Giorno per giorno – 09 Febbraio 2017

Carissimi,
“Una donna di lingua greca e di origine siro-fenicia supplicava Gesù di scacciare il demonio da sua figlia. Ed egli le rispondeva: Lascia prima che si sazino i figli, perché non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini. Ma lei gli replicò: Signore, anche i cagnolini sotto la tavola mangiano le briciole dei figli” (Mc 7, 26-28). Qualche tempo fa, parlandone con gli amici della chácara di recupero, dicevamo che questa donna, di cui non conosciamo il nome, era stata una delle teologhe di Gesù, avendogli offerto l’occasione di correggere, se così possiamo dire, il discorso su Dio, che pure lui conosceva bene, permettendogli di abbattere quel muro di separazione che spesso le religioni, pur con le migliori intenzioni, erigono tra le genti. Ama il tuo prossimo, quelli del tuo sangue, del tuo popolo, della tua religione, della tua chiesa. Questo è ciò che ci viene più naturale. A cui, oggi, sempre più spesso, si aggiunge: diffida e tieni lontani gli altri. Ed è, comunque travestita, la religione del diavolo. Che fa di Dio un dio solo di alcuni, sottraendogli tutti gli altri. Lui che vuole la tavola imbandita per tutti. E se c’è qualcuno che pretende di avere l’esclusiva di quella mensa, essa non è già più la mensa del Signore, sia che si tratti dell’Eucaristia o dell’economia delle nazioni. Non c’è corpo di Cristo, né identità cristiana, che tenga: svanito(a) come per miracolo. Mentre esso (e essa) resta presente dove almeno le briciole sono condivise, con chi dalle leggi umane (e persino presuntamente divine) ne fosse escluso. E noi? Come la pensiamo noi? E come agiamo?

Il nostro calendario ci porta le memorie di Marone, eremita; di P. Dimitri Andréévitch Klepinine, martire sotto il totalitarismo nazista; e di Felipe Balam Tomás, martire al servizio dei più poveri in Guatemala.

Del monaco Marone, vissuto tra il IV e il V secolo, soppiamo pochissimo. Ammirato da Giovanni Crisostomo, visse come eremita nel deserto siriano, spendendo il suo tempo nella preghiera e nelle pratiche ascetiche. Assai ricercato come maestro spirituale, esercitò un grande influenza sul movimento monastico nella regione di Cirro e di Aleppo. Morì dopo breve malattia e fu sepolto nel monastero di Beth-Morum, nella regione siriana di Apamea, presso la sorgente del fiume Oronte. Sarà qui che, qualche secolo più tardi, cristiani di fede calcedonese, in seguito all’invasione araba della Siria, daranno vita alla chiesa maronita, che venera Marone come suo fondatore.

Dimitri Andréévitch Klepinine era nato il 14 aprile 1904 a Piatigorsk, nel Caucaso – terzo figlio dell’architetto André Nicolaévitch Klepinine, di Sophie Alexandrovna Stépanova, pedagoga di formazione. La sua infanzia fu segnata da un’esperienza precoce della sofferenza e della malattia, che lo rese sempre particolarmente sensibile nei confronti dei deboli e dei perseguitati dalla sfortuna. Gli eventi della rivoluzione russa, portarono la famiglia sulla via dell’esilio, prima a Costantinopoli, poi in Serbia, e infine a Parigi, dove nel 1925, il giovane s’iscrisse all’Istituto di Teologia ortodossa San Sergio, da poco fondato. Suo maestro da allora in avanti fu Serge Boulgakov. Terminati gli studi nel 1929, ottenne una borsa di studio per completare la sua formazione al Seminario teologico di New York. Rientrato all’inizio del 1934 a Parigi, per mantenersi, esercitò i più diversi mestieri. Nel frattempo la sua ricera spirituale lo portò a pensare al sacerdozio. In quegli stessi anni conobbe Tamara Fédorovna Baïmakova, che sposò nel 1937. Nello stesso anno venne ordinato diacono e prete.Lo scoppio della guerra e l’occupazione nazista portarono padre Klepinine a spendere le sue energie per salvare dalla deportazione quanti più ebrei possibile. L’8 febbraio 1943, la Gestapo, durante una perquisizione, trovò in tasca al giovane Youri Skobtsov (figlio di Maria Skobtsova e come lei e P. Dimitri, canonizzato dalla chiesa ortodossa) il biglietto di una donna ebrea indirizzato al prete, in cui gli chiedeva di fornirle un certificato di battesimo. Arrestato assieme al giovane, entrambi sono inviati nel campo di Compiègne, dove il prete prese a celebrare ogni giorno la santa liturgia e l’Ufficio Divino, e ad organizzar corsi di Bibbia e su Gesù Cristo, coinvolgendo un numero crescente di prigionieri. Nel dicembre 1943, i prigionieri vengono trasferiti prima a Buchenwald, poi nel sinistro “Tunnel Dora”, nelle fabbriche sotterranee per la produzione dei razzi V. Lì. padre Dimitri si spese fino all’ultimo per consolare e animare i tristi e gli sconfortati. Le pesanti condizioni di lavoro minarono assai presto il fragile fisico del prete. Il guardiano della baracca che fu testimone dei suoi ultimi momenti racconterà che, il 9 febbraio 1944, lo trovò a terra, incapace di muoversi. Riuscì, tuttavia, a chiedergli di sollevargli la mano per fare il segno di croce. E così morì.

