Giorno per giorno – 12 Marzo 2017

Carissimi,
“Dopo sei giorni, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui” (Mt 17, 1-3). Cosa e come sia successo davvero quel giorno, al di là delle formule letterarie e dei simboli che vi sono contenuti, non lo sapremo probabilmente mai. Stamattina, padre Paulo, durante l’eucaristia nella chiesa del monastero, ci suggeriva di cominciare a scorgere, nell’episodio proposto dal Vangelo, un significato, forse minimo, che riguarda la nostra camminata quaresimale, a sua volta riflesso della nostra vita. Cominciamo allora col prendere la trasfigurazione come una liturgia, una grande liturgia, che ha avuto luogo questa domenica, ma anche ogni altra domenica, e, volendolo, ogni volta che le facciamo spazio dentro di noi. Una liturgia che ci permette di sognare, di vedere in filigrana il vero senso di ogni accadimento, e perciò anche di sentirci confermati nella strada intrapresa al seguito di Gesù, e di intuirne l’esito finale, che è di luce, anche quando si è chiamati ad attraversare le distrette più dolorose. Ad aleggiare su tutto è la Parola, dell’Antica e della Nuova Alleanza. Simboleggiata, quella, nelle figure di Mosè e di Elia. Il primo, a significare gli insegnamenti di Dio, ricevuti in quell’evento fondante della storia del popolo ebreo (proposto da allora come modello ad ogni popolo), che è l’esodo da ogni forma di schiavitù attraverso un processo di liberazione che porta a un destino di felicità per tutti; il secondo a riassumere le parole profetiche, volta a volta, di denuncia, di consolazione, di incoraggiamento, che Dio, lungo la storia, ci invia ogni volta che ci si allontana o si viene distolti da quel cammino. Tutte queste parole culminano nell’evento del Figlio, quel Gesù di Nazareth, che, nella sua prassi, così come e soprattutto nella sua passione e morte, ce ne discopre ormai il senso più vero, depurandole di ciò che vi era in esse di transitorio, incerto, confuso, ambiguo, di concessione alla peccaminosità di una storia, nella rivelazione del volto del Padre, che si è scelto da sempre nella figura dell’amore incondizionato nei confronti di tutti i suoi figli e figlie. Rivelazione che Dio suggella con la risurrezione del Crocifisso, di cui il racconto di oggi ci offre come una anticipazione. Resta la missione a noi di anticipare la risurrezione finale nella storia che andiamo costruendo ogni giorno, ridando vita ai crocifissi che un Sistema inumano – con la complicità, l’indifferenza, il silenzio, dei molti che si vendono a esso – continuamente produce. Al farlo, ne usciremo trasfigurati anche noi. Ci aiutino Dio e la sua grazia.

I testi che la liturgia di questa 2ª Domenica di Quaresima propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro di Genesi, cap. 12,1-4; Salmo 33; 2ª Lettera a Timoteo, cap.1,8-10; Vangelo di Matteo, cap. 17,1-9.

La preghiera della domenica è in comunione con tutte le chiese e comunità cristiane.

Tre sono le nostre memorie di oggi: Massimiliano, martire a Teveste, Simeone il Nuovo Teologo, mistico, e Rutilio Grande, martire in El Salvador.

Il giovane cristiano Massimiliano era figlio di un esattore militare, Fabio Vittore, di stanza a Cesarea, alla fine del III secolo. Secondo le leggi del tempo, egli era tenuto a seguire la professione del padre, ma, benché dichiarato idoneo a compiere il servizio militare, si rifiutò in nome della sua fede. Il 12 marzo 295 fu chiamato in giudizio davanti al proconsole Dione per essere interrogato circa le ragioni del suo rifiuto. Si limitò a dichiarare: “Sono cristiano: non mi è lecito fare il soldato”. Quando Dione gli ricordò che numerosi erano i soldati cristiani al servizio degli imperatori Diocleziano e Massimiano e dei cesari Costanzo e Massimo, Massimiliano rispose semplicemente: “Essi sapranno che cosa convenga loro. Io però sono cristiano e non posso comportarmi male”. Fu condannato alla pena di morte per decapitazione. Ascoltata la sentenza, il giovane disse: “Grazie a Dio” e chiese al padre di donare al suo carnefice la veste nuova che egli gli aveva preparato per il servizio militare. Aveva ventun’anni, tre mesi e diciotto giorni. Il resoconto dell’interrogatorio e della esecuzione del giovane martire, redatto poco dopo gli avvenimenti descritti, è pervenuto fino a noi negli Acta Maximiliani.

