Giorno per giorno – 05 Marzo 2017

Carissimi,
“Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane. Ma egli rispose: Sta scritto: Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Mt 4, 1-4). Stamattina, durante l’Eucaristia in monastero, presieduta da Dom Eugenio, ci dicevamo che i peccati di cui abitualmente ci accusiamo sembra proprio non abbiamo nulla a che vedere con le tentazioni a cui fu sottoposto Gesù, dopo i quaranta giorni di digiuno, nel deserto. E già questo dovrebbe farci pensare almeno un po’. Perché almeno uno dei risultati di questa quaresima sia di evitare di fare di un sacramento, quello della Riconciliazione, il ripetitivo darsi di un rito, un po’ triste, senza troppi slanci, al cui centro c’è una sorta di lista della spesa, quasi sempre uguale. Su cui finisce per pesare una falsa immagine di Dio, e perciò anche della vita, dato che nel bene o nel male, noi la veniamo plasmando a partire dall’idea che abbiamo di Lui. Questo spiega perché in questa prima domenica di quaresima, la liturgia ci proponga il racconto genesiaco della prima tentazione, quella che, acconsentendole, determina poi ogni altro cedimento e caduta. La colpa non consiste in un generico voler essere come Dio, ma di quale Dio noi decidiamo di essere immagine. Se del Dio che sperimentiamo come dono e donatore di tutto, o del dio che, come suggerisce il serpente, inventa una legge che non c’è (“È vero che Dio ha detto: Non dovete mangiare di alcun albero del giardino?”), per salvaguardare gelosamente il suo potere e continuare a dominare su tutti. Le tentazioni cui Gesù è sottoposto riguardano l’immagine di Dio che egli intende testimoniare con la sua vita e la sua missione. E come sarà la sua relazione con il potere, nelle sue diverse espressioni, economico, religioso, politico. Il pane per me o il pane condiviso, il tempio come luogo dell’esibizionismo religioso e dei miracoli, o il tempio del mio corpo dato in umiltà per la vita degli altri, il mondo come oggetto del mio dominio, adorando satana, o come spazio del mio servizio, in ubbidienza a Dio. È su questa che dovremmo interrogarci e confessarci più spesso. Sapendo, sì, che ricadiamo sempre, ma fidandoci di Lui, che ci lavora comunque, e permette in ogni caso che non si monti troppo facilmente in superbia.

I testi che la liturgia di questa 1ª Domenica di Quaresima propone alla nostra riflessione sono tratti da: Libro di Genesi, cap. 2,7-9; 3,1-7; Salmo 51; Lettera ai Romani, cap. 5,12-19; Vangelo di Matteo, cap. 4, 1-11.

La preghiera della Domenica è in comunione con tutte le Chiese e comunità cristiane.

Oggi facciamo memoria di una santo piccolo e pressocché sconosciuto: Conone, l’ortolano, martire in Panfilia.

Originario di Nazareth, in Galilea, Conone era, secondo la tradizione, legato da parentela alla famiglia di Gesù. Lasciata la sua terra natale, si stabilì nella città di Mandron, nella Panfilia (una regione dell’attuale Turchia), dove, dalla coltivazione di un orto, ricavava il necessario per vivere. Quando Decio, sconfitto Filippo l’Arabo divenne imperatore, nel 249, e volle riportare in auge la religione romana tradizionale per dare nuova stabilità all’impero, scatenando l’ennesima persecuzione contro i cristiani, ne fu vittima anche il nostro. Per garantirsi la fedeltà dei sudditi, il nuovo imperatore prescrisse l’obbligo per tutti i cittadini di sacrificare agli dèi, con un atto pubblico comprovato da un attestato delle autorità locali. Quando Conone fu invitato a presentarsi davanti al governatore Publio, rispose: Di cosa ha bisogno il governatore da me, visto che sono cristiano? Ditegli di chiamare chi la pensa come lui o ha la sua stessa religione. Il santo fu allora legato e condotto a forza davanti al Governatore, che tentò ripetutamente di convincerlo a sacrificare agli idoli. Conone rispose però con veemenza che niente e nessuno avrebbe potuto distoglierlo dal confessare apertamente la sua fede in Cristo. Fu così che il governatore ordinò che gli fossero perforati i piedi con chiodi, costringendolo poi a correre davanti al suo carro. Dopo un tratto del cammino, tuttavia, Conone, sentendosi mancare, cadde sulle ginocchia, ed elevata un’ultima preghiera a Dio, morì.

