Giorno per giorno – 10 Marzo 2017

Carissimi,
“Avete inteso che fu detto agli antichi: Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: Stupido, dovrà essere sottoposto al sinèdrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna” (Mt 5, 21-22). C’è un tale livello di violenza in giro, una tale carica di odio, di disprezzo nei discorsi e negli atteggiamenti, nei gesti, negli sguardi, non di quanti sono conosciuti come violenti, il che sarebbe scontato, ma in tranquilli, stimati, pacifici padri (e perciò, per imitazione, anche figli) di famiglia, che viene da pensare quanto annotava un giorno Raissa Maritain: “Non vi è nulla che sia così vicino al crimine e al vizio come l’uomo rispettabile”. E si tratta spesso di persone di chiesa, uomini e donne, che vanno a messa, ascoltano (o forse no) il vangelo e i sermoni, fanno la comunione, e poi, usciti di lì, se ne escono con espressioni del tipo “bandito buono è bandito morto” o “ci vorrebbe la pena di morte”, o “bisognerebbe torturarli tipi come quelli”, o “se la sono cercata”. E così, con la pietà, anche Gesù è messo nuovamente a morte. Proprio dai suoi. Come sono i nostri pensieri, le nostre parole, i nostri sguardi, i nostri gesti? Sono come quelli di Gesù?

Oggi la Chiesa fa memoria dei Quaranta Martiri di Sebaste, in Armenia; il martirologio latinoamericano ricorda Elías del Socorro Nieves del Castillo, José Dolores e José de Jesús Sierra, martiri in Messico, e noi ci aggiungiamo Harriet Tubman, che fu Mosè per il suo popolo.

Melezio, Aezio e Eutichio sono i primi nomi dei quaranta martiri, che ricordiamo oggi. Erano tutti soldati cristiani, provenienti da diverse regioni. Facevano parte della Legione Fulminante, stanziata nei pressi di Sebaste, in Armenia (oggi Sivas, in Turchia). Nell’anno 320, Licinio, imperatore d’Oriente, temendo che la diffusione del cristianesimo, facilitata dall’Editto di Tolleranza da lui sottoscritto assieme a Costantino, potesse mettere a repentaglio la stabilità dell’Impero, tornò ad imporre ai suoi sudditi la religione imperiale. Questo si tradusse, per militari e funzionari pubblici, nell’obbligo di rendere omaggio all’imperatore, bruciando incenso davanti alla sua effigie. Rifiutarsi significava la morte. I quaranta legionari che erano uomini di fede e di fegato, dissero no. Furono perciò disarmati e imprigionati, come pericolosi sovversivi. In carcere scrissero, insieme, il loro testamento, chiedendo di essere sepolti in una fossa comune per restare uniti in morte come lo erano stati in vita. Furono condannati ad essere immersi, nudi, in uno stagno gelato. Il prefetto Agricola, per incentivarne la defezione, fece preparare accanto allo stagno un bagno caldo, dove chiunque rinnegasse la sua fede potesse trovare ristoro. Il racconto ci dice che uno solo uscì dallo stagno, ma, in compenso, uno dei soldati di guardia, colpito dal coraggio degli altri trentanove, scelse di aggiungersi ad essi, ricevendo con loro la corona del martirio.