Simeone era nato a Galate, in Asia Minore, nel 949. Inviato a Costantinopoli, per compiervi gli studi, visse al palazzo imperiale fino a vent’anni, quando decise di lasciare tutto per entrare in monastero, dove ebbe come padre spirituale Simone il Pio. Nel 977 divenne sacerdote e in seguito igumeno del monastero di san Mama. Si diede da fare per riportare i monaci al primitivo fervore, ma tutto ciò che ottenne fu che essi si ribellarono e lo costrinsero a dimettersi. Malvisto anche dall’altro clero per la sua radicalità e per il suo zelo (sosteneva tra l’altro che i veri mistici possono guidare le coscienze e amministrare i sacramenti pur non essendo sacerdoti), fu esiliato sulla riva asiatica del Bosforo. Richiamato a corte, sulla spinta del favore popolare, preferì ritirarsi con vecchi e nuovi discepoli nel monastero di santa Marina, dedicandosi alla loro guida fino alla morte attraverso scritti spirituali e liturgici di grandissimo valore. Morì, come aveva predetto, 12 marzo 1022. Fu chiamato il Nuovo Teologo perché considerato un rinnovatore della vita mistica.

Rutilio Grande era nato nel 1928 in una povera famiglia nella cittadina di El Paisnal in Salvador. Entrato diciassettenne nella Compagnia di Gesù, fu ordinato sacerdote nel 1959. Nella metà degli anni sessanta, sull’onda della svolta conciliare della Chiesa, padre Grande maturò una nuova comprensione della sua vocazione: quella che era la ricerca della perfezione personale divenne l’esigenza della dedizione e del sacrificio di sé per il bene degli altri. Tornato nel 1965 da uno stage di studi all’estero, fu destinato al seminario di san Salvador come direttore dei progetti di azione sociale. Per nove anni educò i seminaristi alla convivenza con i poveri e alla condivisione delle loro lotte e delle loro attese, testimoniando così una chiesa che custodisce e ridesta negli oppressi il senso della loro dignità e dei loro diritti come figli di Dio. Lasciato l´incarico in seminario, assunse la cura pastorale di Aguilares, una cittadina vicino al suo paese natale, dove fu sua cura insegnare a leggere la realtà alla luce della Parola di Dio. Il 13 febbraio 1977, durante una sua predica, aveva detto: “Sono convinto che presto la Bibbia e il Vangelo non potranno più attraversare i nostri confini. Ci lasceranno solo le copertine, perché ogni loro pagina è sovversiva. E credo che lo stesso Gesù, se volesse attraversare il confine di Chalatenango, non lo lascerebbero entrare. Accuserebbero l’Uomo-Dio, il prototipo dell’uomo, di essere un sobillatore, uno straniero ebreo, che confonde il popolo con idee strane ed esotiche contro la democrazia, cioè contro la minoranza dei ricchi, il clan dei Caini. Fratelli, senza dubbio, lo inchioderebbero nuovamente alla croce. E Dio mi proibisce di essere anch’io uno dei crocifissori”. Erano parole pericolose e non passarono ignorate. Il 12 marzo 1977, mentre si recava a celebrare l’Eucaristia, spararono a lui e ad altri due contadini che l’accompagnavano: Manuel Solórzano, di settantanni, e Nelson Rutilio Lemus, di sedici. Monsignor Romero ricorderà che il martirio di padre Rutilio segnò la sua “conversione” alla causa del popolo salvadoregno.

