Giorno per giorno – 17 Gennaio 2017

Carissimi,
“Di sabato Gesù passava fra campi di grano e i suoi discepoli, mentre camminavano, si misero a cogliere le spighe. I farisei gli dicevano: Guarda! Perché fanno in giorno di sabato quello che non è lecito?” (Mc 2, 23-24). A cosa si riduce, spesso, una cosa pur così bella come è (o dovrebbe essere) la religione, con tutti i suoi simboli, la poesia, i miti, i riti, i templi, e quel legame profondo che ci affratella tutti nella ricerca della verità, nel tentativo di decifrarne i segni, di cedere ai suoi richiami, di dare corpo ai sogni, di lasciarci invadere dalla sua bellezza, di celebrarla con entusiasmo e allegria, di incarnarla come il tempo nuovo che ci è dato in dono. Ecco che spuntano i professionisti della religione, con i loro vademecum, i loro bilancini e taccuini: osservano, annotano, addizionano, sottraggono, giudicano, condannano. Fanno cioè l’esatto contrario di quel che vorrebbe Dio. Per il quale costituiscono l’unica e più vera occasione di tristezza, l’ostacolo ad ogni conversione a Lui. Che vale infatti convertirsi a una religione di grettezza? Meglio dieci peccatori allegri che un santo (?) triste.

Oggi facciamo memoria di Antonio il Grande, patriarca del monachesimo, di Silvia Maribel Arriola, martire in El Salvador, di P. Tissa Balasuriya, teologo della liberazione e del dialogo interreligioso.

Nato nell’anno 250, a Come, in Egitto, a vent’anni Antonio, dopo aver letto nel Vangelo l’esortazione di Gesù: “Se vuoi essere perfetto, va’ vendi tutti i tuoi beni e dalli ai poveri, poi vieni e seguimi, e avrai un tesoro nei cieli”, decise che valeva la pena di fidarsi e lo fece, letteralmente, abbandonando ogni cosa. Presto seguito da decine, poi centinaia di giovani e meno giovani, che intendevano esprimere così la loro radicale contestazione alla logica con cui il mondo era organizzato. Abitò per un tempo tra antiche tombe abbandonate, per poi ritirarsi sulle rive del Mar Rosso, dove visse fino a quando la morte lo colse nel 356, all’etá di 106 anni. La trasparenza della sua personalità, la coerenza della sua testimonianza richiamarono durante tutti gli anni della sua avventura nel deserto schiere di pellegrini di ogni ceto e condizione, desiderosi di essere confermati nella fede, consigliati o confortati.

Di Silvia Maribel Arriola non sappiamo molto. Il martirologio latino-americano dice che era una religiosa salvadoregna. Faceva parte di una comunità, nata dalle comunità di base del Salvador, approvata canonicamente da mons. Romero con il nome di “Religiose per il popolo”. Silvia fu per molti anni segretaria di mons. Romero, davanti al quale fece la sua professione religiosa. Amica di tutti, animatrice di comunità, scelse di accompagnare come infermiera le formazioni di resistenti del Fronte Farabundo Martí di Liberazione Nazionale. Cadde uccisa assieme ad altri compagni durante un incursione dell’esercito, il 17 gennaio 1981. Aveva solo trent’anni. La chiamavano la “donna del sorriso”. Di lei ci è rimasta la formula di consacrazione come religiosa: “Davanti ad una società che vive gli ideali del potere, dell’avere e del piacere, voglio essere segno di ciò che significa realmente AMARE; del fatto che Cristo è l’unico Signore della storia, che è presente in mezzo a noi ed è capace di generare un amore più forte degli istinti e della morte, più forte di tutti i poteri economici. Voglio vivere una vita di ricerca e di sequela del Cristo povero, casto e ubbidiente alla volontà del Padre, al fine di vivere solo per Lui e per la sua opera salvifica. Prometto di essere fedele al Signore: nella salute e nella malattia, nella giovinezza e nella vecchiaia, nella tranquillità e nella persecuzione, nelle gioie e nelle tristezze, nella sua incarnazione in mezzo ai più poveri, povera e solidale con loro nella loro lotta per la liberazione: partecipando della sua missione evangelizzatrice tra gli uomini, concentrando tutta la mia capacità affettiva in Lui e in tutti i fratelli, vivendo in una continua ricerca della volontà del Padre attraverso la sua Parola, nella sua Chiesa, e nei segni dei tempi tra i poveri”.

