex-cieco, significativamente, venne scomunicato. Noi, allora, possiamo dirci già guariti?

I testi che la liturgia di questa 4ª Domenica di Quaresima propone alla nostra riflessione sono tratti da:
1º Libro di Samuele, cap. 16, 1. 6-7. 10-13; Salmo 23; Lettera agli Efesini, cap.5, 8-14; Vangelo di Giovanni, cap. 9, 1-41.

La preghiera della domenica è in comunione con tutte le comunità e chiese cristiane.

Oggi il nostro calendario ecumenico ci porta le memorie di Al Husayn Ibn Mansur al-Hallaj, mistico e martire dell’Islam, e di Richard Allen, primo vescovo nero negli Usa, leader della lotta abolizionista .

Al-Hallaj era nato a el Baidá, in Persia, nel 858 (309 dall’egira). Affascinato dalla vita ascetica, sedicenne aveva lasciato la famiglia, per mettersi al seguito dei grandi mistici dell’epoca, Sahl al-Tustari di Basra, Amr al-Makki e, per ultimo, Junayd di Baghdad, presso il quale si tratterrà ventanni. Sposatosi, andò in pellegrinaggio alla Mecca, dove restò a lungo in meditazione. Lì, sperimentò come non mai la verità dell’amore di Dio nella sua vita e, a partire da questo, il senso nuovo e profondo che le Scritture gli disvelavano. Inebriato da tale scoperta, si mise in viaggio, percorrendo Iraq e Persia, per annunciare la via di una più intima relazione con Dio. Tornato nuovamente alla Mecca e dopo un breve soggiorno in famiglia, partì alla volta dell’India e del Turkestan cinese per una missione tra i pagani. Dopo dodici anni di attività missionaria e un ulteriore pellegrinaggio alla Mecca, si trasferì a Baghdad, dove si diede a diffondere in tutti gli ambienti le sue dottrine mistiche dell’unione con Dio e dell’inabitazione di Dio nell’uomo. Trovò un notevole successo, ma anche una violenta opposizione negli ambienti del potere e dei custodi dell’ortodossia, nonché l’ostilità di molti degli altri sufi che gli rimproveravano di aver rivelato “i segreti del Re”. Tradito da uno dei suoi discepoli, al-Hallaj venne arrestato e gettato in prigione, dove resterà dodici anni, continuando ad ammaestrare i suoi compagni di prigionia e i suoi visitatori. Dopo un processo farsa, venne condannato per aver affermato l’inutilità dei pellegrinaggi alla Mecca, essendo sempre possibile incontrare Dio nel proprio cuore, che ne è il vero tempio. Condotto sul luogo dell’esecuzione, fu spogliato, flagellato con 99 colpi, mutilato delle mani e dei piedi, ed attaccato a un patibolo in forma di croce, sul quale agonizzò per un giorno e una notte. Morì perdonando i suoi carnefici. Era il 26 marzo del 922 (24 Dhul-Qa’da del 309, nel calendario egiriano). Il suo corpo fu bruciato e le ceneri disperse nel vento per evitare che divenisse oggetto di culto.