Con ieri sera, al termine di una giornata di digiuno – il digiuno di Ester – i nostri fratelli ebrei sono entrati nella festa di Purim, che si prolungherà fino a domani. L’origine della Festa di Purim (o delle Sorti) è raccontata nel Libro di Ester. Assuero, re di Persia e di Media, dopo aver ripudiato la moglie Vasti, che aveva osato disobbedirgli, aveva sposato Ester, una ragazza ebrea “di bella presenza e di aspetto avvenente”, che era diventata la nuova regina. Ora proprio in quei giorni Amán che era primo ministro aveva chiesto e ottenuto dal re che tutti gli ebrei del regno fossero uccisi, in un giorno che sarebbe stato tirato a sorte (pur). Fu così tirato a sorte il 13 di Adar. Quando Mardocheo, zio della regina lo seppe, si rivolse ad Ester perché intercedesse presso il re in favore del suo popolo. Dopo aver digiunato un giorno intero, Ester parlò con il re delle macchinazioni del malvagio Amán. E Assuero cambiò le sorti (purim) degli ebrei e fece impiccare il primo ministro. Da allora è comandato agli ebrei “di festeggiare ogni anno il quattordici e il quindici del mese di Adar, come giorni in cui gli Ebrei avevano avuto quiete dai loro nemici, nel mese che si era mutato per loro da angoscia in allegria, da lutto in giorno di festa, per far di quei giorni, giorni di banchetto e di allegria, di scambio di doni l’uno con l’altro, e di regali per i poveri”(Est 9, 21-22).

E, per stasera, è tutto. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura e da pregare un inno di Simeone il Nuovo Teologo. Che troviamo nel libro “Preghiamo con i Padri della Chiesa” (Edizioni Paoline). E che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Ti ringrazio, o Signore, ti ringrazio, o Dio unico, re giusto e misericordioso, che scruti i cuori. Ti ringrazio, o Verbo eterno, onnipotente, che sei disceso su questa terra, hai preso carne e ti sei fatto ciò che prima non eri, uomo come me senza mutazione, senza diminuzione e senza qualsiasi peccato. Tu che non potevi soffrire, hai sofferto ingiustamente, da uomini ingiusti, per ottenere a me, povero condannato, la grazia di non soffrire nell’imitare le tue sofferenze, o mio Cristo. Tu che senza colpa hai voluto soffrire, ora chiedi a noi, autori di ogni peccato, di sopportare le prove, le persecuzioni, i flagelli, le sofferenze e anche la morte da parte degli iniqui. Tu hai avuto fama di indemoniato e sei stato ritenuto, dagli empi, ingannatore, nemico di Dio e trasgressore della Legge. Come un malfattore sei stato arrestato, e, incatenato, sei stato condotto via da solo, poiché tutti i discepoli e gli amici ti hanno abbandonato. Tu, o Verbo, come un reo sei stato posto davanti al giudice e hai accettato la sentenza pronunciata contro di te. Per una parola che pronunciasti, fosti schiaffeggiato da un servo e il tuo silenzio ti procurò ben presto la condanna… Così, non sopportando di vedere che tu eri il solo uomo giusto, quegli iniqui ti condannarono a una morte vergognosa: quindi fosti colpito al capo, incoronato di spine, rivestito di un mantello scarlatto… Tu hai portato sulle spalle la croce, o Salvatore, e, innalzato su di essa, vi fosti inchiodato, o Dio mio… Ti ringrazio, o Signore, delle prove che soffro ingiustamente: se invece sono giuste, che mi siano di soddisfazione dei peccati come purificazione dei miei troppi peccati, o Cristo. Non permettere, un giorno, sofferenze che superino le mie forze, sia in prove sia in tribolazioni, ma concedimi la grazia di superarle, o Dio mio, e la forza per poter accettare le amarezze. Tu infatti dall’inizio dei tempi sei il dispensatore dei beni su coloro che si prostrano, nel cuore, alla tua potenza, com’è giusto, offrendo loro i doni della fede, delle opere e delle buone speranze, e tutti i doni del divino e adorabile Spirito tuo, o Dio di misericordia, ora e sempre e in ogni tempo, per i secoli dei secoli. Amen. (Simeone il nuovo teologo, Inni, Per la tua incarnazione).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 12 Marzo 2017ultima modifica: 2017-03-12T23:01:48+01:00da fraternidade
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