Giorno per giorno – 08 Febbraio 2017

Carissimi,
“Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ciò che esce dall’uomo è quello che rende impuro l’uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza” (Mc 7, 14-15. 21-22). Un po’ paradossalmente, per la nostra mentalità, la separazione tra la sinagoga e la chiesa avvenne anche a causa delle regole alimentari, che stabilivano ciò di cui ci si poteva e non ci si poteva cibare, e quando, e come, nel caso, macellarlo, e poi cucinarlo. Quale finalità avessero tutte queste prescrizioni, difficile dirlo; c’è chi ritiene che volessero ricordare in primo luogo il nesso che esiste tra alimentazione e la sfera del sacro (il pasto non è un’azione qualunque), e, poi, insegnare a distinguere: “Chi non sa distinguere tra ciò che può e non può mangiare difficilmente accetterà di dover distinguere tra ciò che può e non può fare”. In questo senso, se sottratte al formalismo religioso, che rende le norme fine a se stesse e che finisce sempre per soffocare e distorcere quel significato che pretende di custodire, non sarebbero necessariamente in antitesi all’affermazione di Gesù. Rappresenterebbero una forma come un’altra, all’interno di una determinata cultura, per allenarci a “distinguere” tra i molti propositi che si annidano nel cuore dell’uomo. E scegliere di fare la cosa giusta. Ma, guai, a cadere schiavi di esse, in qualunque ambito, fino a farne la misura della nostra malvagità, e l’espressione della nostra stoltezza, nella figura di uno sterile e controproducente orgoglio spirituale, che traveste il nostro nulla.

Oggi il calendario ci porta le memorie di Bruno Hussar, profeta di pace in Israele, e di Stefano di Muret, testimone dell’Evangelo.

Andrea Hussar era nato a Il Cairo il 4 maggio 1911, da genitori ebrei non praticanti. Dopo gli studi al liceo italiano nella capitale egiziana, il giovane, alla morte del padre, si trasferì con la madre in Francia, dove ottenne la cittadinanza francese, completando a Parigi gli studi di ingegneria. Fu in quegli anni che iniziò un cammino spirituale che sfociò nella scoperta del cristianesimo e nella richiesta del battesimo. Battezzato il 22 dicembre 1935, svolse la sua professione per alcuni anni fino a quando nel 1941 fu colpito da una tubercolosi che lo condannò per due anni a completa immobilità. Nel 1945 maturata la vocazione religiosa, entrò tra i domenicani, assumendo il nome di Bruno. Fu ordinato sacerdote cinque anni più tardi ed inviato nel 1953 in Israele per favorire la creazione di un centro di studi ebraici, che vedrà la luce cinque anni più tardi, la Casa di sant’Isaia. Lì, Bruno approfondì la sua coscienza di appartenere al popolo ebraico e contribuì, con la sua attività di riflessione e di studio, negli anni che seguirono, a tessere le fila del dialogo ecumenico tra la Chiesa e il popolo ebreo. Negli anni settanta, assieme ad Anne Le Meignen, diede avvio al progetto di Nevè Shalom/Waahat as-Salaam, Oasi di pace, un villaggio, situato tra Tel Aviv e Gerusalemme, in cui, convivendo insieme, ebrei, musulmani e cristiani delle diverse confessioni, apprendessero a conoscere, rispettare e amare le rispettive identità. Il frate volle che là sorgesse un luogo di preghiera, privo di qualsivoglia simbolo religioso, chiamato Dumia (Silenzio), dove chiunque potesse raccogliersi in contemplazione. Bruno Hussar morì nel suo villaggio, profezia di un futuro di pace, l’8 febbraio 1996.

Stefano di Muret era nato nel 1045 nel castello di Thiers, feudo di famiglia, nell’Auvergne. Poco più che trentenne, semplice laico, divenne eremita, nella zona di Limoges, nel sud-ovest della Francia, riunendo altri amanti della solitudine al servizio di Cristo. Accoglieva allegramente quanti venivano a ricevere una parola, grandi e piccoli, poveri e ricchi, giusti e peccatori. Morì l’8 febbraio 1124.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro di Genesi, cap.2, 4b-9. 15-17; Salmo 104; Vangelo di Marco, cap.7, 14-23.

La preghiera del mercoledì è in comunione con quanti ricercano l’Assoluto della loro vita nella testimonianza per la pace, la fraternità e la giustizia.

In questo giorno, nel 1878, nasceva, a Vienna, Martin Buber, che è una delle nostre memorie preferite (anche se a volte ci viene di dirlo di ogni personalità che figura nel nostro calendario). Cultore come pochi altri del chassidismo, di cui raccolse e riscrisse centinaia di storie e leggende, concepì l’ebraismo, non come un insieme di precetti legali, ma come santificazione della vita quotidiana, vissuta nell’umiltà e nell’allegria. Noi ne facciamo più estasamente memoria nella data della scomparsa, il 13 giugno, ma gli riserviamo un doveroso spazio anche in questa occasione, offrendovi in lettura un brano tratto dal suo libriccino “Il cammino dell’uomo” (Qiqajon), che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Uno zaddik insegna: “Alla fine di Qoelet sta scritto: ‘Al termine delle cose si ode il tutto: temi Dio!’. Qualunque sia la cosa a capo della quale tu arrivi, là, al suo termine, tu udrai immancabilmente questo: ‘Temi Dio’ e questo è il tutto. Non esiste cosa al mondo che non ti indichi un cammino verso il timore di Dio e il servizio di Dio: tutto è comandamento”. Ma la nostra autentica missione in questo mondo in cui siamo stati posti non può essere in alcun caso quella di voltare le spalle alle cose e agli esseri che incontriamo e che attirano il nostro cuore; al contrario, è proprio quella di entrare in contatto, attraverso la santificazione del legame che ci unisce a loro, con ciò che in essi si manifesta come bellezza, sensazione di benessere, godimento. Il chassidismo insegna che la gioia che si prova a contatto con il mondo conduce, se la santifichiamo con tutto il nostro essere, alla gioia in Dio. Nel racconto del Veggente, il fatto che, tra i vari cammini presi a esempio, accanto a quello che consiste nel mangiare, ce ne sia anche uno che consiste nel digiunare sembra contraddire quanto appena detto. Se tuttavia consideriamo questo nell’insieme dell’insegnamento chassidico, ci accorgiamo che, se la presa di distanza dalla natura e l’astinenza nei confronti della vita naturale possono effettivamente costituire a volte l’inizio del cammino necessario a un uomo – così come lo stare in disparte può essere indispensabile in certi momenti cruciali dell’esistenza – esse non possono però mai rappresentare l’intero cammino. Ci sono uomini che devono cominciare con il digiuno, e cominciare sempre da capo, perché è loro peculiarità poter conseguire unicamente attraverso il mezzo dell’ascesi la liberazione dall’asservimento al mondo, il più profondo ritorno a se stessi e, di conseguenza, il legame con l’assoluto. Ma l’ascesi non deve mai pretendere di dominare la vita dell’uomo. L’uomo deve allontanarsi dalla natura solo per ritornarvi rinnovato e per trovare, nel contatto santificato con essa, il cammino verso Dio. (Martin Buber, Il cammino dell’uomo).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 08 Febbraio 2017ultima modifica: 2017-02-08T22:32:29+01:00da fraternidade
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