Giorno per giorno – 14 Febbraio 2017

Carissimi,
“I discepoli avevano dimenticato di prendere dei pani e non avevano con sé sulla barca che un solo pane. Allora Gesù li ammoniva dicendo: Fate attenzione, guardatevi dal lievito dei farisei e dal lievito di Erode! Ma quelli discutevano fra loro perché non avevano pane” (Mc 8, 14-16). Cronaca di un normale disincontro. O, in altre parole, avere lì Gesù, l’unico Pane che conti, e non saperlo. Perché anche i discepoli, allora e dopo d’allora, sono altri i pani di cui ambiscono alimentarsi. Quelli, appunto, preparati con “il lievito dei farisei e di Erode”, in una ibrida alleanza, cioè, tra religione e politica, che, in una reciproca strumentalizazione, si pone come fine il raggiungimento e il consolidamento di posizioni di potere. Di cui anche oggi abbiamo eclatanti esempi, qui da noi, con pastori che vanno per la maggiore (ma anche qualche vescovo, preti carismatici e relativi seguaci), che scelgono di sostenere e di benedire il governo golpista; o, negli Stati Uniti, gli “evangelicals” (non tutti, grazie a Dio, ma comunque tanti) che, con codazzo di cattolici scontenti, hanno scelto di votare Trump. Che, dicono, abbia estimatori anche lì, da voi, tra quanti sanno niente di Vangelo e sono abituati a pensare e usare la croce come clava. Gente che si fregia dell’etichetta di cristiani, ignorando però il significato di quell’unico Pane, che si dona e si moltiplica per saziare la fame di tutti, del proprio popolo e degli stranieri (le due moltiplicazioni). Di quel tempo e di ogni tempo. E che ci chiede – con le ceste colme di pezzi avanzati – di continuare a fare questo in sua memoria, ricordando così la sua morte per amore in ogni tempo, fino a che egli venga. “Non capite ancora?” (v. 21), chiede anche a noi Gesù.

Il calendario porta oggi le memorie dei due fratelli Cirillo e Metodio, evangelizzatori degli Slavi e patroni d’Europa; e di Joseph Wresinski, prete povero dei poveri.

Cirillo e Metodio si chiamavano in realtà Costantino e Michele ed erano nati a Tessalonica (l’attuale Salonicco, in Grecia) nel IX secolo, figli di un magistrato imperiale. Michele, il maggiore, intrapprese dapprima la carriera politica, divenendo arconte di una provincia slava dell’impero. Nell’ 840 decise tuttavia di lasciare la carica e di farsi monaco e fu eletto, in seguito egumeno del convento Polychron sul monte Olimpo di Bitinia. Costantino, nato verso l’827, alla morte del padre, si recò a Costantinopoli per completare gli studi alla corte imperiale. Ordinato sacerdote, si dedicò all’insegnamento. Nell’860 i due fratelli ebbero l’incarico dall’imperatore di evangelizzare i Kazari; tre anni dopo, richiesti dal principe Rastislao, raggiunsero la Moravia. Qui essi elaborarono il loro alfabeto (non il cirillico, inventato solo due secoli più tardi, ma il glagolitico), realizzando la prima versione in lingua slava della Bibbia e della liturgia. Accusati di scisma e di eresia, i due furono chiamati a Roma dal papa Nicola I. Quando vi giunsero, vennero accolti con tutti gli onori dal suo successore, Adriano II, che, contro ogni aspettativa e suscitando l’ira e lo sgomento del clero conservatore, volle che celebrassero i santi misteri alla presenza sua e della folta comunità cristiana di Roma, nella lingua parlata dagli slavi, introducendo così una riforma che l’occidente avrebbe conosciuto solo undici secoli più tardi, con il Concilio Vaticano II: quella di celebrare nella lingua viva parlata dalla gente e non nelle lingue “sacre” del passato: aramaico, greco e latino. Nel dicembre dell’868 Costantino cadde malato. Prevedendo imminente la morte, volle rivestire l’abito monastico, prendendo il nome di Cirillo e dopo 50 giorni morì, il 14 febbraio 869, all’età di 42 anni. Fu sepolto con grande solennità nella basilica di S. Clemente. Dopo la morte del fratello, Metodio fu dal papa ordinato prete, nominato legato apostolico, consacrato vescovo e stabilito arcivescovo per la Pannonia e la Moravia. Una lettera, che lo accreditava presso i principi Rastislao, Sventopulk e Kocel, conteneva l’approvazione senza riserve della liturgia slava. Il che, il clero latino non riuscì proprio a digerirlo. Sicché ci fu chi, passato un po’ di tempo, tentò il colpo mancino: l’arcivescovo Aldewinus (una sorta di Lefèbvre ante litteram) denunciò Metodio a Ludovico il Germanico. Metodio fu imprigionato, giudicato e condannato all’esilio. Nell’ 878, papa Giovanni VIII chiese ed ottenne la sua liberazione, ma, subendo le pressioni dei conservatori, rinnegò le concessioni del predecessore in materia liturgica. Metodio, dal canto suo, seppe con la dovuta prudenza e discrezione tirar dritto per la sua strada, riuscendo in seguito a convincere il papa della bontà di quella scelta. Morì il 6 aprile 885 e fu sepolto nella sua chiesa cattedrale in Velehrad.