Mateo Elías Nieves del Castillo nacque il 21 settembre 1882 a Yuriria, nello Stato di Guanajuato, in Messico, dove i suoi genitori, Rita e Ramon, erano agricoltori. Rimasto orfano di padre, ucciso durante una rapina, Mateo Elías dovette abbandonare gli studi per lavorare nella tenuta di famiglia. Il che non gli impedì di impegnarsi nell’azione pastorale della sua parrocchia. Nel 1904, ventiduenne, ottenne di entrare nel seminario agostiniano di Yuriria, dove riprese, con grande fatica e molta buona volontà, gli studi interrotti. Emise la sua professione religiosa nel 1910, assumendo il nome di Elias del Socorro, e fu ordinato sacerdote il 9 aprile 1916. Nel 1921, fu inviato a La Cañada de Caracheo, una comunità povera e semplice di tremila persone, nel municipio di Cortazar, al cui servizio il giovane frate si spese da subito con passione ed entusiasmo. Quando nel 1926 iniziò in Messico la persecuzione nei confronti della Chiesa cattolica, Elias rifiutò di obbedire all’ordine governativo di recarsi nella capitale, preferendo restare a condividere il destino della sua gente. Protetto dalla complicità dei fedeli, il prete riuscì a restare nascosto 14 mesi in una grotta, dove i fedeli si riunivano per pregare, ascoltare la parola del Vangelo, celebrare l’Eucaristia. Il 7 marzo 1928, il nascondiglio fu scoperto e padre Nieves arrestato. Erano con lui due laici della sua comunità, José Dolores e José de Jesús Sierra. Questi, benché lasciati liberi dalle guardie, rifiutarono di abbandonare il loro pastore. Sulla strada per Cortazar, l’ufficiale che comandava il plotone ordinò di fucilare i due contadini, che morirono gridando: Viva Cristo Re!. Successivamente, giunti in località “El Llano”, il capitano disse al frate: È arrivata la tua ora. Padre Elias, allora, pregò, recitò il Credo, benedisse i soldati e disse loro parole di perdono, poi diede il suo orologio al capitano e stese le braccia in attesa della scarica fatale. Era il 10 marzo 1928.

Araminta Harriet Ross era nata nella Contea di Dorchester, nel Maryland, nel 1820 o 1821. Era figlia di Benjamin Ross e di Harriet Greene, che lavoravono come schiavi nelle tenuta della famiglia Brodas. La storia di Mosè, che Dio aveva inviato a liberare i figli d’Israele dalla schiavitù d’Egitto, segnò profondamente l’immaginazione infantile di Harriet, costretta ad assistere alle angherie che i bianchi riservavano alla sua gente. Sempre pronta a prodigarsi per gli altri, un giorno che era intervenuta per proteggere un bracciante dalla furia di un sorvegliante, fu raggiunta da un blocco di ferro alla testa. Rimase per alcuni giorni tra la vita e la morte, poi si riprese, ma le conseguenze di quel colpo l’avrebbero accompagnata per il resto della vita. Nel 1844, giovane donna, sposò John Tubman, un uomo libero, che abitava in una baracca vicina alla piantagione, dove anch’essa passò a vivere. Da allora, la donna, cominciò a meditare di fuggire, senza però riuscire a convincere il marito, che temeva i rischi dell’avventura. Contando sulla complicità di una donna quacchera, nel 1849, Harriet decise di fuggire da sola. Viaggiando di notte, avendo come unico riferimento la stella polare, la donna attraversò finalmente il confine della Pennsylvania e raggiunse poi Filadelfia, dove cominciò a lavorare, nella speranza di mettere da parte i soldi necessari, per tornare al sud e liberare i suoi famigliari. A Filadelfia conobbe William Still, un abolizionista, legato alla “Ferrovia sotterranea”, un’organizzazione clandestina che forniva cibo, vestiti, e trasporto agli schiavi in fuga per il Nord. Harriet entrò così anche lei nella rete, divenendone una delle guide. La sua fede religiosa fu per lei di grande aiuto, sia nelle imprese arrischiate per portare in libertà gli antichi compagni di schiavitù, che nell’attivitá per sostenerli poi. Aveva visioni, premonizioni e colloqui con Dio. Il celebre abolizionista Thomas Garrett disse di lei: “Non ho mai incontrato nessuna persona che avesse la sua stessa certezza che Dio parlasse direttamente alla sua anima”. Tra il 1850 e il 1860, riuscì a mettere da parte le somme necessarie per compiere 19 viaggi e mettere in salvo circa trecento schiavi. Durante la Guerra Civile, la Tubman lavorò nell’esercito dell’Unione come infermiera, guida, spia. Dopo la guerra, si ritirò a vivere nella casa che aveva ad Auburn, nello Stato di New York. Rimasta vedova di John Tubman nel 1867, due anni più tardi sposò un ex-schiavo e soldato dell’Unione, Nelson Davis. Dopo la scomparsa di questi, avvenuta nel 1888, Harriet continuò ad aiutare malati, poveri e neri senzatetto, e ad appoggiare i loro sforzi per conquistare il diritto al voto. Fino alla sua morte, il 10 marzo 1913.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Ezechiele, cap.18, 21-28; Salmo 130; Vangelo di Matteo, cap.5, 20-26.

