Giorno per giorno – 21 Gennaio 2017

Carissimi,
“Gesù entrò in una casa e di nuovo si radunò una folla, tanto che non potevano neppure mangiare. Allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo; dicevano infatti: È fuori di sé” (Mc 3, 20-21). Su questi due versetti di vangelo ci si potrebbe fare ogni sera il nostro esame di coscienza. Per saper se stiamo davvero seguendo i passi di Gesù, perché la casa dove stiamo (o che siamo) è davvero aperta sul mondo e sui suoi bisogni, o se invece ci lasciamo subito sequestrare da chi si pretende dei “nostri”, per riportarci al sicuro dei trantran dottrinali, liturgici, devozionali, comportamentali, che costituiscono il tutto di una religione ridotta a ideologia/idolatria identitaria, mortifera invece che salvifica. Quanti, guardando a noi, nel nostro quotidiano, sarebbero pronti, scuotendo magari la testa, a scommettere che siamo “fuori di noi”, tanto nel senso che siamo un po’ matti, quanto nel senso che siamo, almeno tendenzialmente, decentrati, proiettati fuori, come persone, comunità, chiese, in un movimento che ci porta ad ampliare costantemente la nostra comunione? O quante volte, invece, ci scopriamo ripiegati su noi stessi, timidi, paurosi, stanchi, forse anche intimoriti dal carattere sempre più aggressivo di chi sceglie di fare del vangelo, spesso senza averlo mai letto, una muraglia e una barriera contro gli altri, piuttosto che l’annuncio della fine di ogni muro di separazione e lo spazio in cui si vengono intrecciando relazioni nuove, basate su una fiducia sempre rinnovata, sull’ascolto attento, il dialogo sincero, la collaborazione generosa. Tutti segni di quel Regno di cui ci è annunciata la vicinanza e che siamo chiamati a testimoniare.

Oggi il calendario ci porta le memorie di Agnese, martire a Roma, di Massimo il Confessore, e di Mons. Gerardo Valencia Cano, pastore, profeta e martire della liberazione dei poveri in Colombia.

Dodicenne romana del III secolo, allo scoppio di una delle numerose persecuzioni contro i cristiani, nonostante la defezione di molti fedeli, Agnese seppe restare fedele a Cristo, rifiutandosi di sacrificare agli idoli e di cedere alle voglie del potente di turno. La memoria del suo martirio è molto antica: già nel 354 se ne celebrava l’anniversario presso la sua tomba, sulla Via Nomentana.

Massimo era nato a Costantinopoli da una ricca famiglia, verso il 580. Per qualche anno fu segretario dell’Imperatore Eraclio ma, assai presto, nel 613, lasciò la vita di corte per farsi monaco nel monastero di Crisopoli (Scutari). Nel 624 la minaccia persiana che incombeva sui territori imperiali lo costrinse ad abbandonare il monastero e a trasferirsi a Creta, poi a Cipro e, in seguito, nei pressi di Cartagine, in Africa. Scrisse numerose opere sulla preghiera, la carità e l’ascesi e, a partire dal 634, s’impegnò nella lotta contro le eresie monofisite e monotelite. Dopo la conquista araba dell’Africa, Massimo si spostò in Magna Grecia e, nel 646, a Roma. In quest’epoca entrò in polemica con il giovanissimo imperatore Costante II che, per risolvere le annose diatribe teologiche, che dividevano la cristianità e minacciavano l’unità dell’impero, aveva emesso un editto, Typos – Regola di Fede, con cui proibiva ai cristiani di parlare dell’unica o della duplice volontà di Cristo. Che, a dire il vero, la maggior parte dei cristiani, neppure sapeva di cosa si trattasse. Ma, era comunque roba seria. Fu convocato in Laterano un sinodo, che fece sue le posizioni espresse in materia da Massimo e dal papa Martino, e non mancò di criticare le disposizioni dell’ Imperatore. Mal gliene colse a tutti e due. Costante II li fece infatti arrestare e deportare entrambi. Non solo, ma, in un successivo processo, a Massimo e a due suoi discepoli, Anastasio monaco e Anastasio apocrisario, per lo stesso motivo, fu tagliata la lingua e amputata la mano destra. Massimo morì in esilio, sul mar Nero, nel 662.