Tissa Balasuriya era nato il 29 agosto 1924 a Kahatagasdigiliya, nella provincia Centro-settentrionale dello Sri Lanka, nella famiglia di William e Victoria Balasuriya. Dopo essersi laureato brillantemente in Economia all’Università di Ceylon, era entrato, nell’agosto del 1945, nel noviziato dei Missionari Oblati di Maria. Ordinato prete nel 1949 a Roma, vi conseguì la licenza in filosofia e teologia, alla Pontificia Università Gregoriana, specializzandosi poi in Economia agricola a Oxford e in Teologia all’Università Cattolica di Parigi. Rientrato in patria nel 1953, contribuì alla fondazione, divenendone in seguito Rettore, dell’Aquinas University College, che lasciò nel 1971 per fondare il Centre For Society & Religion, il cui obiettivo era di contribuire all’integrale liberazione umana della popolazione del suo Paese. Nel 1975, aveva fondato l’Associazione ecumenica dei teologi del terzo mondo. Nel 1978, l’uscita del suo libro “Eucaristia e liberazione umana”lo fece entrare di diritto nel novero degli studiosi della teologia della liberazione. Nel 1990, la pubblicazione di un altro libro “Maria e Liberazione umana”, in cui rileggeva la figura di Maria di Nazareth fuori dagli schemi devozionali, gli procurò non pochi grattacapi, compresa una sorprendente scomunica, comminatagli nel 1996, dall’allora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede. Scomunica revocata tuttavia due anni dopo. Instancabile fu il suo contributo al dialogo tra le religioni, le generazioni e i generi. Il suo lavoro per la pace, la giustizia e i diritti umani conobbe unanime apprezzamento, nel suo Paese e all’estero. L’impegno di Balasuriya per la liberazione dei settori più emarginati ed oppressi dello Sri Lanka gli comportò spesso incomprensioni e amarezze, ma il suo amore per la giustizia e per la gente lo aiutò a proseguire imperterrito nella sua missione, sino alla morte, avvenuta a Colombo, il 17 gennaio 2013, a ottantanove anni di età, dopo una breve malattia.

È tutto, per stasera. E noi ci congediamo lasciando la parola a Tissa Balasuriya, di cui vi offriamo, nel congedarci, il brano di un testo dal titolo “Lasciare che Dio sia Dio”, che fa parte della collettanea, pubblicata a cura di Carlo Cantone, “La svolta planetaria di Dio” (Borla). Ed è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Il Dio della rivelazione di Gesù è il creatore, colui che ama e provvede a tutta l’umanità. Tutti noi apparteniamo all’unica natura umana comune, viviamo su questo pianeta limitato, la terra, e veniamo dall’unico Dio. […] Nei rapporti umani non ci dovrebbero essere discriminazioni nei confronti di singoli individui o di gruppi derivanti da fattori di scarsa importanza, quali il genere, il colore, la razza, la tribù o la casta. Tutti hanno diritto alla vita e di conseguenza ai mezzi di sopravvivenza ottenibili da questo nostro pianeta comune, la terra. Le risorse della terra dovrebbero essere condivise equamente tra tutti gli esseri umani, presenti e futuri. […] Ciò implica un contratto intergenerazionale in base al quale ogni generazione si preoccupa di se stesssa e delle generazioni successive per quanto riguarda l’uso delle risorse naturali e l’amministrazione della natura. In aggiunta alle ingiustizie tra le nazioni, l’intero sistema mondiale è grossolanamente ingiusto. L’attuale distribuzione delle risorse tra gli esseri umani e le nazioni è decisamente ingiusta. Difatti porta alla morte per fame per alcuni, mentre vi è un’incredibile abbondanza, addirittura sprechi, per altri. L’equa condivisione delle risorse della terra dovrebbe essere conseguita con mezzi pacifici grazie a una autorità globale comune. Attualmente questa è una necessità di primaria importanza. […] Il sistema politico mondiale attuale è strutturato in chiave di potenza. È mantenuto in piedi con la forza e sostenuto da un sistema di leggi internazionali che si è andato sviluppando in base ai suoi stesssi parametri. Il sistema economico internazionale costituisce una struttura associata di sfruttamento globale di poveri e della natura. […] La trasformazione radicale dell’ordine mondiale dovrebbe essere l’obiettivo primario dei cristiani e delle chiese. […] Sfortunatamente le chiese sono sempre state piuttosto propense a una alleanza con gli sfruttatori del mondo. Anche oggi le cose tendono ancora ad andare così. Una tale trasformazione richiede una lotta contro tutte le forme di discriminazione e di sfruttamento: in particolare, di genere, di razza, di appartenenza etnica, di colore, di tribù, di casta, di classe, di religione e di nazionalità. In ognuno di questi casi occorre andare oltre gli orizzonti limitati del proprio gruppo naturale, dei suoi interessi, per giungere a identificarsi con la comunità umana più ampi e gli interessi di questa. La lotta contro le forze dello sfruttamento personale e sociale dovrebbero essere un elemento essenzaile della spiritualità cristiana e della missione della Chiesa. (Tissa Balasuriya, Lasciare che Dio sia Dio).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 17 Gennaio 2017ultima modifica: 2017-01-17T22:52:21+01:00da fraternidade
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