Giorno per giorno – 09 Marzo 2017

Carissimi,
“Se voi che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele chiedono! Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti” (Mt 7, 11-12). C’è una certa tendenza a fare della preghiera una sorta di rito magico, attraverso cui in qualche modo si piega Dio alla nostra volontà. Del resto Gesù dice: “Chiedete e vi sarà dato”. Dimenticandosi, almeno qui, di dire cosa chiedere. Sicché ci si sente autorizzati a pensare che tutto ciò che si chiede e si ottiene, sia stato Lui a darcelo. Magari anche la moto, su cui nostro figlio avrebbe trovato la morte. O anche no. Dio non c’entra, in un caso come nell’altro. Perché non ce lo vediamo proprio Lui che cede e premia chi gli si arruffiana di più e lascia morire di fame chi non ha neanche piú la forza di biascicare una preghiera. Cosa chiedere, Gesù, in realtà, ce lo ha detto altre volte. Per esempio di piegarci alla volontà di Dio, che non è qualunque cosa accada, ma che tutti abbiano vita e vita in abbondanza. O che venga a regnare in mezzo a noi, che è la stessa cosa. E che, anche per mezzo nostro, sia proclamata la santità del suo nome. E poi, sì, certo, come conseguenza, che ci dia – non “mi” dia, “ci” dia, a tutti – il pane che ci serve per vivere. E non con un colpo di bacchetta magica, ma con la condivisione – che è il contrario dell’accumulazione – di ciò che siamo e di ciò che ricaviamo come dono dalla natura, o come frutto del nostro e dell’altrui lavoro. Facendo agli altri, ciò che vorremmo fossse fatto a noi. Avete presente gli ultimi? Gli anziani, gli ammalati, le persone con handicap, i variamente infelici della vita, i soli, gli stranieri, e quant’altro? È anche e soprattutto di loro che Gesù, in chiusura sta parlando: in loro c’è Lui. La Bibbia tutta intera si riassume in questo. Non faremo dunque a Dio ciò che vorremmo che Lui facesse a noi?

Oggi il nostro calendario ci porta le memorie di Francesca Romana, sposa, madre di famiglia e religiosa, e di Swami Sri Yukteswar Giri, mistico indiano.

Francesca Bussa de’ Buxis de’ Leoni, nacque a Roma nel 1384 in una famiglia che (come lascia arguire la sfilza di cognomi) era nobile e ricca. Il che deve suonare di qualche consolazione per i cammelli che disperano di poter attraversare la cruna dell’ago. Desiderosa di abbracciare la vita religiosa, fu però obbligata dal padre a sposare, appena dodicenne, Lorenzo de’ Ponziani, la cui famiglia, lungo gli anni, si era fatta ricca e aveva comprato la nobiltà, con i proventi del mestiere di macellai. A 16 anni ebbe il primo dei tre figli, due dei quali avrebbe perduto a causa di un’epidemia di peste. Da subito, la giovane sposa, prese a dedicare il suo tempo libero dagli impegni familiari, a soccorrere poveri ed ammalati, in una situazione generalizzata di degrado economico e sociale. Nel 1425 lei e altre amiche, che aveva coinvolto nelle sue attività caritative, si costituirono in associazione, le “Oblate Olivetane di Maria”, che, nel 1433, papa Eugenio IV eresse in congregazione, con il titolo di “Oblate della Santissima Vergine”. Rimasta vedova, poco più che cinquantenne, si unì alle sue compagne, lasciando l’amministrazione della casa al figlio Battista e alla consorte di questi. Trascorse gli ultimi quattro anni della sua vita in convento, istruendo ed edificando le consorelle nell’amore e nella dedizione ai poveri. Morì il 9 marzo 1440.