Felipe Balam Tomás era un giovanissimo religioso della Congregazione dei Missionari della Carità. Aveva solo 18 anni, quando, il 9 febbraio 1985, fu sequestrato dalle forze di sicurezza governative nel villaggio Las Escobas, municipio di San Martín Jilotepeque, nel dipartimento di Chimaltenango. Stava animando una celebrazione della Parola, quando tre uomini armati entrarono in chiesa e lo portarono via a forza. Per ottenerne la liberazione si mosse il Nunzio apostolico, e l’arcivescovo di Città del Guatemala, Próspero Penados del Barrio, ma inutilmente. Felipe sparì nel nulla, donando la sua vita di poco più che adolescente, perché anche altri, a partire dalla fede nel Dio della vita, lottassero per la liberazione dei fratelli.

I testi che la liturgia propone oggi alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro di Genesi, cap. 2, 18-25; Salmo 128; Vangelo di Marco, cap.7, 24-30.

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

Come oggi, il 9 febbraio (28 gennaio per il calendario giuliano) 1881, moriva a San Pietroburgo, Fëdor Dostoevskij, tra i massimi scrittori di tutti i tempi. Che siamo convinti meriterebbe di entrar a far parte delle nostre memorie a tutti gi effetti. Di lui la moglie Anna scriverà che la mattina del suo decesso, le aveva chiesto il vangelo che portava sempre con sé e l’aveva aperto a caso, chiedendole di leggere la pagina incontrata. Ed era: “Giovanni lo trattenne e disse: io devo essere battezzato da te e non tu da me. Ma Gesù gli rispose: non trattenermi…”. A queste parole Fëdor commentò: “Senti Anja, ‘non trattenermi’ vuol dire che debbo morire”. In questa occasione, scegliamo di ricordarlo, cedendo a lui la parola, con un brano tratto “Dalle conversazioni e dai sermoni dello starec Zosima” di quello che è il suo capolavoro “I fratelli Karamazov”. Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Se le malefatte degli uomini susciteranno in te indignazione e un dolore insopprimibile, tali da indurti addirittura a farti desiderare la vendetta, allora temi, sopra ogni altra cosa, proprio questo sentimento. Cerca subito di procurarti delle pene, come se tu stesso fossi colpevole di quelle malefatte. Accetta quelle pene e sopporta, e il tuo cuore troverà conforto e capirai che anche tu sei colpevole, giacché avresti potuto risplendere come l’unico senza peccato agli occhi di quei malfattori e invece non l’hai fatto. Se tu fossi stato una luce avresti illuminato il cammino degli altri, e colui che ha commesso una malefatta forse non l’avrebbe commessa, illuminato dalla tua luce. Ma anche se la tua luce risplendesse e tu vedessi che gli uomini non vengono salvati da essa, tu resisti lo stesso e non dubitare del potere della luce celeste; abbi fede che, seppure non si sono salvati adesso, si salveranno in futuro. E se non si salvassero in seguito, si salveranno i figli loro, giacché la tua luce non morirà nemmeno se tu stesso sarai morto. Il giusto se ne va, ma la sua luce rimane. Accade sempre che gli uomini si salvino solo dopo la morte di colui che intendeva salvarli. Il genere umano non accoglie i suoi profeti e li massacra, ma gli uomini amano i propri martiri e onorano coloro che hanno torturato. Tu stai lavorando per tutto il Creato, stai agendo per il futuro. Non ambire a ricompense, giacché comunque la tua ricompensa su questa terra è già sublime: è la gioia dello spirito, che solo un giusto si conquista. Non temere gli illustri o i potenti, ma sii saggio e sempre sereno. Sappi la misura, sappi il tempo d’ogni cosa, approfondisci tutto questo. Quando rimarrai in solitudine, prega. Che il prostrarti per terra e il baciare la terra ti siano cari. Bacia la terra e amala incessantemente, insaziabilmente, ama tutti, ama tutto, ricerca l’esultanza e l’estasi che riserva questo amore. Irrora la terra con le lacrime della tua felicità e amale, quelle tue lacrime. Non provare vergogna per questa estasi: abbine cura, giacché è un dono divino, un grande dono, che non a molti è concesso, solo agli eletti. (Fëdor Dostoevskij, I fratelli Karamazov).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 09 Febbraio 2017ultima modifica: 2017-02-09T22:06:41+01:00da fraternidade
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