Gerardo Valencia Cano era nato, il 26 Agosto 1917, nella famiglia di dieci figli di Maria Cano Tobón e Juan de Dios Valencia Osorio, a Santo Domingo, municipio del Dipartimento di Antioquia (Colombia), dove la coppia possedeva una fattoria, gestendo contemporaneamente un esercizio commerciale in città. Negli anni 30, lui e il fratello Felix entrarono nel seminario dei Missionari Saveriani di Yarumal (MXY). Dopo un’interruzione forzata negli studi, dovuta alla malattia della madre, e alle sopraggiunte difficoltà economiche della famiglia, che lo portarono a lavorare nella fattoria dei nonni, per farvi in qualche maniera fronte, tornò nel seminario di Medellin, dove fu ordinato prete il 29 novembre 1942. Nel luglio 1949 fu nominato prefetto apostolico di Mitú, in Vaupés, una delle regioni più povere e abbandonate della Colombia, abitata prevalentemente da tribù autoctone, sottoposte in quegli anni agli arbitri e alle violenze dei coloni bianchi, che vi si infiltravano per saccheggiarne le ricchezze naturali. Nel 1953, a soli 36 anni, Pio XII lo nominò primo vescovo del Vicariato apostolico di Buenaventura, un territorio ad alta presenza di afrodiscendenti, oggetto di pesanti, persistenti, discriminazioni, e primo porto della Colombia. A questo popolo, volto e sembiante di Cristo, mons. Gerardo Cano si consacrò totalmente, come prete, pastore e cristiano, in tutti gli anno del suo servizio episcopale. Sviluppò una pastorale che coinvolgeva preti, religiosi e laici, organizzò le prime comunità di base che, oltre ad animare la vita delle parrocchie, promuovevano la maturazione della fede, la coscienza dei diritti, la denuncia dell’ingiustizia, la crescita dell’azione solidale tra i settori più poveri ed emarginati della popolazione. Partecipò a tutte le sessioni del Concilio Vaticano II. In patria, il suo appoggio, pur non esente da critiche, al variegato movimento dei preti di Golconda, gli procurò, come prevedibile, sulla stampa di destra del suo paese, l’appellativo di “vescovo rosso”, nonché la fama di “sovversivo” e “comunista”. Morì in un incidente aereo che nessuno investigò, il 21 gennaio 1972.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera agli Ebrei, cap.9, 2-3. 11-14; Salmo 47; Vangelo di Marco, cap.3, 20-21.

La preghiera del Sabato è in comunione con le comunità ebraiche di Eretz Israel e della diaspora.

Nel tardo pomeriggio di oggi è stato sepolto nel cimitero “Jardim da Paz” di Porto Alegre, Teori Zavascki, ministro del Supremo Tribunale Federale, morto, l’altro ieri, con altre quattro persone, in un incidente aereo che molti ritengono come minimo sospetto. In quanto giudice relatore della cosiddetta Operazione “Lava Jato” (un’investigazione in atto dal 2014, che intende portare alla luce un gigantesco sistema di tangenti all’interno della Petrobras, l’ente petrolifero statale), Teori si apprestava a rendere noti i nomi dell’ultima e piú importante delazione, nomi che coinvolgerebbero altissime cariche politiche, compreso l’attuale presidente della repubblica, il golpista, Michel Temer. Curiosamente il piano per “fermare il processo in corso”, tale come era stato previsto da uno degli articolatori del golpe, Romero Jucá, in una intercettazione telefonica resa pubblica qualche mese fa, si è compiuto finora in ogni suo punto: allontanare Dilma, insediare Temer (già vice-presidente), defenestrare Cunha (già presidente della Camera), proteggere Renan (presidente del Senato), fermare Teori. Il tutto all’ombra di un grande accordo con il Tribunale Supremo. Chi vivrà, vedrà.

È tutto anche per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura una citazione tratta dalle “Centurie sulla carità” di Massimo il Confessore, che troviamo nella “Filocalia” (Gribaudi). Ed è per oggi il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Non confrontarti con gli uomini più deboli, ma tendi piuttosto al comandamento dell’amore. Perché se ti confronti con quelli, cadi nel baratro della presunzione, mentre se tendi a quel comandamento, progredisci fino alla vetta dell’umiltà. Se osservi integralmente il comandamento dell’amore per il prossimo, per nessuna cosa mostrerai l’amarezza della tristezza contro di lui; altrimenti è chiaro che, preferendo all’amore le cose temporali e facendo valere i tuoi diritti, tu combatti il fratello. Il denaro è divenuto per gli uomini oggetto di invidia non tanto per la sua utilità, quanto piuttosto perché molti se ne servono per coltivare i loro piaceri. Tre sono le cause dell’amore per le ricchezze: amore del piacere, vanagloria e mancanza di fede. L’amante del piacere ama il denaro per i godimenti che gli può procurare. Il vanaglorioso, per ottenerne gloria. Chi manca di fede, per nasconderlo e conservarlo, per timore della fame, della vecchiaia, delle malattie o dell’esilio. E spera più in esso che in Dio, autore di tutto il creato, la cui provvidenza si estende fino all’ultimo e al più piccolo dei viventi. Quattro sono coloro che mettono da parte ricchezze: i tre suddetti e l’amministratore. Solo quest’ultimo, è chiaro, lo fa in modo retto, per non mancare mai di apprestare per ciascuno ciò di cui ha bisogno. (Massimo il Confessore, Centurie sulla Carità, III, 14-19).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 21 Gennaio 2017ultima modifica: 2017-01-21T22:41:43+01:00da fraternidade
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