Giorno per giorno – 08 Marzo 2017

Carissimi,
“Nel giorno del giudizio, gli abitanti di Nìnive si alzeranno contro questa generazione e la condanneranno, perché essi alla predicazione di Giona si convertirono. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Giona” (Lc 11, 32). Gesù aveva cominciato col dire: “Questa generazione è una generazione malvagia; essa cerca un segno, ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona” (Lc 11, 29). E a dire il vero, Giona non aveva dato nessun segno, salvo la sua parola, che annunciava la distruzione di Ninive. Senza sconti. Che prova poteva offrire che fosse vera? Lì per lì, nessuna. Si trattava solo di aspettare i quaranta giorni previsti per l’avverarsi della minaccia. Che non si avverò. E qualcuno può dire: perché i niniviti si convertirono. Ma altri potrebbero sostenere: perché la minaccia era falsa. Che poi era ciò che mandò fuori dai gangheri Giona, ne andava infatti della sua credibilità di profeta. A Dio, invece, non importa nulla di smentire i suoi profeti e persino se stesso. L’importante è che, chi si trova sulla strada sbagliata, si ravveda. Cambi la sua storia e quella del mondo che gli sta intorno. Anche di questi tempi c’è tutto un affannarsi ad inseguire segni, che ci comprovino, possibilmente in maniera incontrovertibile, una qualche verità. E il buon Dio deve ridersela, mentre ripete: non vi sarà dato nessun segno. Salvo la mia parola. Quella del Vangelo, che chiama a conversione e che mostra in che cosa questa consista. Il segno, quindi, lo aspetto, semmai, io da voi. Persino la risurrezione, di per sé, non è un segno, o lo è stato solo per una cerchia ristretta di persone, che hanno continuato a lungo a dubitare: sarà proprio Lui o un fantasma? La prova della risurrezione non è la visione del Crocifisso (!) risorto, ma che ci sia gente che, a partire da lì, da duemila anni, decide di mettersi seriamente al seguito di Gesù di Nazareth, cercando (!) di vivere (e morire) come Lui, nella forma del dono di sé, incondizionato e gratuito, e dell’ostinazione nel perdono. Additando, ad ogni passo, Lui e Lui solo. Il resto sono chiacchiere che finiscono per non convincere nessuno.

Oggi, il calendario ci porta la memoria di Giovanni di Dio, testimone, al servizio degli infermi.

Juan Ciudad era nato l’8 marzo 1495 a Montemor-o-novo, nei pressi di Evora, in Portogallo. Quando ebbe otto anni un chierico lo sottrasse ai genitori ignari, portandolo a Oropesa, nella Nuova Castiglia, e lo affidò alla famiglia di Francisco Cid, sovraintendente al bestiame e al personale addetto, nelle tenute del Conte di Oropesa. Qui il ragazzo restò, dedicandosi alla pastorizia, fino all’eta di 28 anni, quando si arruolò in una compagnia di fanteria al servizio dell’imperatore di Spagna. Le molte disavventure convinsero Juan a lasciarsi alle spalle la carriera militare. Per qualche tempo viaggiò per mezza Europa, fu bracciante in Africa, venditore ambulante a Gibilterra, finché si stabilì a Granada, dove aprì un piccolo commercio di libri. Fu allora che, ascoltando una predica di Giovanni d’Ávila, decise di cambiare radicalmente vita: abbandonò tutto, vendette i suoi beni e coperto di stracci cominciò a mendicare per le vie della città, diventando una sorta di folle per Cristo. E per matto lo presero i suoi concittadini, che lo rinchiusero in manicomio. Questo fu tuttavia un evento provvidenziale per permettere a Juan di scoprire la sua vocazione: dedicarsi all’assistenza di poveri e malati. Per quanto privo di specifiche conoscenze mediche, cominciò ad accogliere malati di ogni tipo, prendendosi cura del loro spirito, per aiutare a risanarne il corpo. Quando morì a cinquantacinque anni, l’8 marzo 1550, i suoi discepoli ed amici fondarono l’Ordine dei Fratelli Ospedalieri, meglio conosciuti come Fatebenefratelli, dal saluto che Giovanni rivolgeva ai passanti quando mendicava aiuto per i suoi malati. Fu canonizzato nel 1690 da papa Alessandro VIII e Leone XIII lo dichiarò patrono degli ospedali e degli operatori di salute.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro di Giona, cap.3, 1-10; Salmo 51; Vangelo di Luca, cap.11, 29-32.