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli dell’Umma islamica, che confessano l’unicità del Dio clemente e ricco di misericordia.

È tutto, per stasera. Prendendo spunto dalla memoria di Harriet Tubman, scegliamo di proporvi, nel congedarci, uno stralcio del discorso tenuto da Angela Davis, alla Women’s March di Washington, tenuta lo scorso 21 gennaio. Ci pare una bella attualizzazione della sua testimonianza. Ed è, per oggil, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
L’anelito per la libertà delle persone di colore che ha inciso profondamente sulla natura reale della storia di questo paese non può essere cancellata con un colpo di spugna. Non siamo fatti per dimenticare che le vite delle persone di colore contano. Questo è un paese ancorato alla schiavitù e al colonialismo, e questo significa, nel bene e nel male, che la storia reale degli Stati Uniti è una storia di immigrazione e schiavitù. Spargere xenofobia, lanciare accuse di omicidio e stupro e costruire muri non cancellerà la storia. Nessun essere umano è illegale. La battaglia per salvare il pianeta, per fermare il cambiamento climatico, per garantire l’accessibilità all’acqua dalle terre della riserva Standing Rock Sioux, al Flint, Michigan, alla Cisgiordania e Gaza. La lotta per salvare la nostra flora e fauna, per salvare l’aria – queste sono le fondamenta della lotta per la giustizia sociale. Questa è una marcia delle donne e questa marcia delle donne rappresenta la promessa del femminismo contro i poteri perniciosi della violenza di stato. Ed è un femminismo inclusivo e intersezionale che ci coinvolge tutti nella lotta di resistenza al razzismo, all’islamofobia, all’anti-semitismo, alla misoginia, allo sfruttamento del capitalismo. Si, celebriamo la lotta per i 15 dollari l’ora dei lavoratori. Ci consacriamo alla resistenza collettiva. Resistenza alla ipoteca miliardaria dei gentrificatori e degli speculatori. Resistenza a coloro che vogliono privatizzare il sistema sanitario. Resistenza agli attacchi verso i Musulmani e gli immigrati. Resistenza agli attacchi alle persone disabili. Resistenza alla violenza di stato perpetrata dalla polizia e attraverso il sistema carcerario industrializzato. Resistenza alla violenza di genere istituzionale e privata, specialmente contro le donne trans di colore. […] Nei prossimi mesi e anni saremo chiamati a intensificare le nostre richieste per la giustizia sociale, a diventare più militanti in difesa dei più deboli. Quelli che ancora difendono la supremazia dell’uomo bianco etero-patriarcale faranno meglio a fare attenzione. I prossimi 1.459 giorni di amministrazione Trump saranno 1.459 giorni di resistenza: resistenza sul campo, resistenza nelle classi, resistenza al lavoro, resistenza nelle arti e nella musica. Questo è solo l’inizio. E con le memorabili parole di Ella Baker, “Quelli che credono nella libertà non potranno riposare finché non l’avranno ottenuta”. Grazie. (Angela Davis, Discorso alla Women’s March a Washington, 21/1/2017).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 10 Marzo 2017ultima modifica: 2017-03-10T22:09:29+01:00da fraternidade
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