Richard Allen nacque il 14 febbraio 1760 a Germantown (che attualmente fa parte di Filadeldia), in Pennsylvania, da genitori neri schiavi di un avvocato e giurista quacchero, Benjamin Chew. In seguito al fallimento finanziario di questi, la famiglia fu venduta a Stokely Sturgis, la cui piantagione sorgeva nei pressi di Dover, nel Delawere. Ancora ragazzo, cominciò a frequentare i culti della locale Società Metodista e a 17 anni chiese di essere battezzato. La predicazione di Freeborn Garrettson, che aveva liberato i suoi propri schiavi nel 1775, e che ora denunciava la peccaminosità del sistema schiavista, convinsero il proprietario di Allen a concedere ai suoi schiavi l’opportunità di comprare la loro libertà. Sicché, nel 1785, Richard potè comprare la libertà sua e del fratello. L’anno successivo divenne predicatore della St. George’s Methodist Episcopal Church di Filadelfia, dove cominciò ad attirare un numero crescente di fedeli neri. L’ostilità della componente bianca, convinse Richard Allen e un altro predicatore afro-americano, Absalon Jones, a lasciare quella chiesa e a fondare la Free African Society, una società di mutuo soccorso, per l’assistenza agli schiavi fuggitivi e ai nuovi immigrati. Nel 1794 venne eretta la prima Chiesa, la “Bethel Church” che più tardi sarebbe divenuta la prima congregazione Episcopale Metodista Africana (AME). Nel 1800 Allen incontrò Sarah Bass (anch’essa nata in schiavitù nel 1764), che l’anno successivo divenne sua moglie, dandogli in seguito sei figli, e che fu sua collaboratrice preziosa lungo tutto l’arco della vita. Nel 1816, ormai organizzata su base nazionale, l’AME nominò Allen suo vescovo, che divenne così il primo vescovo nero in America. Questa Chiesa rappresenta oggi la più antica e maggiore istituzione formale dell’America Nera. Dopo una vita dedicata alla lotta per l’abolizione della schiavitù e alla creazione di strutture per l’istruzione e il miglioramento delle condizioni di vita della sua gente, Allen si spense a Filadelfia il 26 Marzo 1831.

“La proprietà privata non costituisce per alcuno un diritto incondizionato e assoluto. Nessuno è autorizzato a riservare a suo uso esclusivo ciò che supera il suo bisogno, quando gli altri mancano del necessario”. Lo scriveva Paolo VI nella sua Enciclica “Populorum progressio”, pietra miliare nella storia del magistero sociale della Chiesa, che mantiene intatta la sua attualità, a cinquant’anni dalla sua pubblicazione. Nel congedarci v ne proponiamo un brano come nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Avere di più, per i popoli come per le persone, non è lo scopo ultimo. Ogni crescita è ambivalente. Necessaria onde permettere all’uomo di essere più uomo, essa lo rinserra come in una prigione, quando diventa il bene supremo che impedisce di guardare oltre. Allora i cuori s’induriscono e gli spiriti si chiudono, gli uomini non s’incontrano più per amicizia, ma spinti dall’interesse, il quale ha buon giuoco nel metterli gli uni contro gli altri e nel disunirli. La ricerca esclusiva dell’avere diventa così un ostacolo alla crescita dell’essere e si oppone alla sua vera grandezza: per le nazioni come per le persone, l’avarizia è la forma più evidente del sottosviluppo morale. Se il perseguimento dello sviluppo richiede un numero sempre più grande di tecnici, esige ancor di più uomini di pensiero capaci di riflessione profonda, votati alla ricerca d’un umanesimo nuovo, che permetta all’uomo moderno di ritrovare se stesso, assumendo i valori superiori d’amore, di amicizia, di preghiera e di contemplazione. In tal modo potrà compiersi in pienezza il vero sviluppo, che è il passaggio, per ciascuno e per tutti, da condizioni meno umane a condizioni più umane. Meno umane: le carenze materiali di coloro che sono privati del minimo vitale, e le carenze morali di coloro che sono mutilati dall’egoismo. Meno umane: le strutture oppressive, sia che provengano dagli abusi del possesso che da quelli del potere, dallo sfruttamento dei lavoratori che dall’ingiustizia delle transazioni. Più umane: l’ascesa dalla miseria verso il possesso del necessario, la vittoria sui flagelli sociali, l’ampliamento delle conoscenze, l’acquisizione della cultura. Più umane, altresì: l’accresciuta considerazione della dignità degli altri, l’orientarsi verso lo spirito di povertà, la cooperazione al bene comune, la volontà di pace. Più umane, ancora: il riconoscimento da parte dell’uomo dei valori supremi, e di Dio che ne è la sorgente e il termine. Più umane, infine e soprattutto: la fede, dono di Dio accolto dalla buona volontà dell’uomo, e l’unità nella carità del Cristo che ci chiama tutti a partecipare in qualità di figli alla vita del Dio vivente, Padre di tutti gli uomini. (Paolo VI, Populorum Progressio n. 19-21).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 26 Marzo 2017ultima modifica: 2017-03-26T22:37:33+02:00da fraternidade
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