La preghiera del mercoledì è in comunione con quanti ricercano l’Assoluto della loro vita nella testimonianza per la pace, la fraternità e la giustizia.

L’8 di marzo è anche la Giornata della Donna. Della sua origine sappiamo solo, come notizia sicura, che l’8 marzo 1908, Clara Essner Zetkin, dirigente del movimento operaio tedesco, e la socialista Rosa Luxemburg organizzarono la Prima Conferenza internazionale della donna. Due anni più tardi, Il 29 agosto 1910, a Copenaghen, dove si tenne la Seconda Conferenza internazionale, tra le proposte approvate vi furono quelle di istituire una giornata internazionale della donna, il diritto universale al voto e il riconoscimento dell’indennità di gestazione anche per le donne non sposate. Giornata quindi di lotta e di rivendicazioni. Nel 1977, poi, l’UNESCO proclamò l’8 Marzo, Giornata internazionale della donna. Che qui ricordiamo, senza mimose e senza cedimenti a un improbabile consumismo, ma per fare memoria delle conquiste raggiunte e di quelle, molte di più, da conseguire ancora. Dall’altra metà del cielo.

È tutto, per stasera. Prendendo spunto dalla celebrazione odierna della Giornata internazionale della donna, scegliamo di proporvi una pagina di Madeleine Delbrêl, tratta dal suo “Noi delle strade” (Gribaudi). Oltre ad avere come protagoniste due donne, richiama situazioni che tornano a presentarsi nella nostra attualità. È questo, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Mi trovavo in una grande città, parecchi anni or sono, all’estero. Erano le ultime ore di alcuni giorni passati là. Non avevo quasi più denaro; ero molto stanca, e soffrivo il dolore della morte, di parecchi morti, di morti della stessa mia carne. Non credo che rappresentassi una determinata categoria umana: i vestiti che indossavo erano senza particolarità. Camminavo da parecchie ore per le strade aspettando il treno. Perché non dire che piangevo? Non me ne preoccupavo ed attendevo che passasse. Straniera. Sconosciuta. Una sofferenza comune a tutti gli uomini, che suda lacrime, come certe fatiche il sudore. Si mise a piovere; avevo fame. Le monete che mi restavano stabilivano con esattezza quello che potevo pretendere. Entrai in un minuscolo caffè in cui davano anche da mangiare. Scelsi quel che potevo comprare: roba cruda. Mangiavo lentamente, per renderla digeribile e per dare alla pioggia il tempo di smettere. Di tanto in tanto gli occhi mi si bagnavano. Ma tutt’a un tratto le mie spalle furono circondate da un braccio confortante e cordiale. Una voce mi disse: “Voi, caffè. Io, dare”. Era assolutamente chiaro. Non ricordo più quel che avvenne dopo: è una fortuna, perché non ho il gusto per il ridicolo. Ho spesso parlato di questa persona. Ho pensato a lei, pregato per lei con una riconoscenza inconsumabile, ed oggi, se cerco la bontà in carne ed ossa, è lei che mi si impone. Perché ciò che dà a quella donna valore di segno cristiano, di immagine lontana ma fedele della bontà di Dio, è che è stata buona perché era abitata dalla bontà, non perché io ero dei “suoi”, familiarmente, socialmente, politicamente, nazionalmente, religiosamente. Io ero la “straniera” senza indice di identità. Avevo bisogno di bontà. Io avevo anche bisogno di quella bontà che si fa misericordia. E mi è stata data da quella donna. Oggi è un esempio asssoluto della bontà perché io ero “non importa chi” e “non importa che”, e perché quel che mi ha fatto lo ha fatto perché la bontà era in lei e non perché io ero io. Nel suo atto trovo tutto quello che la bontà deve essere per essere bontà. (Madeleine Delbrêl, Noi delle strade).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 08 Marzo 2017ultima modifica: 2017-03-08T22:07:44+01:00da fraternidade
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