Priya Nath Karar (questo il suo nome alla nascita) era nato il 10 maggio 1855 a Serampore (India), nella famiglia di un benestante uomo d’affari. Divenuto adulto, il giovane si sposò e passò ad amministrare la sua eredità, vivendo responsabilmente i suoi doveri e obblighi sociali. In età matura incontrò il suo guru, Sri Lahiri Mahasaya, e si dedicò alla pratica del Kriya Yoga. Rimasto vedovo, fu iniziato nell’ordine degli Swami, a Bodh Gaya, e assunse il nome di Sri Yukteswar Giri. Ebbe, assieme a molti altri doni, quello della guarigione spirituale, anche se lo esercitò sempre in maniera estremamente discreta. Studioso della Bhagavadgītā e della Bibbia, insegnò l’unità essenziale delle religioni, anche se queste fanno spesso di tutto per fomentare divisioni che nulla hanno a che vedere con l’apertura alla Verità. Nel 1894 raccolse parte delle sue riflessioni in un libretto intitolato Kaivalya Darshanam, che fu in seguito ripubblicato dalla Self-Realization Fellowship, con il titolo The Holy Science. Sri Yukteswar fu il maestro spirituale di Paramahansa Yogananda, a cui affidò la missione di diffondere il Kriya Yoga. Yukteswar era convinto che il matrimonio tra l’eredità spirituale dell’Oriente e la scienza e teconologia dell’Occidente avrebbe comportato un progressivo superamento delle sofferenze materiali, psicologiche e spirituali del nostro tempo. Il 9 marzo 1935, Swami Sri Yukteswar abbandonò il suo corpo mortale, che fu seppellito nel giardino del suo ashram di Puri, dove successivamente è stato edificato un tempio in sua memoria.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro di Ester, cap.4, 17 k-u; Salmo 138; Vangelo di Matteo, cap.7, 7-12.

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

È tutto, per stasera e noi, nel congedarci, prendendo spunto dalla memoria di di Swami Sri Yukteswar Giri, vi proponiamo un brano di Fabio Bassi, tratto dal suo libro “Il pluralismo religioso nell’alterità dell’Amore” (Il Segno dei Gabrielli Editori), che ci aiuta, tra l’altro, a spiegare l’ascolto che offriamo anche ai testimoni di altri cammini, nei quali soffia comunque il vento dello Spirito. Ed è questo, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Sembra in atto nel mondo – attraverso mille dedali e incertezze – un risveglio pneumatico, come se l’uomo stesse entrando con la sua coscienza nel mistero dello Spirito. Questo movimento spirituale profondo, espressione di una faticosa ricerca, ma anche di autentiche ricchezze seminate dallo Spirito nel cuore di ogni religione, sarà pure contrastato dai fondamentalismi più disparati e dai negatori più accaniti, ma non potrà non sfociare nella vera adorazione del Padre “in spirito e verità”. Nella nostra società multiconfessionale e multireligiosa non bisogna fermarsi alle credenze proprie, ma andare al di là: dare fiducia anche alla fede degli altri credenti. L’ “altro” mi è posto di fronte per relativizzare il mio modo di vedere la realtà. La sua differenza deve animare la mia e creare le condizioni per una comunione e una fraternità più ampie. Bisogna, come dice Paolo, coniugare insieme “la carità della verità e la verità della carità”, senza per questo cadere in un sincretismo e in un indifferentismo dell’aspetto storico-rivelatore del mistero di Dio. L’amore verso il prossimo potrebbe essere vuoto, se questi dovesse possedere le mie stesse qualità per meritare di essere amato. Bisogna esporsi alla sua verità nell’ascolto della sua buona fede, che potrebbe portare me e lui ad un gradino più alto di comprensione e di vita. La nostra responsabilità cristiana deve essere capace di rispondere all’altro in quanto altro e non in quanto nostra proiezione. Il comando di amore di Gesù (Gv 13, 34) deve polarizzare la nostra testimonianza e il nostro annuncio del vangelo; come ne dà esempio Suor Teresa di Calcutta, che fra musulmani, induisti, buddisti, cristiani di ogni denominazione, non-credenti, non pensa a predicare, a battezzare, a convertire, ma unicamente ad amare. È lo stile di Dio. È l’intuizione di Emmanuel Levinas: “scomparire davanti all’altro per amarlo, rappresenta la più autentica grandezza”. La teologia cristiana delle religioni –attualmente in cantiere – non deve prospettarsi verso di loro come per ordinarle al cristianesimo, ma rispettarne l’originalità e l’autonomia nel piano salvifico di Dio, orientando l’annuncio del Vangelo sull’esempio e l’insegnamento di Gesù. Il Dio del Nuovo Testamento è un Dio che rompe tutte le frontiere; è in relazione con tutti; non c’è per Lui “gente di fuori”. […] In fondo si tratta di cogliere l’immanenza dello Spirito nelle singole culture e religioni, e la partecipazione di queste al mistero del Tutto, perché ogni particolarità ed ogni diversità – rapportandosi all’insieme e purificandosi in esso – acquisti senso e dignità. (Fabio Bassi, Il pluralismo religioso nell’alterità dell’Amore).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 09 Marzo 2017ultima modifica: 2017-03-09T22:08:22+01:00da fraternidade
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