Joseph Wresinski era nato il 12 febbraio 1917 a Angers (Francia), in una famiglia di immigrati, polacco, con passaporto tedesco il padre, Wladislaw Wrzesinski, e spagnola la madre, Lucrecia Sellas, maestra elementare. Dopo un infanzia poverissima, durante la quale il padre decise di tornare in Polonia, il bambino dovette darsi da fare per contribuire pur con poco al mantenimento della famiglia, finché a tredici anni trovò un impiego come apprendista pasticcere. Trasferitosi a Nantes, frequentò per sei mesi la Gioventù comunista, finché un compagno gli fece conoscere la JOC (Gioventù operaia cattolica), a cui egli aderì con entusiasmo e passione. A 17 anni maturò la vocazione al sacerdozio, al fine di, come si esprimerà in seguito, “restituire i più poveri alla Chiesa e la Chiesa ai più poveri”. Entrato in seminario, trascorreva il suo tempo libero nei libri e nei quartieri più poveri. Durante le vacanze andava a lavorare in fabbrica o nelle miniere. Fu ordinato prete il 29 giugno 1946 e inviato come viceparroco a Tergnier, in un quartiere operaio. Avrebbe desiderato fare sua la scelta dei preti operai, ma l’esperimento è interrotto per volontà di Roma. Nel 1948 integrò per qualche mese la Missione di Francia , ma una meningite prima e la tisi, subito dopo, lo obbligarono a desistere e ad entrare in sanatorio. Di ritorno in diocesi, chiese di essere destinato a una parrocchia tra le più abbandonate. Venne inviato a Dhuizel, piccolo centro rurale dell’Aisne, dove visse in grande povertà, condividendo il lavoro degli stagionali, restaurando la sua chiesa e soprattutto lasciando sempre aperta a tutti la porta della sua casa. Nel 1956 gli offrono l’opportunità di fare il cappellano in un campo di transito fondato due anni prima dall’Abbé Pierre con i suoi Chiffoniers d’Emmaüs a Noisy: duemila persone sprovviste del minimo necessario, ospitate in un terreno su un’antica discarica, ai margini di una palude, abbandonati al disprezzo e all’indifferenza del mondo circostante. Saranno la sua gente. Facendo fronte con loro all’ostilità crescente, ai vandalismi e alle aggressioni dei vicini. Con loro e con altri amici e volontari fondò nel 1957 una prima associazione che divenne in seguito il Movimento internazionale ATD Quarto Mondo, oggi presente in tutti i continenti. Il 14 febbraio 1988, Joseph Wresinski morì in seguito a un banale intervento chirurgico.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro di Genesi, cap.6, 5-8; ; 7, 1-5.10; Salmo 29; Vangelo di Marco, cap.8, 14-21.

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali del Continente africano.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura un brano di Joseph Wresinski, tratto dal suo libro “Parole per il domani” (Città Nuova), che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Tutti i bambini del mondo sono poveri a causa della loro dipendenza dagli adulti e dall’ambiente. Siano essi nati ricchi o poveri, non possiedono nulla. La loro ricerca e la loro scoperta dell’affetto, della gioia, della pace, della luce e della bellezza… dipendono da quanto condividono con coloro che li amano o che comunque li circondano. Ma nel mondo ci sono bambini per i quali non è così, perché i loro genitori e i loro amici non hanno niente da condividere. Questi bambini sono quelli nati nella miseria. L’ho capito ancora l’altra sera, in uno di quei quartieri, all’imbrunire. L’umidità entrava nelle ossa, si sarebbe potuto dire che usciva e arrivava dappertutto, da quelle strade, da quelle case senza calore e senza intimità. Che addirittura veniva da quella gente lì intorno, gente senza “fra di noi”, senza parola e senza risposta; da quella gente disperata perché a lungo andare nulla è sicuro, né oggi, né domani, né mai. Perché nessuno è sicuro di nessuno, né degli uomini né di Dio. Ho capito che per il bambino miserabile, il richiamo e le grida rimangono senza eco che le sue domande e richieste cadono nel vuoto. Tanto più che proprio in quel momento, in mezzo alla strada, nel cuore di quel misero quartiere, un piccolino piangeva. Camminava incerto, le mani tese in avanti, a tentoni nella notte. Da un gruppetto di ragazzine se ne stacca una, ha forse otto o dieci anni, chi sa? Corre verso il fratellino per prenderlo e portarlo via, per prenderlo e consolarlo, per prenderlo e coccolarlo. Chinatasi, solleva il bambino da terra e lo stringe nelle braccia. Ma un ragazzo le arriva alle spalle e le da un calcio a tradimento. Rideva, il ragazzo. Nel buio sembrava che come una eco tutto ridesse che ridessero gli insulti, che ridessero i pianti; che la miseria stessa ridesse in questo quartiere, come in tutti i miseri quartieri del mondo. Per non piangere, la miseria rideva, con tutte le sue forze, di disgusto e di dolore. Tutto questo ridere rotolava sulla bambina prostrata a terra, sul fratellino. I suoi, tutto il suo popolo, ridevano di lei. Nessuno si avvicinò per aiutarla. Spaventata, portò via il bambino, china sotto il peso di un figlio d’uomo da amare. Figli d’uomo, bambini miserabili di oggi : per loro, la pace, la gioia, l’affetto, la luce, la bellezza, non possono far parte della loro eredità. Quella sera ho capito che nel mondo esistono milioni di bambini perduti. Perduti così, nel vuoto, perché nel loro mondo non trovano nessuno di noi per amarli. (Joseph Wresinski, Parole per il domani).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 14 Febbraio 2017ultima modifica: 2017-02-14T22:21:55+01:00da fraternidade
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