Il 5 marzo 1904 nasceva a Freiburg, in Germania, Karl Rahner, uno dei maggiori teologi del secolo scorso. Noi ne facciamo abitualmente memoria il 30 marzo, in coincidenza con la data della sua pasqua. Ma vogliamo rendergli omaggio anche oggi, offrendovi in lettura il brano di una sua profonda e toccante riflessione. Tratta da un libriccino che, scritto nel 1973, reca il contributo suo e di Joseph Ratzinger, e che ha come titolo “Settimana santa” (Queriniana), è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Tu pendi dalla croce. Ti ci hanno inchiodato. Da questo palo innalzato fra terra e cielo non puoi più staccarti. Le ferite bruciano nel tuo corpo. La corona di spine tormenta il tuo capo. I tuoi occhi sono irrigati di sangue. A causa delle ferite delle mani e dei piedi le tue membra sono come trapassate da un ferro rovente. E la tua anima è un mare di dolore, di desolazione, di disperazione. Coloro che hanno architettato tutto ciò stanno sotto la tua croce. Non se ne allontanano, neanche per lasciarti morire solo. Rimangono, ridono. […] O Signore, il nostro cuore si sarebbe già spezzato in una furiosa disperazione. Noi avremmo maledetto i nostri nemici e Dio con loro. Noi avremmo urlato come pazzi e cercato di strappare i chiodi per riuscire a stringere ancora una volta il pugno. Tu invece dici: Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno. Sei incomprensibile, Gesù. Nella tua anima martoriata e scompigliata dal dolore c’è ancora una zolla sulla quale possa fiorire questa parola? Sei proprio incomprensibile! Tu ami i tuoi nemici. Li raccomandi al Padre tuo. Preghi per loro. Ah, Signore, se non fosse una bestemmia direi che tu li discolpi con la più inverosimile delle scuse: non avrebbero saputo. Eppure sapevano tutto. Ma hanno voluto ignorare tutto. E ciò che si vuole ignorare, in realtà lo si sa nella cella più profonda e segreta del cuore. Ma al tempo stesso lo si odia e perciò non si vuole lasciarlo salire alla coscienza chiara. E tu dici che essi non sanno quello che fanno! Ma una cosa certamente non hanno conosciuto: il tuo amore per loro, poiché quello lo può conoscere solo colui che ti ama. Solo all’amore, infatti, è dato di comprendere il dono dell’amore. Pronuncia anche sui miei peccati la parola di perdono del tuo incomprensibile amore. Di’ anche per me al Padre: Perdonalo, perché non sa quello che fa. Invece lo sapevo. Tutto sapevo. Ma non conoscevo ancora il tuo amore. Concedimi di pensare alla prima parola che dicesti sulla croce anche quando nel Padre Nostro affermo distrattamente di perdonare ai miei debitori. O mio Dio inchiodato sulla croce dell’amore: io non so se qualcuno mi debba realmente qualcosa che io possa rimettergli. Ma in ogni caso mi occorre la tua forza affinché io sappia perdonare di cuore a coloro che il mio orgoglio e il mio egoismo considerano nemici. (Karl Rahner, Sette parole di Gesù in croce).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 05 Marzo 2017ultima modifica: 2017-03-05T22:03:41+01:00da fraternidade
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